Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14459 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30787-2018 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato

difeso dall’avvocato GIUSEPPE PICCOLO;

– ricorrente –

contro

D.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE

CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO COSTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO PELIGRA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 537/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata l’08/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a tre motivi, A.F., avvocato, ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Catania, resa pubblica in data 8 marzo 2018, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale di Ragusa, il quale, a sua volta, lo aveva condannato al pagamento della somma di Euro 13.500,00 in favore di D.G.L. per i danni da quest’ultimo patiti a seguito del procedimento penale avviato dallo stesso A. per truffa ed indebito arricchimento;

che la Corte d’appello di Catania, nel rigettare il gravame, osservava che: a) il D. difettava di legittimazione passiva, processuale e sostanziale, in relazione alla domanda riconvenzionale di condanna al pagamento dei compensi professionali in quanto: – il D. aveva agito esclusivamente in proprio nel giudizio dallo stesso instaurato e volto ad ottenere il risarcimento dei danni patiti dalle false accuse del legale; – non risultava allegato nè dimostrato che il D. avesse assunto in proprio il debito della società e tale circostanza era comprovata dallo stesso rilascio di tre separate quietanze per ogni rapporto professionale; b) andava riconosciuto in favore del D. il danno derivante dalle false accuse mosse dall’avv. A., dovendosi condividere la versione del fatto fornita dallo stesso attore circa la doverosità, in base all’accordo transattivo, di soli 3 milioni di lire e ciò in forza degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio quali: – le tre quietanze rilasciate dal legale ove viene elencato in maniera analitica e chiara una serie di fatture già emesse e riconosciute saldate (pari a circa 23 milioni di lire); – la mancata apposizione, in calce ad una fotocopia dell’assegno del quale si discute, di una quietanza con la dicitura “salvo buon fine”; – le testimonianze raccolte nel corso del giudizio;

che resiste con controricorso D.G.L.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1272 c.c., e dell’art. 36 c.p.c., nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di trattazione, per aver erroneamente la Corte territoriale dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale proposta da esso A. nei confronti del solo D. personalmente, non tenendo conto del presupposto posto a fondamento della suddetta pretesa, ossia l’assunzione, da parte di quest’ultimo, dell’obbligo di corrispondere i compensi professionali dovuti anche dalla di lui moglie e dalla società Mondial Granit S.p.A., con conseguente inquadramento della fattispecie nell’istituto dell’espromissione;

a.1) il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

La Corte territoriale, diversamente da quanto opinato da parte ricorrente, non ha affatto omesso di esaminare che il presupposto della domanda riconvenzionale di condanna al pagamento dei compensi professionali fosse la qualità di espromittente del D., ma ha ritenuto inapplicabile, al caso di specie, l’istituto dell’espromissione data l’assenza di allegazioni e di prove da parte del ricorrente volte a dimostrare tale qualità, ossia che il D. avesse assunto, in proprio, il debito preteso dal professionista nei confronti della società, circostanza ulteriormente dimostrata, secondo il giudice del merito, dal rilascio di tre separate quietanze per ogni rapporto professionale.

Pertanto, con le censure che investono tale ultimo punto, parte ricorrente mira ad ottenere un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie diverse da quelle che sono il risultato della valutazione del giudice di merito, senza, tra l’altro, indicare le allegazioni formulate e le prove fornite in giudizio intese a dimostrare la pretesa espromissione e l’asserito impegno del D. a pagare in proprio il debito della società e dalla di lui moglie.

Ne consegue che, avendo il D. agito in giudizio esclusivamente in proprio e non anche in qualità del legale della società o per suo conto e non risultando allegato o provato l’assunzione in proprio del debito altrui, il giudice ha correttamente dichiarato il difetto di legittimazione passiva del medesimo D. in merito alla domanda riconvenzionale di condanna al pagamento dei compensi professionali causalmente collegati alla Mondial Granit S.p.A.;

b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte di merito, con motivazione perplessa ed obbiettivamente incomprensibile, confermato la sentenza di primo grado dichiarativa del difetto di legittimazione passiva riferita alla Mondial Granit S.p.A., pur avendo ritenuto la domanda riconvenzionale proposta nei soli confronti del D.;

b.1) il motivo è inammissibile.

Parte ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, non avendo la Corte territoriale – come già evidenziato ritenuto proposta una domanda contro un soggetto neppure evocato (la Modial Granit S.p.A.), giacchè – con motivazione ben lungi dall’essere incomprensibile o irriducibilmente contraddittoria – ha riconosciuto quale destinatario della domanda riconvenzionale di condanna al pagamento dei compensi professionali il solo D. (anzichè la società Mondial Granit S.p.A.), rilevandone, però, il difetto di legittimazione passiva, con conseguente inammissibilità della riconvenzionale e conferma del sentenza di primo grado sul punto (in quanto lo stesso attore aveva instaurato il giudizio in proprio al fine di vedersi risarcire i danni derivanti dall’avvio del procedimento penale), non essendo stata allegata e dimostrata la sua qualità di espromittente.

c) con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per motivazione inesistente e/o apparente, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di trattazione, per aver la Corte territoriale reso una motivazione fondata su congetture incontrollabili, inesistenti e contraddette dai fatti processuali e dagli atti acquisiti nel giudizio, omettendo, così, di dar conto del ragionamento logico-giuridico ad essa sottesa;

c.1) il motivo è inammissibile, giacchè le censure di parte ricorrente, lungi dal sostanziare il paradigma dei vizi dedotti, sono orientate a riproporre, piuttosto, critiche di illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di valutazione delle prove da parte del giudice di merito, non più deducibili ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendo, del resto, indicati in modo specifico i fatti il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte territoriale (Cass., S.U., n. 8053/2014), là dove, in ogni caso, una siffatta omissione non è neppure apprezzabile.

Nè, peraltro, è dato ravvisare nella sentenza impugnata un vizio di motivazione apparente o di manifesta illogicità, in quanto l’iter argomentativo della decisione si snoda in modo intelligibile ed adeguato, esibendo una valutazione degli elementi probatori siccome inidonei a supportare la ricostruzione della vicenda fornita dall’avv. A..

La memoria di parte ricorrente, là dove non inammissibile per non essere soltanto illustrativa delle originarie ragioni di censura, non fornisce argomenti idonei a scalfire i rilievi che precedono.

Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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