Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14466 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. II, 30/06/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 30/06/2011), n.14466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29254/2005 proposto da:

C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MANCINI A, presso lo studio dell’avvocato SCIARRA CLAUDIO, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato DI MEO

STEFANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TASSANI

PIER PAOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 570/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato Sciarra Claudio difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Di Meo Stefano difensore del resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato nel febbraio 1985 C.A. citò al giudizio del Tribunale di Ravenna A.A., al fine di sentirlo condannare al ritiro di merce difettosa (generi da abbigliamento) che aveva dal medesimo acquistato, dichiarare inesistente il credito per il relativo pagamento e condannarlo al risarcimento dei danni. A sostegno della domanda l’attrice esponeva che l’ A., avendole inviato merce difettosa, e peraltro, in quantità superiore a quella ordinatagli, si era impegnato a ritirarla e sostituirla e che, solo a fronte di tale impegno, essa attrice aveva, con scrittura del 6.2.83, autorizzato l’emissione di tratte per L. 133.000.000; soggiungeva che, avendo il suddetto ritirato soltanto una minima parte della merce difettosa, ella aveva dovuto diffidarlo dall’emettere le tratte, al che la controparte aveva presentato una richiesta di fallimento nei propri confronti, sicchè era stata costretta a depositare la somma richiestale su un libretto vincolato, sottoposto dall’assunto creditore a pignoramento, il cui conseguente procedimento esecutivo era stato poi sospeso.

Costituitosi il convenuto, chiese il rigetto della domanda, opponendo una scrittura ricognitiva di debito rilasciatagli il 2.5.83 e chiese, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni per inadempimento.

Con sentenza del 26.4.94 l’adito tribunale ridusse il riconosciuto debito, di L. 133.000.000, del 60%, in ragione degli accertati vizi della merce, e rigettò la domanda riconvenzionale. Su appello dell’ A. la Corte di Bologna, con sentenza del 26.6.97, in riforma di quella impugnata rigettò la domanda attrice, ritenendo prescritta l’azione di garanzia. Ma a seguito del ricorso della C. questa Suprema Corte, con sentenza del 27.9.00, rilevato che quella di appello non aveva esaminato le difese svolte dall’attrice per contrastare la suddetta accolta eccezione, cassò la decisione impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di provenienza. A seguito della riassunzione da parte della C. e della conseguente costituzione dell’ A., sulle precedenti opposte conclusioni, con sentenza in data 20.5.05 la corte bolognese rigettò nuovamente la domanda di garanzia per prescrizione, compensando tuttavia le spese del grado e quelle di legittimità.

I giudici di rinvio ritenevano, sulla base di una complessiva valutazione delle risultanze testimoniali, che l’impegno al ritiro della merce da parte dell’ A. avesse riguardato soltanto quella consegnata in esubero rispetto all’ordinativo, e non anche quella poi contestata dalla C. perchè difettosa, e che, pur essendo risultato provato ed ammesso un successivo parziale ritiro (relativo a 1076 paia di guanti, per un valore di L. 1.936.800), trattandosi di “un episodio sporadico, ” non fosse stata raggiunta anche la prova di un riconoscimento e di un impegno di maggiore portatagli da comportare l’applicazione dell’ordinario termine prescrizionale, per cui, trovava applicazione quello breve ex art. 1495 c.c. già decorso all’atto dell’instaurazione del giudizio. Neppure avrebbe potuto operare il principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum, non avendo nella specie la C. sollevato una “eccezione riconvenzionale”, bensì “proposto autonoma domanda diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa della sua liberazione al pagamento della somma che le veniva chiesta dall’ A. fuori del processo”.

Contro la suddetta sentenza la C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Ha resistito l’ A. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1495 c.c., omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, inosservanza del principio di diritto enunciato nella sentenza della Corte di Cassazione.

Premesso che con quest’ultimo era stato devoluto alla corte territoriale il compito di esaminare, ai fini dell’individuazione del termine prescrizionale, ordinario oppure breve, il comportamento tenuto dall’ A. con riferimento all’assunzione o meno dell’obbligo di ritirare la merce difettosa, si lamenta che i giudici di rinvio, mediante malgoverno delle risultanze processuali, sarebbero pervenuti alla conclusione dell’applicabilità del termine breve per la ritenuta mancanza del riconoscimento dei vizi e della prova dell’esistenza di un impegno dell’ A. al ritiro della merce viziata, così risolvendo la controversia in sostanziale inosservanza del principio di diritto enunciato da questa corte.

La tesi dei giudici di rinvio, secondo cui l’impegno al ritiro riferito dai testi avrebbe riguardato soltanto l’eccedenza della fornitura rimasta invenduta, non avrebbe potuto giustificare la dichiarazione di prescrizione, poichè in quel caso, non essendosi in presenza di vizi, o non avrebbero trovato spazio le disposizioni di cui all’art. 1495 c.c., oppure, anche a voler considerare l’eccedenza alla stregua di un “vizio”, il riconoscimento della stessa e l’impegno al ritiro avrebbero determinato la novazione dell’obbligazione, con applicazione anche in questo caso del termine prescrizionale ordinario.

La valutazione, congetturale e dubitativa, delle risultanze testimoniali sarebbe stata inadeguata, avendo la corte di merito, nella propria ricostruzione della vicenda, “visto solo una parte della verità”, senza tener conto del chiaro tenore letterale delle deposizioni, riferenti di merce restituita, che non “si riusciva a vendere” e, con altrettanto inequivoca chiarezza, dell’impegno dell’ A. al ritiro o alla sostituzione della merce viziata, termine quest’ultimo il cui significato non avrebbe potuto riferirsi ad una eccedenza.

I giudici di rinvio non avrebbero, poi, tenuto conto, ai fini dell’applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte, della natura novativa del patto, consacrato nella scrittura privata del 6.2.83, contenente l’autorizzazione della C. ad emettere tratte per L. 133.000.000, che in ogni caso avrebbe comportatocene in considerazione dell’apporto “indiziante” di una prodotta dichiarazione giurata (circa l’assunzione dell’impegno al ritiro della merce invenduta), ingiustificatamente dalla corte eliminata dal contesto probatorio, la decorrenza di un nuovo termine, quello ordinario, in luogo di quello breve iniziale di cui all’art. 1495 c.c..

Il motivo non merita accoglimento.

Questa Corte aveva demandato a quella territoriale il compito di indagare sulle circostanze prospettate dalla parte appellata sin dall’introduzione del giudiziosi fine di verificare se la controparte avesse riconosciuto i vizi e si fosse impegnata al ritiro ed alla sostituzione della merce difettosa, così assumendo una nuova obbligazione che, sostituendosi a quella originaria, sarebbe stata, secondo un principio giurisprudenziale già costante e recepito nella pronunzia di legittimità, svincolata dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1495 c.c. o soggetta a quello della prescrizione ordinaria.

A tale compito i giudici di rinvio si sono attenuti, sottoponendo ad una complessiva ed elaborata valutazione critica, adeguatamente motivatale risultanze probatorie acquisite e pervenendo alle conclusioni, in narrativa riferite, secondo cui l’impegno al ritiro della merce, intervenuto in una prima fase della vicenda, aveva riguardato soltanto quella parte, eccedente il quantitativo effettivamente ordinato, che fosse rimasta ancora invenduta, mentre invece il successivo riconoscimento dei vizi ed il ritiro era stati comprovati esclusivamente con riferimento ad un parte molto limitata della fornitura, costituita da una partita di guanti. Tale ricostruzione dei fatti non risulta congetturale o perplessa, facendo leva su precise circostanze (in particolare su quella che le proteste telefoniche del marito della C., a fronte delle quali l’ A. aveva promesso il ritiro della merce invenduta, si erano verificate immediatamente all’atto del recapito, prima ancora che avvenisse lo scarico e senza alcun esame della merce, ancora “imballata”), sicchè non risultando illogica, non può essere sottoposta a censure in questa sede, sol perchè opinabile, secondo la tesi di parte ricorrente. Deve ancora aggiungersi che, quand’anche le risultanze fossero state dubitative, le conseguenze non avrebbero potuto essere diverse, posto che l’onere probatorio dell’assunzione dell’impegno al ritiro ed alla sostituzione della merce difettosa gravava sulla parte appellante, che aveva dedotto le circostanze, al fine di superare l’applicabilità del termine prescrizionale di cui all’art. 1495 c.c., che nella specie si rendeva naturalmente applicabile, in considerazione della natura del contratto e della specificità dell’obbligazione legale in questione ed in assenza di diverse convenzioni tra le parti.

