Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14458 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25778-2018 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MORDINI 14,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PETRILLO (STUDIO TRAMONTI),

rappresentato e difeso dall’avvocato LEONIDA MARIA GABRIELI;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ – S.G.A. SPA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA XX SETTEMBRE, n. 3, presso lo studio SANDULLI E ASSOCIATI,

rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO NARDONE, FEDERICA

SANDULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 472/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 31/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a due motivi, P.A. ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Napoli, resa pubblica in data 31 gennaio 2018, che (per quanto ancora rileva in questa sede) ne rigettava l’appello avverso la decisione del Tribunale di Avellino, il quale, a sua volta, ne aveva rigettato l’atto di opposizione a precetto per Euro 94.829,49, oltre spese, notificatogli da Banca Intesa Sanpaolo, quale mandataria e procuratrice di S.G.A. S.p.A.;

che la Corte d’appello di Napoli osservava che: a) il Tribunale aveva correttamente valorizzato i documenti e gli indizi prodotti dalla Banca al fine di fornire prove in relazione all’errore di fatto sulla cui base era stata resa dalla stessa rinuncia all’esecuzione – confessione stragiudiziale – e non anche per elidere la valenza di prova legale riconosciuta ex lege alla confessione; b) la prova dell’errore di fatto, raggiungibile anche per presunzioni, poteva ritenersi conseguita poichè: – la non veridicità dell’integrale adempimento era data dal fatto che la dichiarazione di rinunzia all’esecuzione (25/2/2009) si poneva in epoca antecedente rispetto alla scadenza del pagamento stabilita nell’accorso transattivo (28/02/2009), nonchè per non aver mai il P. allegato di aver adempiuto integralmente al pagamento dell’ingente somma; – il vizio d’origine della dichiarazione confessoria era dato da un’erronea rappresentazione della vicenda; – ulteriori indizi circa il fatto che la dichiarazione imprecisa non fosse stata resa deliberatamente potevano essere tratti dai successivi comportamenti tenuti dalla Banca che, a distanza di quaranta giorni dalla rinunzia, comunicava di dare seguito alla cancellazione dell’ipoteca solo al saldo della somma dedotta in transazione, nonchè dalla lettera della stessa Banca, inviata tre mesi dopo, nella quale si dava atto dell’avvenuto incasso della somma di Euro 50.185,99 e nel ritenere ferme e confermate le rimanenti condizioni;

che resiste con controricorso la Società per la Gestione di Attività – S.G.A. S.p.A.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale la parte controricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2732 c.c., per aver erroneamente la Corte territoriale ritenuto provato la presenza di un errore di fatto e, per l’effetto, invalidata la confessione stragiudiziale resa dalla banca nell’atto di rinunzia al procedimento esecutivo, nonostante che la Banca non avesse fornito al riguardo alcun elemento probatorio, non potendosi considerare tali gli indizi prodotti in giudizio dal creditore;

a.1) il motivo è inammissibile, giacchè le censure di parte ricorrente non veicolano un vizio di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma sono rivolte unicamente a censurare l’apprezzamento delle prove da parte del giudice di gravame. Le critiche, infatti, sono orientate ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo;

b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2375 c.c., per aver la Corte di merito errato nel rimettere al suo libero apprezzamento la confessione stragiudiziale resa dall’Ente creditore, anzichè riconoscere ad essa il valore di prova legale;

b.1) il motivo è inammissibile, giacchè parte ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Il giudice di appello non ha affatto negato che la dichiarazione di rinunzia all’esecuzione resa dalla Banca avesse natura di confessione stragiudiziale – e, in quanto tale, valore di prova legale (ed anzi, avendo il giudice di appello motivato proprio in tal senso) -, ma ha ritenuto dimostrato il fatto costituente l’errore non quale elemento contrario al contenuto della confessione, ma quale prova dell’errore di fatto in cui era incorsa la Banca al momento della rinunzia all’esecuzione ed idoneo, pertanto, ad invalidare la confessione.

Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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