Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14460 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. II, 30/06/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 30/06/2011), n.14460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. BAZZONI 3, presso lo studio dell’avvocato PAOLETTI

FABRIZIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ASTOLFI ANDREA;

– ricorrente –

e contro

COND PARCO CERIMELE VIA (OMISSIS) in persona

dell’Amministratore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1317/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

All’esito del secondo grado di un giudizio avente ad oggetto varie questioni tra il condominio Parco (OMISSIS), e il condomino B.N., esercente l’attività di medico specialista in dermatologia, la Corte d’appello di Napoli rigettava, fra l’altro, l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva dichiarato illegittima la destinazione dell’appartamento di proprietà del predetto condomino a suo studio professionale.

Il giudice d’appello, premessa la necessità d’interpretare restrittivamente le norme del regolamento condominiale che stabilivano divieti e imponevano limitazioni all’uso delle unità immobiliari di proprietà individuale, riteneva corretta l’interpretazione fornita dal Tribunale relativamente alla disposizione del regolamento che vietava di destinare gli appartamenti condominiali a gabinetti di diagnosi e cura di malattie infettive o contagiose, includendovi l’attività svolta da N. B. quale medico specializzato in dermatologia. Osservava, al riguardo, che la branca della dermatologia includeva anche la diagnosi e cura di malattie parassitarie, provocate da insetti, da funghi microscopici e da microbi, distinguendo, dal punto di vista epidemiologico, tra malattie infettive contagiose e malattie infettive non contagiose, e all’interno di quest’ultima categoria tra malattie altamente o scarsamente diffusive. Richiamato il precedente di Cass. n. 4125/01, che nel tenere distinte le malattie contagiose da quelle infettive aveva individuato nelle prime quelle che notoriamente possono trasmettersi da un individuo all’altro mediante contatto diretto o indiretto, aveva ritenuto che queste ultime rientrassero senz’altro fra quelle di competenza dello specialista dermatologo, la Corte territoriale perveniva alla conclusione che dall’espresso richiamo, contenuto nell’art. 6, comma 5, del regolamento condominiale, alle “malattie infettive o contagiose” conseguisse senz’altro l’illegittimità della destinazione dell’unità immobiliare di proprietà dell’appellante a studio medico dermatologico.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre B.N., con due motivi d’impugnazione.

Il condominio intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o tal sa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1371 c.c. in relazione all’interpretazione dell’art. 6 del regolamento contrattuale.

Lamenta al riguardo che la Corte d’appello abbia errato nell’avvalersi esclusivamente del criterio letterale nell’interpretazione del regolamento di condominio, senza ricorrere alle altre regole ermeneutiche previste dall’ordinamento. In particolare, si sostiene, il giudice di secondo grado non ha tenuto conto della condotta delle parti posteriore all’adozione del regolamento, atteso che il dr. B. esercita la sua attività professionale nell’appartamento in questione sin dal 1981, e che il condominio fino al 1987, allorchè egli lo convenne in giudizio per far valere i propri diritti in materia di uso dell’ascensore e del garage, non aveva mai contestato la destinazione dell’appartamento a studio professionale; non ha considerato che l’art. 6 del regolamento condominiale è composto da sei commi, la cui lettura complessiva lascia intendere che le attività escluse sono soltanto quelle che presentano un carattere di oggettiva pericolosità, non esistente nella specie atteso che lo studio dermatologico è collocato all’interno di un poliambulatorio nel quale operano vari altri specialisti; e, in definitiva, la sentenza impugnata più che interpretare il regolamento condominiale si è persa nel descrivere le competenze dermatologiche.

2. – Con il secondo motivo si deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sul punto decisivo costituito dall’assimilazione dell’attività svolta dal dr. Balato con la conduzione, vietata dal regolamento condominiale, di un gabinetto di cura di malattie infettive e contagiose.

