Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14463 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/06/2017, (ud. 01/03/2017, dep.09/06/2017),  n. 14463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9565/2012 proposto da:

C.D.P., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’ avvocato DOMENICO ANTONIO CASSIANO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CO.GI., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1442/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 30/12/2011, r.g.n. 1153/2008.

Fatto

RILEVATO

Che la Corte d’Appello di Catanzaro con sentenza in data 30/12/2011, in totale riforma della decisione del Tribunale di Rossano n. 553/2007, ha accolto il ricorso di Co.Gi., operaia addetta al taglio e al confezionamento delle spugne presso l’impresa di C.P.D. dal 1989 al 2001 e poi dal 2001 presso la Società Eurofibre a responsabilità limitata, in cui lo stesso C. aveva trasformato l’originaria impresa individuale;

Che la stessa sentenza ha condannato l’imprenditore a pagare alla lavoratrice le differenze retributive maturate per il rapporto regolare intercorso dal 1989 al 1994, e per prestazioni di lavoro irregolare erogate in seguito al licenziamento fittizio dal 1995 al 26/07/2001, per un ammontare di Euro 100.633,34, di Euro 10.138,43 per trattamento di fine rapporto, oltre interessi legali, rivalutazione e spese processuali;

Che avverso la sentenza interpone ricorso in Cassazione C.P.D. con tre motivi, e presenta altresì memoria difensiva, mentre la lavoratrice rimane intimata.

Diritto

CONSIDERATO

Che il ricorrente denuncia:

1. Violazione e falsa applicazione di legge circa l’accertamento, validità e determinazione da parte del consulente tecnico di ufficio del periodo di lavoro e del conseguente ammontare del salario, avendo il consulente ritenuto sussistere un unico rapporto di lavoro in luogo di due distinti rapporti alle dipendenze di due diversi soggetti: il primo, fino al 2001, con il C., il secondo dal 2001 al 2002 con Eurofibre s.r.l., società nella titolarità dello stesso C.;

2. Violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), nel senso che, avendo la sentenza gravata erroneamente riunificato i due distinti periodi come facenti parte di un unico rapporto di lavoro, ha liquidato alla parte più di quanto la stessa avesse chiesto col ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;

3. Omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione circa il punto decisivo della controversia, concernente la sussistenza in capo alla controricorrente di due distinti rapporti di lavoro subordinato (prima con il C., poi con la Eurofibre s.r.l.), la cui mancata considerazione da parte del giudice d’Appello ha portato a ritenere responsabile la società senza che la stessa fosse stata ritualmente chiamata in giudizio ai sensi dell’art. 75 c.p.c.;

Che tutti e tre i motivi di censura, appuntandosi – sotto diversi profili sull’erronea valutazione da parte della sentenza gravata dell’esistenza di un unico rapporto di lavoro, sono inammissibili poichè tendono a sollecitare un nuovo giudizio di merito davanti a questa Corte, più vantaggioso per il ricorrente, precluso in sede di legittimità.

Che in particolare, quanto al primo motivo, il ricorrente prospetta lo snaturamento della funzione della C.T.U., indisponibile dalle parti in quanto concepita non come mezzo istruttorio, ma quale ausilio fornito al giudice del merito, e affidato al suo prudente apprezzamento al fine di valutare elementi acquisiti o questioni fondanti la pretesa dedotta in giudizio che richiedono specifiche conoscenze (Cass., sez. 3, n. 6155/2009; Cass., sez. 1, n. 15219/2007);

Che, quanto alla seconda censura, non può ravvisarsi il vizio di ultrapetizione, essendosi la Corte territoriale mantenuta entro il confine della domanda, valutando il contenuto sostanziale della pretesa e il provvedimento in concreto richiesto secondo un suo libero apprezzamento dei fatti dedotti e provati in giudizio, incensurabile in questa sede;

Che la terza censura, non contiene un’adeguata denuncia rispetto a quale debba considerarsi il fatto controverso e decisivo per il giudizio su cui la sentenza gravata abbia omesso di pronunciare, mentre il motivo stesso si rivela inidoneo a contrastare l’iter logico argomentativo addotto, che, nel riformare la decisione di prime cure, svolge un’autonoma valutazione del complesso delle dichiarazioni dei testi, insindacabile in sede di legittimità;

Che comunque detta censura introduce una questione che deve essere considerata nuova atteso che la stessa non è trattata nella sentenza impugnata e parte ricorrente in violazione del principio di specificità non precisa quando ed in quali termini è stata introdotta nel giudizio di merito (Cass. 8206 del 2016);

Che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna, per il principio della soccombenza, di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 4000 per compensi professionali, Euro 200 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed oneri di legge.

Così deciso in Roma, all’udienza camerale, il 1 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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