Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14464 del 15/07/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. VI, 15/07/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 15/07/2016), n.14464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15160/2013 proposto da:

A.L. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PASQUALINO CAPOZZOLI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, ((OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1309/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

28/11/2012, depositata il 06/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/5/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato MAURO RICCI difensore del controricorrente che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata:

“Con sentenza n. 1309/2012, depositata in data 6 dicembre 2012, la Corte di appello di Salerno accoglieva parzialmente l’appello proposto da A.L. nei confronti dell’I.N.P.S. e, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto in toto la domanda dell’ A., riconosceva il diritto dell’appellante alla pensione di inabilita’ sin dalla data della revoca ritenendo, pero’, non sussistente, per difetto del requisito sanitario, quello all’indennita’ di accompagnamento.

Avverso detta sentenza A.L. ricorre per cassazione con un motivo.

L’I.N.P.S. resiste con controricorso.

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia: “Violazione o falsa applicazione della L. n. 18 del 1980, nonche’ insufficiente motivazione”. Assume che la Corte territoriale ha erroneamente condiviso il giudizio espresso dal consulente tecnico d’ufficio il quale non aveva fornito alcuna puntuale risposta alla richiesta di comparazione tra lo stato invalidante dell’appellante prima della revoca e quello successivo a tale provvedimento ed inspiegabilmente non aveva attribuito rilievo alla pure evidenziata condizione di insufficienza mentale di tipo “grave con associata caratteropatia d’innesto” e cioe’ ad una condizione non compatibile con l’autonomia nello svolgimento degli atti quotidiani della vita e soprattutto con la capacita’ di gestire qualsiasi rapporto utile con il mondo circostante, nei termini di cui alla previsione legislativa.

Si osserva preliminarmente che il motivo supera il vaglio di ammissibilita’ atteso che la censura, pur con una intitolazione (insufficiente motivazione) che richiama l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione precedente alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, art. 6 (applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate, come nel caso di specie, successivamente al trentesimo giorno dall’entrata in vigore, fissata al 12/8/2012), denuncia, in realta’, la presenza di cosi’ forti contrasti tra affermazioni inconciliabili dell’elaborato peritale (fatto proprio dalla Corte territoriale) oltre che contraddizioni ed incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a base della soluzione scelta e da rendere la motivazione del tutto inidonea a dare conto del senso della decisione. Senza dire che e’ comunque denunciata una violazione di legge sostenendosi da parte del ricorrente una erronea interpretazione da parte del giudice di merito (e del suo ausiliare) del concetto di incapacita’ di compiere gli atti quotidiani della vita di cui della L. n. 18 del 1980, art. 1 (asseritamente rapportabile alla capacita’ di gestire qualsiasi rapporto utile con il mondo), il che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (riscontro non corretto di un elemento normativo del paradigma di riferimento usato per il giudizio di sussunzione).

Il rilievo, poi, e’ formulato in modo sintetico ma chiaro anche mediante il rinvio ad atti e documenti delle precedenti fasi del giudizio che sono puntualmente indicati e dei quali sono trascritte le parti essenziali a reggere le censure.

Tanto precisato, il motivo merita accoglimento.

Se pure infondatamente il ricorrente assume che, nella specie, essendo intervenuta una revoca dell’indennita’ di accompagnamento, occorresse dimostrare l’esistenza di un effettivo miglioramento rispetto alla condizione gia’ in precedenza accertata (si ricorda che nel caso della revoca di una prestazione, oggetto della controversia non e’ la legittimita’ dell’atto di revoca bensi’ l’esistenza stessa del diritto alla prestazione, di talche’ la situazione esistente al tempo del riconoscimento resta irrilevante, ed irrilevante e’ il raffronto fra questa e la situazione esistente al tempo della revoca – cosi’ Cass. 21 luglio 2000, n. 9638; Cass. 9 luglio 2003, n. 10816; Cass. 14 luglio 2004, n. 10816 -), le doglianze afferenti la ritenuta condizione di autonomia colgono nel segno.

