Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14455 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22748/2019 R.G. proposto da:

R.M. e R.U., rappresentati e difesi dall’Avv. Mauro

Longo, con domicilio eletto in Roma, Via Pompeo Magno, n. 94, presso

lo studio Morbinati & Longo società tra Avv.ti s.p.a.;

– ricorrenti –

contro

UnipolSai Assicurazioni S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv.

Monica Maria Paola Morgani, con domicilio eletto presso il suo

studio in Roma, Via G. Palumbo, n. 3;

– controricorrente –

e nei confronti di:

B.B.;

– intimato –

avverso la sentenza del Tribunale di Roma, n. 12701/2018, depositata

il 21 giugno 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di Consiglio del 30 marzo 2021

dal Consigliere Iannello Emilio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

il Tribunale di Roma ha confermato la sentenza di primo grado con la quale il Giudice di pace della stessa città aveva rigettato, per mancanza di prova del danno, la domanda risarcitoria proposta da M. e R.U. nei confronti della Aurora Assicurazioni S.p.A. e di B.B. per i danni riportati dalla autovettura di proprietà di R.M. in conseguenza di sinistro stradale in data 18/12/2006;

ha infatti rilevato che:

“del fatto che la Ford tg (OMISSIS) abbia riportato danni a seguito dell’allegato subito tamponamento non è stata fornita alcuna prova;

“sul punto – in assenza di modello Cai ove siano descritti i danni residui sui veicoli coinvolti, o di verbale dell’Autorità pubblica accorsa in loco al riscontro dei medesimi ovvero ancora quanto meno di fotografie datate (atteso che il veicolo incidentato non è stato messo neanche a disposizione della Compagnia per perizia nella fase stragiudiziale e per lo stesso motivo non è stato possibile espletare c.t.u. tecnica sul mezzo) – non ha alcuna utilità dimostrativa il preventivo di spesa per le riparazioni prodotto in atti (Cass. n. 11765/13; n. 26693/13);

“non vi è modo infatti di comparare la inerenza e compatibilità delle singole voci di spesa ivi contenute con i danni residui, proprio perchè non provati;

“nè d’altra parte a tale carenza gli attori hanno supplito con prove orali, essendo del tutto generico il capitolo 5 di cui alla citazione per il quale hanno chiesto la prova orale;

“ed in ogni caso non avendo gli attori reiterato a verbale al momento della precisazione delle conclusioni (cfr. verbale 1 del 20/07/2010) e nelle note autorizzate del 19/07/2010 la richiesta specifica di ammissione delle prove orali, esse sono decadute dalla relativa prova in grado di appello (Cass. 16886/16)”.

avverso tale sentenza M. e R.U. propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste UnipolSai Assicurazioni S.p.a., depositando controricorso;

l’altro intimato non svolge difese;

essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

deve essere disattesa la preliminare eccezione di tardività del ricorso;

diversamente da quanto postulato nel controricorso trova applicazione nella fattispecie, quanto alla disciplina dei termini per impugnare, e segnatamente del termine c.d. lungo trattandosi di impugnazione avverso sentenza non notificata, l’art. 327 c.p.c. nel testo previgente alla modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17 (che come noto lo ha ridotto da un anno a sei mesi); questa infatti trova applicazione, ai sensi della predetta legge, art. 58, comma 1, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. 06/10/2015, n. 19969; 06/10/2016 n. 20102);

nel caso di specie risulta univocamente dalla sentenza impugnata che il giudizio ha avuto inizio, in primo grado, nel 2007 e comunque certamente in data anteriore al 4 luglio 2009;

con il primo motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “erroneità della sentenza nella parte in cui ha convalidato l’erronea statuizione del giudice di pace in punto di mancata liquidazione equitativa del danno; violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1226 c.c.”;

premesso che sull’an debeatur non era sorta alcuna questione e la sua sussistenza doveva considerarsi coperta da giudicato, vertendosi solo, in appello, sulla questione della liquidazione del danno, lamenta che “del tutto improvvidamente, il tribunale torna sulla questione della prova del danno (cioè dunque dell’an debeatur)”, laddove invece, dovendosi dare per acquisita l’esistenza del danno, il tribunale avrebbe potuto/dovuto ricorrere alla liquidazione equitativa;

con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “erroneità della sentenza nella parte in cui ha omesso di ammettere la prova tempestivamente richiesta dagli appellanti; violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 346 c.p.c.”;

secondo i ricorrenti la sentenza è erronea anche per avere ritenuto gli appellanti decaduti dalla prova, avendo omesso di considerare che con l’atto d’appello si era chiesto l’accoglimento delle conclusioni formulate con l’atto di citazione originario e, in quell’atto, si era espressamente richiesta l’ammissione di prova per interpello e per testi;

con il terzo motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “erroneità della sentenza in punto di liquidazione delle spese di lite; violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. 10 marzo 2014 n. 55; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”;

lamentano l’eccessività dell’importo (Euro 2.400) posto a loro carico per spese del grado, considerato che: a) si attesta su valori medi secondo lo scaglione per una causa innanzi al giudice di pace (recte: innanzi al tribunale) di valore compreso fra Euro 1.100 ed Euro 5.200 ove si consideri anche la fase istruttoria, che però non è stata espletata; b) il valore della causa è vicino al limite inferiore dello scaglione, con la conseguenza che la liquidazione avrebbe dovuto attestarsi ai minimi;

il ricorso si appalesa inammissibile in relazione a tutt’e tre le censure;

il primo motivo, nell’evocare l’esistenza di un asserito giudicato interno sull’esistenza, nell’an, di un danno risarcibile, risulta inosservante dell’onere di specifica indicazione delle affermazioni contenute nella sentenza di primo grado dalle quali tale giudicato dovrebbe emergere, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6: i ricorrenti invero si limitano a richiamare una frase – peraltro poco significativa e non univoca – della sentenza del giudice di pace (nella quale si dice che la domanda è rigettata “in quanto non risulta provato il quantum richiesto quale risarcimento dei danni materiali subiti a seguito del sinistro”), senza però dar conto della restante motivazione e soprattutto senza localizzare l’atto (ossia la sentenza di primo grado) nel fascicolo di causa, laddove, come noto, è invece necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239; Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701);

analogo rilievo va fatto con riferimento al secondo motivo: si evocano richieste istruttorie, senza però darne alcuna indicazione contenutistica, nè tanto meno specificare la sede processuale in cui l’atto che le contiene risulti prodotto o acquisito e sia dunque presente nel fascicolo processuale;

il motivo peraltro si appalesa aspecifico, in violazione dell’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, poichè non si confronta con la specifica motivazione sul punto resa dal giudice a quo, data dal rilievo – peraltro conforme a consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, pure citata in sentenza – che gli attori dovevano ritenersi decaduti dalla prova non avendone reiterato la richiesta a verbale al momento della precisazione delle conclusioni e nelle note autorizzate (v. Cass. n. 16886 del 10/08/2016; n. 22709 del 28/09/2017);

il terzo motivo è infine inammissibile;

le ragioni di critica appaiono generiche e meramente oppositive rispetto a quello che – non essendo nemmeno contestata l’individuazione dello scaglione di riferimento, in relazione al valore della causa – si rivela legittimo e non sindacabile esercizio di potere discrezionale di liquidazione dei compensi professionali compresa tra il minimo ed il massimo della tariffa applicabile (v. Cass. n. 20289 del 09/10/2015; n. 14542 del 04/07/2011);

il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali liquidate come da dispositivo;

va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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