Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14455 del 25/06/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 14455 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: FORTE FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n.ro 25913 del Ruolo Generale degli
affari civili dell’anno 2007 proposto:
DA
BRUNO ANGIARGIU, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via

Arenula n. 21, nello studio dell’avv. Isabella Lesti e
rappresentato e difeso dall’avv. Giorgio Piras jr. del foro
di Cagliari, per procura a margine del ricorso notificato il
10 e 1’11 ottobre 2007 alle controparti.

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Data pubblicazione: 25/06/2014

RICORRENTE
. CONTRO
POSTE ITALIANE s.p.a,

con sede in Rima, in persona del

presidente del consiglio di amministrazione e legale
rappresentante p.t. ing. Vittorio Mipcato, per la carica
domiciliato presso la sede della società, rappresentata e
difesa, per procura a margine del ricorso sottoscritta
dall’Avv. Andrea Sandulli,

a(to
2.01

responsabile della Direzione

Y

Affari legali della società, per i poteri conferiti dal
Presidente con atto per notar Ambrosone del 15 giugno 2005,
Rep. n. 36583, Racc. n. 7947, elettivamente domiciliata nel
suo studio in Roma, alla Via dei Tre Orologi n. 20.
11403680S85
CONTRORICORRENTE
NONCHE’

soggetta a attività

di direzione e coordinamento di Fintecna s.p.a., in persona
del liquidatore già domiciliato elettivamente, nel giudizio
di appello, in Cagliari presso il difensore domiciliatario
avv. Agostino Balllero.
INTIMATA

avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari
sezione civile, n. 218/06 del 17 marzo – 10 luglio 2006, non
notificata alle parti. Udita, all’udienza del 10 aprile
2014, la relazione del Cons. dr. Fabrizio Forte. Udito
l’avv. Piras, per il ricorrente e il P.M., in persona del
sostituto procuratore generale dr. Federico Sorrentino, che
conclude per l’accoglimento per quanto di ragione del
ricorso.
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 4 marzo 1986, Bruno
Angiargiu, già proprietario di un terreno di mq. 690 sito in
Sanluri (CA) e iscritto in C.T. a F. 37, Mapp. 137, del
quale il Prefetto locale aveva autorizzato la occupazione
provvisoria e di urgenza a decorrere dal 7 gennaio 1982 da
parte del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, per
realizzarvi un ufficio postale, conveniva in giudizio
dinanzi alla Corte d’appello di Cagliari la concessionaria
2

SERVIZI TECNICI s.p.a. in liquidazione,

del Ministero, Italposte s.p.a., chiedendo di elevare a £.
27.000.000 la indennità di espropriazione già determinata in
£. 5.207.430 alla data dell’ablazione (26 novembre 1985) e
di liquidare quella di occupazione nel 5% di quella di
esproprio per ogni anno di durata di essa, con gli interessi
di legge dalla scadenza di ciascuna annualità al saldo.

s.p.a. che ha dichiarato, senza contestazioni delle altre
parti, esservi stata la revoca della concessione alla
società Italposte alla quale essa era succeduta; negata la
estromissione della prima convenuta il giudizio è proseguito
anche nei confronti di essa, oltre che della interventrice
odierna controricorrente.
Ritenuto applicabile l’art. 5 bis della Legge n. 359 del
1992, la Corte adita, cui l’opponente aveva chiesto di
liquidare il dovuto in base al valore venale delle aree
occupate e espropriate, in aderenza alla giurisprudenza
all’epoca vigente ha rigettato la richiesta dell’Angiargiu.
Infatti, qualificata edificabile l’area occupata, per essere
per gli strumenti urbanistici in Zona D2, destinata ad
attività artigianali e a piccole industrie, la Corte di
merito ha liquidato le indennità richiesta ai sensi
dell’art. 5 bis della Legge n. 359 del 1992 in base ad un
valore venale delle aree di £. 25.000 a mq., maggiore di
quello di £. 15.000 proposto dall’U.T.E. e minore, per il
carattere periferico della zona in cui erano i suoli, di
quello domandato dall’attore.
Applicando il criterio legale all’epoca vigente di
determinazione dell’indennità di espropriazione nella
3