Va osservato, in termini generali, che l’indennita’ di accompagnamento e’ una prestazione del tutto peculiare in cui l’intervento assistenziale non e’ indirizzato – come avviene per la pensione di inabilita’ – al sostentamento dei soggetti minorati nelle loro capacita’ di lavoro (tanto e’ vero che l’indennita’ puo’ essere concessa anche a minori degli anni diciotto e a soggetti che, pur non essendo in grado di deambulare senza l’aiuto di un terzo, svolgano tuttavia un’attivita’ lavorativa al di fuori del proprio domicilio), ma e’ rivolto principalmente a sostenere il nucleo familiare onde incoraggiare a farsi carico dei suddetti soggetti, evitando cosi’ il ricovero in istituti di cura e assistenza, con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale (cfr. Cass. 28 agosto 2000, n. 11295; id. 21 gennaio 2005, n. 1268; 23 dicembre 2011, n. 28705).

Va, poi, specificato che il diritto all’indennita’ di accompagnamento spetta sia nel caso in cui il bisogno dell’aiuto di un terzo si manifesti per incapacita’ di ordine fisico, sia per malattie di carattere psichico.

Quanto alle incapacita’ di ordine materiale questa Corte ha precisato che la nozione di incapacita’ di compiere autonomamente le comuni attivita’ del vivere quotidiano con carattere continuo comprende anche le ipotesi in cui la necessita’ di far ricorso all’aiuto di terzi si manifesta nel corso della giornata ogni volta che il soggetto debba compiere una determinata attivita’ della vita quotidiana per la quale non puo’ fare a meno dell’aiuto di terzi, per cui si alternano momenti di attesa, qualificabili come di assistenza passiva, a momenti di assistenza attiva (cosi’ Cass. 11 aprile 2003, n. 5784).

Con riferimento alle malattie psichiche, questa Corte ha precisato che l’indennita’ di accompagnamento, va riconosciuta, alla stregua di quanto previsto della L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1, anche in favore di coloro i quali, pur essendo materialmente capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana (quali nutrirsi, vestirsi, provvedere alla pulizia personale, assumere con corretta posologia le medicine prescritte) necessitino della presenza costante di un accompagnatore in quanto, in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva dovuti a forme avanzate di gravi stati patologici, o a gravi carenze intellettive, non siano in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignita’ personale senza porre in pericolo se’ o gli altri. Va, al riguardo citata la giurisprudenza di questa Corte in materia di psicopatie con incapacita’ di integrarsi nel proprio contesto sociale. Cosi’, ad esempio, e’ stato riconosciuto il diritto all’indennita’ di accompagnamento: a persona, che per deficit organici e cerebrali fin dalla nascita si presentava incapace di “stabilire autonomamente se, quando e come” svolgere gli atti elementari della vita quotidiana, riferendosi l’incapacita’ non solo agli atti fisiologici giornalieri “ma anche a quelli direttamente strumentali, che l’uomo deve compiere normalmente nell’ambito della societa’” (Cass. 7 marzo 2001, n. 3299); a persona che, per infermita’ mentali, difettava anche episodicamente di autocontrollo si’ da rendersi pericolosa per se’ e per altri (Cass. 21 aprile 1993, n. 4664); a persona che, per un deficit mentale da sindrome plico-organica derivante da microlesioni vascolari localizzate nella struttura cerebrale e destinate a provocare nel tempo una vera e propria demenza, non poteva sopravvivere senza l’aiuto costante del prossimo (Cass. 22 gennaio 2002, n. 667); a persona che, anche per un deterioramento delle facolta’ psichiche (in un quadro clinico presentante tra l’altro ictus ischemico e diabete mellito), mostrava una “incapacita’ di tipo funzionale”, di compiere cioe’ “l’atto senza l’incombente pericolo di danno (per l’agente o per altri)” (Cass. 27 marzo 2001 n. 4389); a persona che, affetta da oligofrenia di grado elevato, con turbe caratteriali e comportamentali, era incapace di parlare se non con monosillabi e di non riconoscere gli oggetti, versando cosi’ in una situazione di bisogno di una continua assistenza non solo per l’incapacita’ materiale di compiere l’atto, ma anche “per la necessita’ di evitare danni a se’ e ad altri” (Cass. 8 aprile 2002, n. 5017). Si veda anche Cass. 23 dicembre 2011, n. 28705 con riguardo ad una diagnosi di “psicosi schizofrenica paranoidea (demenza precoce)”.

