Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14469 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27757/2018 R.G. proposto da:

Cogaspiù S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Stefano

Recchioni e dall’Avv. Luigi di Iorio, con domicilio eletto presso lo

studio del primo in Roma, corso Trieste, n. 37;

– ricorrente –

contro

ESA S.r.l. e S.W., rappresentati e difesi dall’Avv.

Cristiano Maria Sicari, con domicilio eletto in Roma, via Augusto

Riboty, n. 22, presso lo studio dell’Avv. Enrico Zaccaretti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, n. 448/2018,

depositata il 9 marzo 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 febbraio

2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. La Corte d’appello di L’Aquila dichiarò inammissibile, poichè tardivo, l’appello proposto da Cogaspiù S.r.l., nei confronti di ESA S.r.l. e S.W., avverso la sentenza del Tribunale di Chieti che, esclusa la legittimazione passiva del S., aveva dichiarato risolto il contratto intercorso tra le due società e, operata la compensazione tra le reciproche ragioni di credito, aveva condannato Cogaspiù a pagare in favore di ESA il residuo debito a suo carico.

Ritenne, infatti, validamente perfezionata la notifica della sentenza di primo grado e idonea pertanto a far decorrere il termine breve per impugnare, già scaduto al momento della proposizione dell’appello.

2. Tale decisione è stata impugnata da Cogaspiù per revocazione, ex art. 395 c.p.c., n. 4, sul rilievo che detta notifica, diretta al procuratore domiciliatario in primo grado, non s’era in realtà perfezionata, poichè effettuata, a mezzo posta, ad un indirizzo errato (via (OMISSIS) invece che via (OMISSIS) della stessa città) e che il diverso convincimento espresso dal giudice d’appello (secondo cui la dedotta nullità della notificazione doveva comunque considerarsi sanata, ex art. 156 c.p.c., per il raggiungimento dello scopo, avendo la stessa parte ammesso, in giudizio, di essere in possesso degli avvisi, per averli rinvenuti all’interno della propria cassetta delle lettere) doveva considerarsi frutto di errore di fatto revocatorio.

3. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’impugnazione ritenendo che il fatto, di cui si deduceva l’erronea supposizione in sentenza, aveva in realtà costituito punto controverso sul quale la sentenza revocanda si era pronunciata.

4. Avverso tale sentenza Cogaspiù S.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistono gli intimati, depositando controricorso.

5. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza per omissione di pronuncia e, dunque, per violazione del principio generale dell’art. 112 c.p.c.”.

Secondo la ricorrente l’errore revocatorio, non riconosciuto dal giudice a quo, riguarderebbe l’assunto, espresso nella sentenza che ha ritenuto inammissibile l’appello, secondo cui dall’ammissione dell’Avv. Di Iorio di avere rinvenuto gli avvisi nella propria cassetta postale, si ricaverebbe che il postino li avrebbe lasciati effettivamente in via (OMISSIS), e non invece in via (OMISSIS) come verbalizzato sugli avvisi stessi. Proprio in ragione di tale verbalizzazione, facente fede fino a querela di falso, il fatto in questione (ossia l’essere stati gli avvisi lasciati nella cassetta postale dello studio dell’Avv. Di Iorio, in via (OMISSIS)) avrebbe invece dovuto considerarsi incontrastabilmente escluso, con la conseguenza che l’avvenuta conoscenza riferita dallo stesso Avv. Di Iorio non poteva essere temporalmente collocata nella data indicata negli avvisi (18/5/2015) e considerata dalla Corte d’appello ai fini della determinazione del dies a quo (10 giorni dopo quella data) per il decorso del termine breve per impugnare, ma in imprecisata epoca successiva.

Ciò posto, assume la ricorrente che l’errore del giudice d’appello si riverbera nella sentenza qui impugnata che ha rigettato la revocazione, determinandone la nullità per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ex art. 112 c.p.c., non avendo il giudice a quo dato risposta a tale motivo di impugnazione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione perplessa, manifestamente contraddittoria e meramente apparente”.

Lamenta in sintesi che, non avendo la Corte d’appello, giudice della revocazione, colto esattamente quale fosse l’errore revocatorio segnalato, la motivazione resa a giustificazione del convincimento secondo cui il giudice d’appello si era pronunciato sul fatto oggetto del segnalato errore, risulta meramente apparente, perplessa e contraddittoria.