Nel giudizio è successivamente intervenuta Poste Italiane

semisomma del valore venale e della rendita catastale
rivalutata, la Corte di merito ha determinato l’indennità di
espropriazione in £. 28.241.000, pari ad E 14.585,25,
ricavandolo dal valore venale complessivo dell’area
dell’Angiargiu di £. 56.385.000 (E 29.120,42), dal quale s’è
detratto quello della zona occupata, così determinando in

d’esproprio spettante all’odierno ricorrente in £
28.241.000, pari ad C 14.585,25.
Nel tasso degli interessi di legge su detta indennità di
espropriazione s’è determinata quella di occupazione, per
ciascuno degli anni di durata di questa di tre anni e undici
mesi, cioè dal 7 gennaio 1982 al 26 novembre 1985, in E
2.526,80, con gli interessi legali dalle singole annualità
al pagamento.
La società convenuta e la interventrice controricorrente
Poste Italiane s.p.a. sono state condannate in solido al
deposito delle indennità sopra calcolate in favore del
ricorrente e a pagare le spese di causa.
Per la cassazione di tale sentenza della Corte d’appello di
Cagliari n. 218/06 del 10 luglio 2006, l’Angiargiu ha
proposto ricorso di otto motivi, notificato a mezzo posta il
10 ottobre 2007, cui non replica la Servizi Tecnici s.p.a.
in liquidazione ma la sola s.p.a. Poste Italiane, con
controricorso notificato al ricorrente il 22 novembre 2007.
All’udienza del 10 aprile 2014, il ricorrente ha anche
depositato nota spese.
Motivi della decisione

1.1.11 primo motivo del ricorso dell’Angiargiu denuncia
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base ai criteri di legge all’epoca vigenti l’indennità

falsa applicazione, dalla sentenza impugnata, degli artt.
100 e 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello fissato il
valore delle aree del ricorrente in £. 56.385.000, che
espressamente egli dichiara di accettare come corretta,
somma che nel giudizio di merito è stata posta a base del
calcolo per determinare l’indennità dovuta d’espropriazione,

ritenuti non conformi alla Costituzione, con la sentenza del
giudice delle leggi n. 348 del 24 ottobre 2007.
Per detti previgenti criteri, all’espropriato spettava la
metà di detto valore venale e della rendita catastale
rivalutata e la Corte di merito ha aggiunto che l’attore
aveva chiesto £. 27.000.000, pari al valore venale dell’area
all’epoca della domanda, per cui avrebbe ottenuto più di
quanto richiesto, dovendosi, ad avviso del ricorrente negare
che il limite della citazione di cui sopra fosse la somma
indicata, dovendosi lo stesso estendere alla richiesta ad
ogni maggiore importo ritenuto dovuto in base ai criteri di
legge anche sopravvenuti che regolavano la misura delle
indennità per gli espropri per pubblica utilità.
1.2. Si deduce, in secondo luogo, la violazione dell’art. 5
bis della L. 8 agosto 1992 n. 359 e dell’art. 1, comma 1 0 ,
del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea dei
diritti dell’uomo resa esecutiva in Italia con la Legge 4
agosto 1955 n. 848, anche in relazione all’art. 10 della
Costituzione e alla conseguente violazione degli artt. 39 e
40 della L. 25 giugno 1865 n. 2359.
La norma sopra citata, applicata per liquidare le indennità,
contrasta con la Costituzione e le norme sovranazionali
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secondo i criteri di legge all’epoca vigenti e in seguito

