Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14471 del 07/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 14471 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 15124-2010 proposto da:
TROMBIN

FRANCO

TRMFNC58L11G525G,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA TACITO 50, presso lo studio
dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato CESTER CARLO, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2013
1412

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso la

Data pubblicazione: 07/06/2013

DIREZIONE

AFFARI

LEGALI

DI

POSTE

ITALIANE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE ACCIARO,
che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

260/2009 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

18/04/2013

dal Consigliere Dott. ROSA

ARIENZO;
udito l’Avvocato COSSU BRUNO;
udito l’Avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO per delega
MICHELE ACCARO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di VENEZIA, depositata il 01/06/2009 R.G.N. 606/2008;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 1.6.2009, la Corte di Appello di Venezia accoglieva il gravame della
società Poste Italiane ed, in riforma della decisione impugnata, respingeva la domanda
proposta da Trombin Franco intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del
licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato al predetto con missiva
del 4.7.2002 dalla società. Rilevava che, con telegramma del 18.3.2002, il Trombin aveva

la società aveva comunicato il rigetto della richiesta, invitando il dipendente ad attivarsi per
programmare la fruizione dell’intero periodo di spettanza. Osservava che il lavoratore non
aveva contestato in modo specifico e puntuale la sussistenza delle esigenze di servizio
enunciate, sostenendo, invece, la tesi secondo cui, qualora il lavoratore assente per
malattia avesse maturato il diritto ad un periodo di ferie, la scadenza del periodo di
comporto era prorogata sino all’esaurimento dei giorni di ferie maturati e non goduti, tanto
più se vi era una espressa richiesta di fruizione delle ferie, e che il datore di lavoro, di
fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell’assenza per malattia in ferie e
nell’esercitare il potere di stabilire la collocazione temporale delle ferie armonizzando le
esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore, era tenuto ad una considerazione e
ad una valutazione adeguate alla posizione del lavoratore esposto alla perdita del posto di
lavoro con la scadenza del comporto. Evidenziava che ciò, tuttavia, non equivaleva ad
affermare che il lavoratore avesse un diritto incondizionato a sostituire alla malattia la
fruizione delle ferie maturate e non godute e che, di fronte all’invito di Poste a
programmare la fruizione dell’intero periodo di ferie di spettanza, il lavoratore avrebbe
dovuto chiedere di concordarne una diversa programmazione e che l’onere del datore di
specificare le esigenze aziendali sussisteva solo se il lavoratore ne avesse fatto puntuale
e specifica contestazione in sede di ricorso introduttivo. In ogni caso, in ordine alla
regolarità delle ricevute di accettazione delle raccomandate rilasciate dall’Ufficio Postale,
relative a domande inoltrate rispettivamente il 10.9.2001 ed il 18.2.2002, la prima delle
quali mancante del timbro di accettazione dell’Ufficio e la seconda del numero
identificativo della raccomandata, era stata fornita dalla società la prova finalizzata a
vincere la presunzione, solo relativa, dell’arrivo a destinazione, in mancanza di avviso di
ricevimento ma in presenza di attestazione della consegna. Ed invero, non poteva esigersi
dalla società Poste Italiane una prova ulteriore rispetto alle deposizioni degli addetti alla
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chiesto il prolungamento delle ferie arretrate di un’altra settimana per visite mediche e che

segreteria e rispetto alla accertata mancanza di trascrizione in apposito registro protocollo
delle istanze di aspettativa pervenute, a meno di non insinuarne la soppressione o il
boicottaggio.
Per la cassazione di tale decisione ricorre Il Trombin, affidando l’impugnazione a due
motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2109,
2110 e 1375 c. c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nonchè insufficiente motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.,
assumendo che, con telegramma del 18.3.2002, allorchè il periodo di comporto non era
ancora scaduto, aveva richiesto il prolungamento del periodo di ferie arretrate e che
l’azienda aveva risposto negativamente invitando esso istante a programmare la fruizione
dell’intero periodo di spettanza. Osserva al riguardo che la sentenza aveva rilevato il
prevalere delle esigenze aziendali sulla base della asserita mancata contestazione delle
stesse da parte del lavoratore, ma che una corretta interpretazione dell’art. 2019 c. c., in
connessione con l’art. 2110 c. c., avrebbe imposto una valutazione conforme a quanto
sancito dalla S. C. che, pure negando il meccanismo di automatico prolungamento del
comporto per i giorni corrispondenti alle ferie residue, per altro verso aveva ritenuto che su
richiesta del lavoratore si produca l’obbligo del datore di prendere in considerazione
l’ipotesi di accordare al medesimo le ferie durante un periodo di malattia, con ciò
palesandosi l’insufficienza del richiamo alle esigenze aziendali, in contrasto con il principio
di buona fede di cui all’art. 1375 c. c.. Con quesito domanda se, in presenza di una
espressa richiesta del lavoratore, il datore possa legittimamente rifiutare il computo come
ferie ancora spettanti di un periodo di malattia ed addurre generiche esigenze aziendali o
se debba, anche in attuazione del principio di buona fede e correttezza di cui all’art. 1375
c. c., fornire una giustificazione specifica e circostanziata al diniego di computo. Sostiene
che non debba essere il lavoratore a contestare la sussistenza delle esigenze aziendali,
osservando di avere precisato in ricorso che la richiesta era stata respinta per esigenze
aziendali insussistenti, che non potevano neanche essere conosciute dal lavoratore.
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Resiste la società, con controricorso.