In un siffatto contesto ricostruttivo va, dunque, ritenuto che la capacita’ del malato di compiere gli elementari atti giornalieri debba intendersi non solo in senso fisico, cioe’ come mera idoneita’ ad eseguire in senso materiale detti atti, ma anche come capacita’ di intenderne il significato, la portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psico-fisica; e come ancora la capacita’ richiesta per il riconoscimento dell’indennita’ di accompagnamento non debba parametrarsi sul numero degli elementari atti giornalieri, ma soprattutto sulle loro ricadute, nell’ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile l’incidenza sulla salute del malato nonche’ la salvaguardia della sua “dignita’” come persona (anche l’incapacita’ ad un solo genere di atti puo’, per la rilevanza di questi ultimi e per l’imprevedibilita’ del loro accadimento, attestare di per se’ la necessita’ di una effettiva assistenza giornaliera: cfr. per riferimenti sul punto: Cass. 11 settembre 2003, n. 13362).

Nel caso di specie la Corte di appello ha affermato, sulla base della disposta e richiamata c.t.u., che l’ A., certamente inabile al lavoro, non aveva diritto (anche) all’indennita’ di accompagnamento. Questo il decisivo passaggio della relazione peritale: “pur in presenza di un deficit intellettivo rimasto sostanzialmente invariato rispetto al precedente accertamento peritale da cui scaturi’ il riconoscimento del diritto all’indennita’ di accompagnamento, nel tempo, a seguito dei costanti trattamenti riabilitativi praticati puo’ essere intervenuto un miglioramento della capacita’ adattativa in grado di consentire almeno l’espletamento degli atti quotidiani della vita”. E’ del tutto evidente che le suddette considerazioni medico-legali (tradottesi, peraltro, in giudizio di mera possibilita’ di un miglioramento della capacita’ adattativa) non appaiono corrispondenti ai criteri normativi nei termini come sopra riportati tanto piu’ che, come si rileva dal ricorso ed e’ incontestato, sussistevano i seguenti elementi di valutazione: – il periziando presentava un “orientamento spazio temporale elementare; apprezzabile deficit psichico-intellettivo con ideazione critica deficitarie”; – la certificazione della U.O. di psichiatria della ASL di Salerno datata 27/1/2011, sottoposta all’esame del c.t.u., aveva evidenziato una condizione di insufficienza mentale di tipo “grave con associata caratteropatia d’innesto”; – altra certificazione del 22/10/2010, pure esaminata dal c.t.u., aveva posto in rilevo che “il paziente non e’ in grado di leggere, scrivere, effettuare calcoli….”. Cosiffatti clementi imponevano al giudice (ed al suo ausiliare) innanzitutto di attenersi alla giurisprudenza sopra citata, specificamente dedicata agli effetti delle malattie psichiche sulla capacita’ di attendere agli atti del vivere quotidiano, e di raccordare la sua statuizione di rigetto della domanda ad un corretto e completo esame delle condizioni reali dell’ A., come descritte negli atti di causa ed accertate dall’ausiliare, secondo le regole del sillogismo giudiziario, che impongono di assumere per la decisione postulati verificati e corrispondenti a regole di esperienza condivise. Viceversa la sentenza impugnata si e’ sottratta al compito fondamentale che le era commesso, omettendo di rapportare l’incidenza del deficit psichico riscontrato anche agli atti direttamente strumentali a quelli fisiologici giornalieri, che l’uomo deve compiere normalmente nell’ambito della societa’, ai rapporti interpersonali ed alla capacita’ di autocontrollo e meramente ipotizzando l’esistenza di un miglioramento (senza alcuna precisa indicazione di terapie praticate in grado di determinarlo efficacemente ed in modo stabile) e cosi’ giustificando, sostanzialmente sulla base di tale mera ipotesi, l’accertamento relativo alla insussistenza dei requisiti necessari all’attribuzione della indennita’ di accompagnamento.

In conclusione, la sentenza impugnata e’ da considerare affetta dai denunciati vizi e, per tale ragione se ne propone la cassazione, con rinvio della causa ad altro giudice di merito per un nuovo esame che tenga conto dei principi sopra affermati, il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5”.

2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimita’ in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con rinvio alla Corte di appello di Salerno che, in diversa composizione, procedera’ ad un nuovo esame facendo applicazione dei principi sopra richiamati e provvedera’ anche in ordine alla spese del presente giudizio di legittimita’.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione.

Cosi’ deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA