Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1446 del 26/01/2010

Cassazione civile sez. trib., 26/01/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 26/01/2010), n.1446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 7450/2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

G.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 9/2007 della Commissione Tributaria Regionale

di ROMA – Sezione Staccata di LATINA dell’11.1.07, depositata il

30/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO SORRENTINO.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di G.G. (che è rimasta intimata) e avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Emilia Romagna, in controversia concernente impugnazione di silenzio rifiuto su istanze di rimborso Irap, rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate affermando che la contribuente, agente di commercio, non era assoggettabile all’Irap in quanto svolgeva la sua attività senza avvalersi di dipendenti.

I primi due motivi di ricorso, coi quale l’Agenzia deduce che la C.T.R. aveva omesso di decidere sugli effetti della adesione alla sanatoria di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 (questione proposta dall’Ufficio con uno specifico motivo d’appello) e in ogni caso aveva errato nel non rilevare che l’adesione al condono determina l’estinzione dell’eventuale diritto al rimborso di somme corrisposte in eccesso in relazione alle annualità di imposta oggetto di definizione, sono innanzitutto inammissibili per difetto di autosufficienza e in ogni caso improcedibili per violazione dell’art. 369 c.p.c., n. 4.

Invero, dalla sentenza impugnata non risulta che l’Agenzia avesse in appello posto la questione degli effetti della adesione alla sanatoria di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, nè risulta che tale adesione fosse intervenuta (ed eventualmente in relazione a quali annualità); la ricorrente avrebbe dovuto pertanto riportare in ricorso il testo di eventuali atti e/o documenti dai quali tali circostanze emergevano, a nulla rilevando che nella specie si denunci anche un error in procedendo, atteso che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione, valido oltrechè per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, anche per quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle processuali, non può limitarsi a specificare solo la singola disposizione di cui si denunzia, appunto, la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti d’operatività di detta violazione (v. tra le altre Cass. n. 6972 del 2005).

In ogni caso, a norma dell’art. 369 c.p.c., n. 4, insieme col ricorso (e pertanto nello stesso termine previsto dal primo comma del citato art. 369 c.p.c.) devono essere depositati a pena di improcedibilità “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Come è evidente, la norma non distingue tra i vari tipi di censura proposti, e prevede il deposito non solo di documenti o contratti, ma anche di atti processuali, con la conseguenza che, anche in caso di denuncia di error in procedendo, gli atti processuali sui quali la censura si fonda devono essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello stesso termine, non rilevando a tal fine la richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, il deposito del fascicolo di parte (che tali atti contenga), se si tratta di un deposito che non interviene nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c., e se all’atto del deposito viene indicato in modo generico il suddetto fascicolo senza specificare gli atti e documenti in esso contenuti sui quali il ricorso è fondato.

Il terzo motivo di ricorso, col quale la ricorrente rileva che la contribuente, quale agente di commercio, doveva considerarsi imprenditore e pertanto il requisito dell’autonoma organizzazione doveva ritenersi intrinseco alla natura stessa dell’attività esercitata, è manifestamente infondato alla luce della recente giurisprudenza delle SSUU di questa Corte che, componendo un contrasto emerso sulla questione de qua nell’ambito della giurisprudenza della sezione tributaria della Corte, hanno affermato che, in tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio dell’ attività di agente di commercio di cui alla L. 9 maggio 1985, n. 204, art. 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata, ulteriormente specificando che il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia , quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, e che costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (v. SSUU n. 12108 del 2009).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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