Con il secondo motivo, il Trombin lamenta insufficiente motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., rilevando la
decisività della questione relativa alla richiesta dell’aspettativa, che avrebbe determinato il
mancato scadere del comporto. Sostiene che la sentenza motivi in modo insufficiente in
ordine al superamento della presunzione di ricevimento delle raccomandate, in base alla
mera affermazione della mancata ricezione, e che non possa rilevare la prova testimoniale

vincere la presunzione, tanto più in presenza di un principio secondo cui l’eventuale
malfunzionamento del servizio postale non può pregiudicare colui il quale invii un certo
atto tramite il servizio stesso, non potendo sicuramente essere onerato il mittente di
attivarsi di fronte al silenzio del destinatario.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
E’ principio già affermato da questa Corte quello secondo il quale il lavoratore ha la
facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo
di sospendere il decorso del periodo di comporto, dovendosi escludere una incompatibilità
assoluta tra ferie e malattia (cfr. Cass. 3 marzo 2009 n. 5078). E’ stato osservato che in
tali casi non sarebbe, invero, costituzionalmente corretto precludere il diritto alle ferie in
ragione delle condizioni psico-fisiche inidonee al loro pieno godimento – non potendo
operare, a causa della probabile perdita del posto di lavoro conseguente al superamento
del comporto, il criterio della sospensione delle stesse e del loro spostamento al termine
della malattia – perchè si renderebbe così impossibile la effettiva fruizione delle ferie e che
spetti, poi, al datore di lavoro, cui è generalmente riservato il diritto di scelta del tempo
delle ferie, dimostrare – ove sia stato investito di tale richiesta – di aver tenuto conto,
nell’assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore
ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di
comporto (cfr. Cass. 5078/2009 cit. e, nello stesso senso, Cass. 9 aprile 2003 n. 5521). E’
stato evidenziato, altresì, che un tale obbligo del datore non è configurabile solo
allorquando il lavoratore possa usufruire di altre regolamentazioni legali o contrattuali che
gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di
comporto, e in particolare del collocamento in aspettativa, ancorchè non retribuita (cfr„ sul
punto, Cass. 8 novembre 2000 n. 14490).
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espletata al riguardo, visto che la stessa introduce un mero fatto negativo inidoneo a

Nella specie deve ritenersi che la Corte del merito non abbia fatto corretta applicazione
del menzionato principio, laddove, pur richiamando il potere, conferito dalla legge (art.
2109 secondo comma c. c.) al datore di lavoro, di stabilire la collocazione temporale delle
ferie nell’ambito annuale, armonizzando le esigenze dell’impresa con gli interessi del
lavoratore e pur negando la sussistenza di un incondizionato diritto di quest’ultimo alla
sostituzione alla malattia delle ferie maturate e non godute, ha ritenuto, nel negare il diritto,

anche di quello di contestare la sussistenza delle esigenze aziendali, e che solo in tale
ipotesi il datore sarebbe stato tenuto ad una dettagliata specificazione delle esigenze
aziendali. Tale aggravamento dell’onere probatorio non è in linea con le finalità
evidenziate dalla giurisprudenza di legittimità richiamata, che valorizza anche in tale
ambito gli “obblighi di buona fede e correttezza” cui sono tenute le parti, obblighi che
trovano la relativa formulazione positiva nell’art. 1175 c.c., a tenore del quale “il debitore e
il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza” ed un ulteriore
supporto nel successivo art. 1375 c.c., ove si sancisce che “il contratto deve essere
eseguito secondo buona fede”. Nel caso concreto, il Giudice d’appello, pur dando atto
correttamente che non esisteva nessuna norma che imponesse l’accoglimento delle ferie rimesse ad una valutazione discrezionale del datore di lavoro chiamato a bilanciare
esigenze contrapposte -, non ha, tuttavia, considerato che, al fine di evitare il
licenziamento, e quindi la perdita del posto di lavoro, fonte di reddito per il Trombin e la
sua famiglia, l’ordinamento, in ossequio alle clausole generali della correttezza di buona
fede e correttezza, avrebbe imposto alla società di venire incontro alla richiesta del
lavoratore, una volta ponderati i contrapposti interessi. Sotto quest’ultimo profilo, la Corte
d’appello non ha proceduto in modo congruo a valutare se il comportamento della società
fosse stato improntato all’applicazione del criterio del bilanciamento, ritenendo, in modo
assorbente, che la necessità di esplicitazione delle esigenze aziendali ostative alla
fruizione delle ferie residue fosse conseguenza unicamente di una specifica contestazione
del lavoratore, nella specie non avanzata dall’interessato.
All’accoglimento del primo motivo di ricorso, che determina l’assorbimento delle ulteriori
questioni prospettate con l’altro motivo di impugnazione, consegue la cassazione della
decisione impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello designata in

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che il lavoratore fosse gravato, oltre che dell’onere di inoltrare una richiesta di fruizione,

dispositivo, che dovra’ procedere a nuovo esame secondo i principi giurisprudenziale
enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte

Così deciso in Roma, il 18.4.2013

di Appello di Trieste.

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