Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1446 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 23/01/2020), n.1446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 441-2019 proposto da:

W.Q., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DIEGO GIUSEPPE PERRICONE, con procura speciale

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 2950/2017 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA,

depositato l’08/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere relatore, don. ROSARIO

CAIAZZO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con decreto del 20.12.2018 il Tribunale di Caltanissetta rigettò il ricorso proposto da W.Q., cittadino del Pakistan, il quale aveva impugnato il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di diniego dell’istanza di protezione sussidiaria ed umanitaria, osservando che: il racconto reso dal ricorrente non era attendibile; nella regione di provenienza del ricorrente non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, come desumibile dai report consultati (relativi agli anni 2017 e 2018); non era stata allegata una situazione personale di vulnerabilità, non essendo a tal fine sufficiente lo svolgimento di attività lavorativa in Italia.

Ricorre in cassazione il Qureshi con cinque motivi.

Non si è costituito il Ministero dell’Interno.

Il Consigliere relatore ha formulato la proposta ex art. 380bis c.p.c..

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8, in quanto il Tribunale non ha tenuto conto delle dichiarazioni rese dal ricorrente e della documentazione prodotta per valutare la sua credibilità in ordine alle persecuzioni che avrebbe subito in patria quale membro di un partito politico all’opposizione.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251, art. 3 e art. 14, lett. a) e b), non avendo il Tribunale correttamente applicato i criteri di legge sul riconoscimento della protezione sussidiaria, in ordine ai trattamenti inumani e degradanti.

Con il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non avendo il Tribunale correttamente verificato il pericolo di grave danno alla sua persona, in caso di rimpatrio, ai fini della protezione sussidiaria -e umanitaria, sussistendo invece nella regione di sua provenienza (Sindh) una situazione di scontro tra le forze governative e gruppi armati terroristici con violenza generalizzata ai danni dei cittadini.

Con il quarto motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, poichè il ricorrente paventa che, in caso di rientro nel Pakistan, vi sia un concreto rischio di subire la privazione dei diritti umani fondamentali, anche considerando il percorso d’integrazione sociale intrapreso in Italia, come testimoniato dalla regolare attività lavorativa svolta in Italia.

Con il quinto motivo si denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 35bis, comma 17, in quanto il ricorrente lamenta la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio per la ritenuta manifesta infondatezza della domanda.

Il primo motivo è inammissibile trattandosi di critica generica, senza allegazione di fatti specifici a sostegno della domanda di protezione internazionale, avendo il Tribunale ritenuto inattendibile il racconto reso dal ricorrente innanzi alla Commissione territoriale, rilevandone plurime contraddizioni rispetto a quanto invece narrato in sede giudiziaria.

Al riguardo, il motivo è diretto, in sostanza, al riesame dei fatti afferenti alla valutazione della credibilità del ricorrente in ordine alla sua appartenenza al partito politico di minoranza e, di conseguenza, alla persecuzione che, pertanto, avrebbe sofferto ad opera delle autorità governative.

Il secondo e terzo motivo – esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi- sono inammissibili, tendendo al riesame dei fatti in ordine al riconoscimento della protezione sussidiaria. Al riguardo, il Tribunale, con esaustiva motivazione, ha escluso ogni rischio di trattamento inumano o degradante per le vicende narrate e ritenute inattendibili, per quanto esposto, nonchè situazioni di violenza generalizzata derivanti da conflitto armato argomentando dall’esame del rapporto EASO aggiornato all’ottobre del 2018, considerando la regione di provenienza del ricorrente.

Il quarto motivo è inammissibile, non avendo il ricorrente allegato situazioni specifiche di vulnerabilità legittimanti il permesso umanitario, in mancanza delle quali il dedotto inserimento sociale in Italia, desumibile dall’attività lavorativa svolta, non costituisce elemento sufficiente per legittimare la protezione umanitaria.

In particolare, questa Corte ha affermato che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (v. Cass., n. 17072/18).

Il quinto motivo è inammissibile in quanto, contrariamente a quanto esposto dal ricorrente, il Tribunale non ha adottato alcun provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato.

Nulla per le spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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