Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14461 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35702-2018 proposto da:

SOCIETA’ CAFFETTERIA B. SAS DI B.M., in persona del

socio accomandatario legale rappresentante pro tempore,

A.R.A., A.I.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato RINALDO OCCHIPINTI;

– ricorrenti –

contro

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAZZARO

SPALLANZANI n. 22/A, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO RIZZA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MARINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2025/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 27/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a due motivi, la Caffetteria B. s.a.s. di B.M., nonchè il A.R.A. e A.I.R. hanno impugnato la sentenza della Corte d’appello di Catania, resa pubblica in data 27 settembre 2018, che ne respingeva il gravame avverso la decisione del Tribunale di Ragusa, che, a sua volta, li aveva condannati, in solido, al risarcimento dei danni subiti da A.S. in conseguenza delle lesioni subite per aver bevuto un bicchiere d’acqua contenente sostanza caustica all’interno della Caffetteria;

che la Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: 1) sussisteva la responsabilità indiretta del datore di lavoro, ex art. 2049 c.c., in quanto, per un verso, risultava provato il rapporto lavorativo intercorrente tra la società e Z.V. (in quanto ammesso dalla stessa legale rappresentante e socia accomandataria della società), per altro verso, risultava dimostrato anche il collegamento diretto tra il fatto dannoso dello Z. e le mansioni dallo stesso espletate, dirette alla preparazione e al servizio delle bevande all’interno del bar; 2) era inammissibile il secondo motivo di gravame con il quale parte appellante si è limitato a censurare la mancata prova del fatto illecito senza criticare la ratio decidendi del primo giudice e, comunque, era infondato per essere stato provato il nesso di causalità tra l’aver ingerito la sostanza del bicchiere e l’insorgere del danno, sulla base delle dichiarazione rese dai testimoni, dal fattore temporale dell’insorgenza del malore immediatamente dopo aver bevuto dal bicchiere, nonchè dall’irrilevanza del risultato delle analisi sulla bottiglia incriminata atteso il lasso di tempo tra l’accaduto e il prelievo della bottiglia; 3) il consulente tecnico d’ufficio aveva valutato ed escluso l’esistenza delle cause autonome indicate dal consulente di parte e dedotte anche nell’atto di appello;

che resiste con controricorso A.S.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale i ricorrenti hanno depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) con il primo mezzo è denunciata l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per essere la Corte territoriale incorsa in un vizio di motivazione nella parte in cui, in relazione alla prova del rapporto di preposizione tra Z.V. e la “Caffetteria” e del collegamento del fatto dannoso con le di lui mansioni, ha fatto un “cattivo uso della norma di cui all’art. 2049 c.c., ponendo in essere un’erronea ricognizione della norma riconducibile ad un’erronea interpretazione della medesima e nell’erronea sussunzione del fatto così come accertato entro esse”;

a.1.) il motivo è inammissibile.

Parte ricorrente non solo evoca il vizio di motivazione non più scrutinabile ai sensi del vigente, e applicabile ratione tempotis, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (tra le tante, Cass., S.U., n. 8053/2014, nonchè Cass. n. 23940/2017), ma con il motivo in esame, pur alludendo anche ad un vizio di sussunzione, mira, piuttosto, ad investire la Corte di un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali rispetto a quello effettuato dal giudice di merito (dunque, con prospettazione inammissibile anche nel regime di cui alla previgente formulazione del citato art. 360 c.p.c., n. 5), il quale, con motivazione adeguata e intelligibile – nonchè in armonia con i principi della materia (cfr. Cass. n. 22508/2017 e Cass. n. 20924/2015: “in tema di fatto illecito, la responsabilità dei padroni e committenti per il fatto del dipendente ex art. 2049 c.c., non richiede che tra le mansioni affidate all’autore dell’illecito e l’evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che le incombenze assegnate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo”) -, ha ritenuto sussistente la responsabilità indiretta del datore di lavoro, per essere, per un verso, stato provato, in forza della stessa dichiarazione resa dalla socia accomandataria della società convenuta, il rapporto di preposizione tra lo Z. e la “Caffetteria”, nonchè, per altro verso, il collegamento del fatto dannoso con le mansioni espletate dal dipendente, dirette per l’appunto alla preparazione e al servizio delle bevande all’interno del bar;

b) con il secondo mezzo è dedotta l’omessa, insufficiente motivazione sulle censure mosse alla sentenza di primo grado, per aver la Corte territoriale omesso di esaminare il motivo di gravame con il quale si censurava la sentenza di primo grado per la mancata rinnovazione della C.t.u., nonchè per essersi, il giudice di primo grado, uniformato alle conclusioni del c.t.u. nonostante le contrarie risultanze contenute nella relazione redatta dal c.t.p. di essi convenuti;

b.1.) il motivo (da intendersi come denuncia di una motivazione apparente, essendo altrimenti inammissibile nella sua formulazione di vizio motivazionale o, comunque, di omessa pronuncia su questioni processuali: cfr., tra le tante, Cass. n. 25154/2018) è manifestamente infondato, in quanto, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, la Corte territoriale ha reso una motivazione intelligibile e adeguata (cfr. sintesi nel “Ritenuto che”) quanto alla delibazione delle censure di gravame con cui era criticata la condivisione da parte del giudice di primo grado della c.t.u., senza tenere conto delle osservazioni del c.t.p..

Il ricorso va, dunque, rigettato e i ricorrenti condannati, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

Nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o di infondatezza manifesta, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato (nella specie, B.M. in proprio, nonchè Z.V. evocato in sede di appello), trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (tra le molte, Cass. n. 11287/2018).

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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