3. E’ infondato il primo motivo di ricorso.

La Corte d’appello ha espressamente preso in esame il motivo di revocazione, esponendone il contenuto alle pagine 3 e 4 e, segnatamente, sintetizzando il nucleo della critica nel primo capoverso di pag. 4, nei seguenti testuali termini: “la ricorrente fa… rilevare che a quell’indirizzo (v. (OMISSIS)) l’agente postale non poteva avere trovato lo studio del proprio difensore, per il dirimente rilievo che quello studio si trovava altrove (in v. (OMISSIS)), sicchè la notifica era affetta da nullità, ed anzi da giuridica inesistenza”.

Non può dubitarsi che tale sintesi colga la ragione di fondo del motivo di revocazione, nè del resto l’odierna ricorrente sostiene che quello esaminato fosse altro e diverso motivo di revocazione.

Ciò vale certamente ad escludere la dedotta violazione dei doveri decisori di cui all’art. 112 c.p.c., denunciata dal ricorrente, che si configura soltanto nell’ipotesi in cui sia mancata del tutto, da parte del giudice, ogni statuizione sulla domanda o eccezione proposta in giudizio (v. ex multis Cass. 15/07/2016, n. 14474; 07/04/2004, n. 6858).

La ricorrente del resto, nell’illustrare il motivo, lungi dal giustificare l’affermazione di una siffatta radicale violazione del dovere decisorio, lamenta solo, in buona sostanza, l’erroneità ovvero la non pertinenza delle considerazioni svolte dal giudice della revocazione (secondo cui il fatto processuale che sarebbe stato erroneamente postulato dal giudice d’appello aveva in realtà costituito punto controverso sul quale il giudice d’appello si era pronunciato).

In disparte ogni altra considerazione di merito, appare però evidente che siffatta censura non vale a evidenziare un vizio di omessa pronuncia ma semmai, in tesi, un diverso tipo di errore processuale (che non risulta specificamente dedotto), ossia un errore di valutazione da parte del giudice della revocazione circa la configurabilità in quanto esposto di un errore revocatorio.

4. In questa diversa prospettiva mette conto comunque incidentalmente osservare che le censure svolte risultano inconferenti rispetto alla ratio decidendi della sentenza in questa sede impugnata.

Esse invero in buona sostanza lamentano che, poichè il giudice d’appello non aveva dato congrue e pertinenti risposte alle difese opposte alla eccezione di tardività del gravame, il giudice della revocazione non avrebbe potuto considerare il fatto inciso dal dedotto errore revocatorio quale punto controverso sul quale il giudice d’appello si era pronunciato.

Una tale impostazione censoria però non corrisponde ad una corretta interpretazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Questo invero esclude che possa dedursi quale errore revocatorio l’affermazione (o la negazione) di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa (o, nel caso opposto, positivamente stabilita), se il fatto in questione “costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”, con ciò attribuendo rilievo di requisito negativo (la cui sussistenza impedisce, cioè, la denuncia di errore di fatto revocatorio) all’esistenza sul punto di una pronuncia del giudice della sentenza revocanda, quale che essa sia, senza che possa attribuirsi rilievo alla correttezza, fondatezza o comunque al quomodo di quella pronuncia, essendo questi ovviamente aspetti eventualmente suscettibili di essere censurati con l’appello o con il ricorso per cassazione.

5. Per analoghe considerazioni deve considerarsi infondato anche il secondo motivo.

Il vizio di motivazione apparente, causa di nullità della sentenza per violazione dei doveri decisori, e dunque per error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è configurabile (solo) quando la motivazione, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. ex multis Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; Cass. 23/05/2019, n. 13977).

Un tale vizio è certamente da escludere nella specie, essendo chiara, ben percepibile ed intrinsecamente coerente la motivazione offerta dal giudice a quo a giustificazione del rigetto della proposta revocazione (motivazione, come s’è detto, rappresentata dal rilievo che il supposto errore revocatorio ricadeva su un fatto processuale che aveva costituito punto controverso nel giudizio d’appello e sul quale il giudice si era espressamente pronunciato).

Anche in tal caso quel che viene in realtà denunciato non è l’incomprensibilità della motivazione bensì la sua asserita erroneità, ovvero incoerenza, non ab intrinseco ma ab extrinseco, rispetto cioè alla reale consistenza e ampiezza delle ragioni poste a fondamento della proposta revocazione, che è però censura ben diversa da quella dedotta di omessa o apparente motivazione, potendosi in tal senso rimandare alle considerazioni già sopra svolte (v. supra p.p. 3-4).

6. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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