Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14467 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26434/2018 R.G. proposto da:

S.C., S.S., S.M.,

rappresentati e difesi dall’Avv. Andrea Leoni, con domicilio eletto

in Roma, via dei Gracchi, n. 318;

– ricorrenti –

contro

Allianz S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Clemente,

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Crescenzio,

n. 17/A;

– controricorrente –

e nei confronti di:

B.H.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia, n. 2081/2017,

depositata il 16 marzo 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 febbraio

2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con ricorso L. 21 febbraio 2006, n. 102, ex art. 3, del 18/9/2007, S.C., G.G.P., S.S. e S.M. – rispettivamente padre, madre e fratelli di S.D. – adirono il Tribunale di Verona, sezione distaccata di Legnago, chiedendo la condanna di B.H. e della Allianz Subalpina S.p.a., in solido, al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della morte del predetto loro congiunto, avvenuta a seguito del sinistro verificatosi la notte del (OMISSIS), intorno alle ore 00.45, allorquando quest’ultimo, alla guida della propria Volkswagen Golf, immettendosi sulla (OMISSIS) provenendo da strada laterale, veniva investito in pieno dal furgone Fiat Daily, condotto da B.H., che in quel momento transitava sulla strada statale.

Nella resistenza della compagnia assicuratrice (che deduceva l’esclusiva responsabilità del S., per essersi immesso sulla strada statale senza rispettare il segnale di stop, ponendosi alla guida della propria autovettura in grave stato di ebbrezza alcolica) e nella contumacia del B., il Tribunale, all’esito dell’istruzione condotta, con sentenza depositata il 28/9/2016 – ritenuta la pari concorrente responsabilità di entrambi i conducenti – condannò il B. e la compagnia assicuratrice al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dagli attori, liquidati al netto della percentuale di colpa concorrente ascritta al proprio congiunto.

2. In parziale accoglimento del gravame interposto da Allianz S.p.A., la Corte d’appello di Venezia ha diversamente ripartito le percentuali di colpa concorrente, attribuendola in maggior misura (70%) a S.D. e solo nella residua percentuale del 30% al B., ed ha conseguentemente proporzionalmente ridotto il risarcimento spettante agli appellati.

Ha infatti ritenuto, in sintesi, che l’omessa precedenza da parte del conducente della Golf fosse “infrazione particolarmente grave, avendo posto in essere la causa principale dell’incidente, in mancanza della quale questo non si sarebbe verificato, mentre la velocità eccessiva tenuta dal furgone, pur in violazione del limite di velocità e delle cautele che le condizioni di tempo e di luogo avrebbero imposto

appare condotta di minore gravità, ancorchè anch’essa causalmente collegabile al decesso dell’automobilista”.

Ha rimarcato al riguardo che “l’autovettura è fuoriuscita dalla via laterale senza nemmeno arrestarsi alla linea di stop, e quindi precludendo maggiormente al B. di accorgersi in tempo utile della sopravvenienza da destra dell’auto che gli avrebbe tagliato la strada ed impedendogli così di adottare una qualsiasi manovra d’emergenza per evitare la collisione, tanto è vero che sulla carreggiata non sono state riscontrate tracce di frenata del furgone.

“Quest’ultimo veicolo, inoltre, proveniva da un tratto rettilineo, sicchè l’altro conducente aveva tutta la possibilità di avvedersi del suo arrivo prima di immettersi nel crocevia”.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, con unico mezzo, S.C., S.S. e S.M., in proprio e nella qualità di eredi di G.G.P., deceduta nelle more del giudizio di primo grado, cui resiste la Allianz S.p.A., depositando controricorso.

L’altro intimato è rimasto tale.

4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione agli art. 115 e 140 c.p.c., e art. 2054 c.c., per omesso esame di un fatto decisivo della controversia nonchè violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, dell’art. 2054 c.c.”.

Si dolgono che la Corte d’Appello, nel determinare il riparto di responsabilità nella causazione del sinistro, non ha valutato quanto emergente dalla relazione di c.t.u. e cioè che, se il veicolo condotto dal B. avesse mantenuto una velocità pari al limite dei 50 km/h, l’incidente non si sarebbe verificato: i due veicoli, infatti, in quel caso, non avrebbero avuto possibilità di scontro o, comunque, questo sarebbe avvenuto nella parte terminale della fiancata sinistra del veicolo condotto dal S. e non nella parte centrale, lato guida.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme evocate in rubrica, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze istruttorie, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle prove, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito.

2.2. Anche il vizio di motivazione viene dedotto in modo difforme da quanto disposto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, e cioè quale omesso esame di fatto decisivo e controverso.

E’ appena il caso di rammentare al riguardo che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. U. 22/09/2014, n. 19881; Sez. U. 07/04/2014, n. 8053).

Nel caso di specie è evidente che la doglianza si volge invece a considerare non già l’omissione rilevante ai fini del cit. art. 360 c.p.c., n. 5, bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede.

Mette conto in tal senso rimarcare che, in realtà, la sentenza impugnata – come può del resto ricavarsi anche dalla sintesi che ne è stata fatta sopra, nella parte narrativa della presente ordinanza -prende espressamente in considerazione la circostanza che i ricorrenti lamentano essere stata obliterata, ribadendo che anche al mancato rispetto del limite di velocità da parte del conducente del veicolo antagonista è certamente ascrivibile un contributo causale nella verificazione del sinistro (ciò che evidentemente null’altro significa se non che, ove quel limite fosse stato rispettato, l’incidente non si sarebbe verificato o, comunque, non con quelle modalità ed effetti lesivi).

Ciò però non osta alla successiva – legittima e, anzi, doverosa -graduazione della gravità e dell’efficacia causale di tale violazione in confronto con quella ascrivibile anche alla vittima (del cui comportamento ovviamente può allo stesso modo dirsi che, se fosse stato rispettoso delle regole imposte dalla disciplina della circolazione nel tratto di strada in questione, l’incidente, con ancora maggiore probabilità, non si sarebbe verificato).

Ciò rende evidente l’inconferenza della censura in quanto non coglie tale struttura logica della valutazione compiuta dal giudice di merito o, comunque, ne palesa altro profilo di inammissibilità, in quanto indirettamente rivolta a contestare la mera graduazione delle colpe concorrenti, che, come noto, secondo principio incontrastato nella giurisprudenza di questa Corte, costituisce tipica espressione del giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità, se non sul piano della motivazione (v. Cass. 26/10/1973, n. 2782): ciò che però può oggi essere consentito solo nei visti ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.3. Palesemente generico è poi il riferimento, in rubrica, agli artt. 115 e 116 c.p.c., nè l’illustrazione del motivo offre elementi che consentano di apprezzarne la pertinenza.

Varrà rammentare al riguardo che, come già più volte chiarito da questa Corte, “per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115, è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dal cit. art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non à caso è rubricato alla “valutazione delle prove”” (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 20/10/2016, n. 21238).

Allo stesso modo, sotto il profilo della pure dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., è appena il caso di rilevare che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione di detta norma (la quale sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non certo secondo la prospettazione evocata in ricorso (la quale si risolve, come detto, nella proposta di una diversa lettura delle risultanze istruttorie), ma solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892).

3. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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