Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14460 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/06/2017, (ud. 23/02/2017, dep.09/06/2017),  n. 14460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22759/2015 proposto da:

D.G.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CICERONE, 49, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO TORTORA,

rappresentata e difesa dall’avvocato DANILO BUONGIORNO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

SODEXO ITALIA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PAOLO DI DONO 8/A, presso lo studio dell’avvocato PAOLO DE

BERARDINIS, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

VINCENZO MOZZI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 482/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/06/2015 R.G.N. 332/13;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROBERTO GIUFFRIDA per delega Avvocato DANILO

BUONGIORNO.

udito l’Avvocato VINCENZO MOZZI.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Milano D.G.R. impugnava il licenziamento intimatole in data 13 luglio 2011 dalla società SODEXO ITALIA spa per avere sottratto dalla mensa della caserma presso cui lavorava una teglia di lasagne.

Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo intervenuta la decadenza dalla impugnazione del licenziamento.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 19.5-17.9.2015 (nr. 482/2915), respingeva l’appello della lavoratrice.

La Corte territoriale riteneva che la D.G. non fosse incorsa in decadenza dalla impugnazione giudiziale del licenziamento, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, giacchè il relativo termine decorreva soltanto dal 31.12.2011, in virtù della proroga disposta dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis.

Nel merito, giudicava infondata la impugnazione.

La istruttoria svolta aveva dato conferma del fatto, nei termini in cui era indicato nella contestazione disciplinare.

La condotta legittimava la sanzione espulsiva.

In primo luogo, l’art. 183 del CCNL consentiva la risoluzione del rapporto di lavoro senza preavviso in caso di “asportazione di materiale dall’interno della azienda”; in ogni caso, risultava la lesione del rapporto fiduciario sotteso alle mansioni di addetta alla mensa.

La condotta non era giustificata dalla impossibilità, affermata dalla lavoratrice, di effettuare la pausa pranzo, che non legittimava la asportazione dei cibi dai locali aziendali.

La produzione del regolamento aziendale, invocato nell’atto di appello, era inammissibile perchè tardiva; lo stesso documento, comunque, non riguardava la condotta di sottrazione dei cibi contestata alla D.G..

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza D.G.R., articolato in tre motivi.

Ha resistito con controricorso la società SODEXO ITALIA spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente si dà atto che il Collegio ha autorizzato l’estensore a redigere motivazione semplificata.

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunziato erroneità della sentenza.

Ha denunziato l’omesso esame di fatti storici decisivi, delle proprie deduzioni nel primo grado, delle testimonianze: ella aveva portato con sè una porzione di lasagne, che non era riuscita a consumare in azienda perchè non aveva effettuato la pausa pranzo, per consumarla presso la abitazione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto erroneità e carenza di motivazione della sentenza.

Ha lamentato la mancanza di una corretta ed adeguata valutazione delle prove in punto di gravità dei fatti e proporzionalità della sanzione.

Ha invocato le disposizioni del regolamento aziendale, che prevedevano la adozione di provvedimenti conservativi per il lavoratore che occultasse o consumasse abusivamente generi alimentari di pertinenza della azienda di scarsa rilevanza e la irrogazione del licenziamento nei soli casi di occultamento o consumo di generi alimentari di rilevante entità.

I testi ( D.S.G., maresciallo che aveva proceduto al controllo e V.S., collega di lavoro coinvolta nello stesso fatto) avevano confermato che si trattava di alimenti di scarso valore economico.

3. Con il terzo motivo la ricorrente ha lamentato la erroneità della sentenza, ancora in punto di proporzionalità tra il fatto e la sanzione.

I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili.

Anche a voler superare i dubbi di ammissibilità sotto il profilo della carente esposizione dei fatti di causa nonchè della genericità della esposizione dei motivi – neppure articolati sub specie di vizio di legittimità ma come denunzia di erroneità della sentenza – resta decisivo l’esame del contenuto delle censure.

Esse investono la ricostruzione del fatto operata in sentenza in punto di gravità oggettiva della condotta e di volontà della lavoratrice.

L’esercizio del potere discrezionale del giudice del merito di accertamento del fatto storico è sindacabile in questa sede soltanto sotto il profilo e nei limiti del vizio di motivazione.

Va qui ribadita la costante giurisprudenza di legittimità secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operati dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ad esempio, in termini, Cassazione civile, sez. 3, 04/03/2010, n. 5205 Cass. 6 marzo 2006, n. 4766. Sempre nella stessa ottica, altresì, Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 19 dicembre 2006, n. 27168; Cass. 8 settembre 2006, n. 19274; Cass. 25 maggio 2006, n. 12445).

Nella fattispecie di causa trova applicazione ratione temporis il vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sicchè la censura è deducibile soltanto in termini di omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti mentre resta estranea al sindacato di questa Corte la verifica della coerenza e logicità della motivazione.

Alle valutazioni compiute in sentenza la parte ricorrente contrappone in questa sede una diversa ricostruzione dei fatti fondata semplicemente su una diversa valutazione delle prove già esaminate dalla Corte di merito.

Il motivo devolve, dunque, a questa Corte un non-consentito esame di merito piuttosto che denunziare un vizio della motivazione.

Quanto alla deduzione della mancanza di proporzionalità del licenziamento alla luce del regolamento aziendale, appare preclusiva la mancata impugnazione delle statuizioni della sentenza in punto di tardività ed inammissibilità della produzione del documento e di diversità tra le condotte contemplate nel regolamento aziendale e la più grave mancanza, contemplata nel CCNL come fattispecie giustificativa del licenziamento, di asportazione dei beni dai locali aziendali.

Il ricorso deve essere conclusivamente dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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