Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14467 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16966-2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e

difeso dall’Avvocato CALOGERO CARUSO;

– ricorrente –

contro

D.M., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dall’Avvocato FRANCESCO NUCERA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2633/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 24/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 30/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PELLECCHIA

ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Master Trade S.r.l. aveva convenuto in giudizio, dinanzi il Tribunale di Ancona, la società Communications Italia S.r.l. e il sig. D.M. al fine di condannare i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni patrimoniali e non, quantificati nella misura di Euro 500.000,00, conseguenti alla condotta illecita adottata dal sig. D.M..

In particolare il sig. D.M. aveva inviato una comunicazione su carta intestata Master Trade S.r.l. alla Vodafone Omnitel NV, con cui “si rappresentava a quest’ultima un’apparente ipotesi di violazione”, da parte della società attrice, dell’obbligo di non commercializzare prodotti concorrenti rispetto a quelli venduti dalla Vodafone Omnitel. Di conseguenza quest’ultima chiedeva di risolvere il contratto stipulato fra le parti in data 21 maggio 2004.

Il Tribunale di Ancona, con sentenza n. 1318/2011 dichiarava D.M. responsabile del fatto illecito dedotto dalla parte attrice e condannava lo stesso al pagamento della somma di Euro 100.000,00 a titolo di risarcimento del danno in favore della Master Trade S.r.l.

2. La Corte d’Appello di Ancona in parziale accoglimento dell’appello proposto da D.M. ed in riforma della sentenza di primo grado respingeva la domanda proposta dalla Master Trade S.r.l. nei confronti di D.M. e la domanda ex art. 96 c.p.c proposta daquest’ultimo.

Ha pertanto condannato la Master Trade S.r.l. e C.M., in solido fra loro, a rifondere in favore di D.M. le spese di entrambi i gradi del giudizio.

3. Avverso la suddetta pronuncia propone ricorso per Cassazione C.M. sulla base di un unico motivo. D.M. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Eccepisce il C. che la corte d’appello d’Ancona non avrebbe minimamente preso in esame la comunicazione inviata dalla Communications Italia al fine di dimostrare il nesso di causa tra il fatto e l’ingiusto pregiudizio sofferto dalla Master Trade.

5. Il ricorso è innanzitutto inammissibile per violazione dell’art. 365 c.p.c.. E’ inammissibile il ricorso per cassazione quando la relativa procura speciale è senza alcun riferimento al ricorso introduttivo, alla sentenza impugnata o al giudizio di cassazione, ossia al consapevole conferimento, da parte del cliente, dell’incarico al difensore per la proposizione del giudizio di legittimità, così risultando incompatibile con il carattere di specialità di questo giudizio. Nel caso di specie la procura recava indicazioni esclusivamente riferibili ad incombenti processuali tipici dei gradi di merito, essendo così formulata: “Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente procedimento ed in ogni sua fase, stato e grado, od opposizione con… più ampia facoltà di legge ed in particolare quella di transigere e conciliare la lite, rinunciare agli atti del giudizio ed accettare rinunce, depositare quietanze ed incassare somme, proporre domande riconvenzionali Cass. 4069/2020. 16040/2020.

E comunque – si nota meramente ad abundantiam – sarebbe ugualmente inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

Il Collegio rileva che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti ed è pertanto inammissibile. Nel ricorso in oggetto manca del tutto il fatto processuale.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

7. Infine, va emessa la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, come novellato dalla L. n. 228 del 2012, la quale deve seguire il principio secondo cui, trattandosi di attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità in mancanza di procura speciale, su di esso grava la pronuncia relativa alle spese processuali, anche rispetto dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato predetto (cfr. già Cass. 21 settembre 2015, n. 18577, fra le altre).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’avvocato Calogero Caruso al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.600 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell’avv. Calogero Caruso, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

 

 

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