Infondato è anche il profilo di censura, relativo alla mancata considerazione della “dichiarazione giurata”, di cui la corte territoriale non avrebbe tenuto conto, anzitutto perchè correttamente nè è stata, in via di principio, negata la rilevanza, risolvendosi siffatti mezzi di prova atipici nell’elusione delle garanzie formali e di contraddittorio disciplinanti la prova testimoniale, soprattutto quando questa sia stata regolarmente espletata nel giudizio, ma anche perchè, di fatto, i giudici di merito l’hanno pure ed in subordine valutata (evidenziandone la maggior concludenza, semmai, ai fini della tesi dell’impegno al ritiro della merce eccedente ed invenduta, da parte dell’ A., che aveva prodotto il documento).

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1495, 2943, 2944, 2938 c.c., 112 c.p.c., omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi ed inosservanza del principio di diritto enunciato nella sentenza di legittimità, censurandosi in particolare la mancata considerazione: a) del giudicato interno, che si sarebbe formato sull’affermazione, non oggetto di appello, contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui il documentato riconoscimento dei vizi ex art. 1495 c.c., comma 2, avrebbe fatto venir meno la decadenza; b) che l’accoglimento del ricorso da parte di questa Corte era avvenuto per la mancata motivazione, da parte di quella di appello, sulle ragioni per cui il suddetto riconoscimento non valesse anche ad escludere la prescrizione breve, tenuto conto del pur accertato impegno a ritirare e sostituire la merce; c) che tale riconoscimento avrebbe comunque costituito evento interruttivo della prescrizione ex art. 2944 c.c., rilevabile anche di ufficio, secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 15661/05; d) che analogo effetto avrebbero spiegato la scrittura del 6.2.83, la diffida del 30.5.83, il ritiro della merce da parte dell’ A. e la costituzione da parte della C. a seguito del ricorso per la sua dichiarazione di fallimento, sede nella quale aveva contestato la pretesa di pagamento anche con una perizia di parte; e) che la successiva azione della C., riconnettendosi alla suddetta costituzione, avrebbe integrato non una “autonoma domanda” diretta alla dichiarazione della sussistenza, come ritenuto dalla corte, bensì una “eccezione” a tal fine e, come tale, in base al principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum, dettato dall’art. 1495 c.c., comma 3, u.p., ben avrebbe potuto essere proposta anche dopo il decorso del termine annuale, ove nella specie applicabile.

Il mezzo d’impugnazione non merita miglior sorte del precedente, delle cui censure risulta in buona parte e mutalis verbis ripropositivo.

La tesi del “giudicato interno” sull’avvenuto riconoscimento dei vizi è priva di alcun fondamento, considerato che l’unica circostanza, al riguardo accertata dal giudice di primo e rimasta incontestata nei successivi gradi, è quella relativa alla partita di guanti di cui si riferito, mentre per il resto rimanevano controversi non solo l’oggetto e la portata dell’impegno al ritiro, ma anche quelli della sussistenza dei vizi: tant’è che questa Corte, nel cassare con la sentenza di secondo grado, ha demandato ai giudici di rinvio di accertare l’una e l’altra circostanza (v. penultima pagina della sentenza rescindente), al fine della corretta individuazione del termine prescrizionale applicabile, compito al quale, come si è già osservato esaminando il precedente motivo, la corte territoriale si è correttamente attenuta, pervenendo a motivate ed incensurabili conclusioni.

I profili di censura successivi vanno pertanto disattesi, perchè poggiano tutti sulla tesi, rimasta non provata, che il riconoscimento e l’impegno al ritiro e sostituzione avrebbe riguardato non solo la limitata partita di merce di cui si è detto, ma anche il resto o gran parte della fornitura. L’ultimo, relativo all’opponibilità dei vizi in via di eccezione, ai sensi dell’ultima parte dell’art. 1495 c.c., comma 3, è manifestamente infondato, considerato che la C., proponendo una domanda di accertamento negativo dell’obbligazione di pagamento a suo carico gravante ex contractu, era gravata ex art. 2697 c.c. dal relativo onere probatorio e, pertanto, avrebbe dovuto dimostrare, essendo incontroversa la fonte negoziale dell’obbligazione suddetta, l’insussistenza del debito in questione per effetto del fatto impeditivo, costituito dall’inesatto adempimento della controparte, a nulla rilevando che, in altra e precedente sede giudiziaria, fosse stata la controparte ad azionare il credito, non costituendo il presente processo la prosecuzione o la riassunzione di quello intrapreso, con l’iniziativa fallimentare, dal creditore. Il ricorso va conclusivamente respinto, con condanna della soccombente alle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio, in favore del resistente, in misura di complessivi Euro 2.200,00, di cui 200 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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