Pur limitandosi al dato letterale, sostiene il ricorrente, la Corte d’appello ha di fatto mancato di motivare la ragione per cui la partecipazione del ricorrente ad uno studio medico polispecialistico dovrebbe configurare la conduzione diretta e personale di un gabinetto di cura, nonostante la necessità di un’interpretazione restrittiva della clausola. Di qui l’insufficienza motivazionale derivante dall’aver la sentenza d’appello erroneamente assunto la qualificazione professionale del ricorrente quale elemento decisivo per inferire la destinazione specifica dell’appartamento di proprietà del dr. B..

3.- I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro inerenza a profili interagenti di una medesima questione interpretativa del regolamento condominiale, sono fondati nei termini che seguono.

3.1 – In tema di interpretazione del contratto – che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione – ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, sicchè le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 cod. civ. e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. fra le più recenti, Cass. nn. 4670/09, 18180/07, 4176/07 e 28479/05).

Di qui l’erroneità dell’esegesi fissata esclusivamente su di una singola parola o frase, astratta dal resto della stessa o di altre clausole del contratto, cui pure deve applicarsi il medesimo canone interpretativo.

3.1.1.- Nell’impiego della tecnica ermeneutica basata sul contesto letterale dell’atto, occorre considerare, poi, che l’esatto significato lessicale delle espressioni adoperate può non corrispondere all’intenzione comune delle parti allorchè i singoli vocaboli utilizzati possiedano un preciso significato tecnico- scientifico, che rimandi ad una branca dello scibile umano non necessariamente a conoscenza dei dichiaranti in tutte le sue implicazioni. Ne deriva che, salvo una precisa e comune volontà delle parti di rinviare all’esatta valenza semantica propria di determinate nozioni specialistiche, l’interpretazione letterale deve essere contestualizzata in maniera da scontare una ragionevole approssimazione alla materia richiamata. Diversamente, ne risulterebbe vulnerata la stessa portata soggettiva del canone d’interpretazione letterale, in quanto l’espressione indagata non sarebbe più storicizzabile, ma risulterebbe sostituita da un dato oggettivo e astratto (e per di più potenzialmente mobile) dipendente non dalla comune intenzione delle parti, ma da fattori significanti ad esse sostanzialmente estranei.

3.2. – Nello specifico la sentenza impugnata mostra di aver adoperato il canone ermeneutico dell’interpretazione letterale in maniera non conforme agli enunciati anzi detti, e di non aver motivato in modo sufficiente in ordine alla concreta destinazione dell’immobile ad un uso contrario alla regola condominiale, anch’essa insufficientemente indagata.

Infatti: a) non ha tenuto conto dell’intero contenuto della clausola di cui all’art. 6 del regolamento di condominio, di più ampio tenore, così come riportato dal ricorrente “gli appartamenti degli edifici dovranno essere destinati ad uso abitazione, di ufficio o studio professionale, ivi compreso studi odontoiatrico e laboratorio odontotecnico” (…) “è vietato di adibire anche parzialmente gli appartamenti ad uso incompatibile con la loro destinazione, o farne uso comunque contrario alla tranquillità, alla sicurezza, all’igiene ed al decoro dell’edificio” (…) “resta pertanto espressamente vietato di destinare gli appartamenti, i negozi e i locali deposito ad impianti commerciali pericolosi, ad uso sanatorio, di gabinetto di cura malattie infettive o contagiose, a scuola di musica, canto e ballo, a circoli ricreativi e politici, ma si è limitata a interpretare la sola espressione “malattie infettive o contagiose”, tralasciando l’indagine sul restante contesto letterale; b) ha decontestualizzato il richiamo contenuto nel regolamento a nozioni di carattere medico, ricavando le proprie conclusioni unicamente dalla circostanza astratta che anche le malattie contagiose possono rientrare nell’ambito di competenza della dermatologia; e c) non ha accertato quale fosse l’effettiva destinazione dell’immobile, traendo quest’ultima non da un elemento di fatto concreto, ma solo dalla specializzazione medica di cui è in possesso il proprietario, dato viepiù insufficiente in assenza di una complessiva interpretazione della clausola (che come detto parla di “gabinetto di cura malattie infettive o contagiose”).

4. – Per quanto sopra, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, che deciderà la causa attenendosi ai principi anzi detti e provvedendo, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, che provvederà anche sulle spese del processo di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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