della Convenzione citata, per cui deve essere disapplicata,
così come ogni altra norma che imponga di discostarsi dai
valori di mercato delle aree per liquidare dette indennità,
decurtate ulteriormente anche dai tributi per esse dovuti;
tale disciplina interna è stata ritenuta in contrasto con la
Convenzione dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di

maggio 2005 – Mason c. Italia) e non può applicarsi, come
accade invece nella sentenza impugnata che deve quindi
essere cassata.
Richiamata la sentenza del 29 marzo 2006 della Corte europea
(Scordino c. Italia – ric. n. 36813/97), il ricorrente
chiede di liquidare quanto dovuto in base a detta pronuncia,
che collega alla sola differenza del valore venale dell’area
occupata, prima e dopo l’esproprio, la misura dell’indennità
dovuta al proprietario espropriato.
1.3. Il terzo motivo di ricorso chiede di applicare nella
fattispecie gli artt. 39 e 40 della legge n. 2359 del 1865,
liquidando la indennità di espropriazione sulla base della
differenza del valore venale delle aree occupate, prima e
dopo l’esproprio, computando quindi su tale indennizzo
quanto dovuto per quella quello di occupazione.
1.4. Si chiede, con il quarto motivo di ricorso, di rilevare
la non manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992,
rimettendo la questione al giudice delle leggi, per essere
la stessa certamente rilevante nel presente giudizio.
1.5. Si lamenta in quinto luogo la violazione dell’art. 1224
c.c., in caso di ritardo nel pagamento dell’indennità di
6

Strasburgo (si cita in ricorso, tra altre, la sentenza 17

espropriazione, disponendo con la liquidazione di essa,
anche il pagamento della rivalutazione e degli interessi, da
computare in un tasso medio del 15% dal novembre 1985 al 15
dicembre 1990 e nel tasso degli interessi legali dopo tale
ultima data.
Ad avviso del ricorrente, deve corrispondersi comunque il

domanda sia qualificabile come nuova e dovendo applicarsi
quanto domandato in ricorso in base alla Convenzione europea
dei diritti dell’uomo.
1.6. Si lamenta poi, con il sesto motivo di ricorso, la
violazione dell’art. 1224 c.c. e dell’art. 55 della legge n.
2359 del 1865, oltre che dell’art. 1, comma 5 ° , della Legge
3 aprile 1926 n. 686, in rapporto all’art. 360 n. 3 c.p.c.,
perché solo la irrisorietà delle somme offerte aveva
impedito la riscossione di quanto depositato presso la Cassa
depositi e prestiti, spettando quindi al ricorrente, con la
maggiore indennità liquidata, anche la rivalutazione
monetaria dell’importo dell’indennità stessa dall’epoca
dell’occupazione fino al saldo.
1.7. Il settimo motivo di ricorso lamenta di nuovo la
violazione delle norme sovranazionali della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo per i tributi che
l’espropriante ha dovuto pagare che hanno ulteriormente
decurtato le indennità di sua spettanza.
Pertanto per l’Angiargiu, dovrà di ufficio, con tale
indennità, liquidarsi anche il maggior danno costituito da
ogni importo pagato a titolo di imposta dall’espropriato.
1.8. Viene quindi chiesto di rideterminare l’indennità di
7

maggior danno da lui subito, dovendo negarsi che tale

espropriazione in base ai valori venali in C 29.120,42 e
quella di occupazione in C 5.044,92, con gli interessi di
legge sulle singole annualità dalla loro scadenza come
emergente dalla sentenza d’appello al saldo.
2.1. Il ricorso può essere esaminato in tutti i suoi motivi
e deve considerarsi fondato nei limiti che seguono, in

dell’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 in rapporto alle
aree edificabili (C. Cost. 3 luglio 2007 n. 348) e con la
sentenza del giudice delle leggi 10 maggio 2011 n. 181, in
rapporto alle aree agricole e/o non suscettibili di
edificazione.
Il limite monetario indicato in domanda per la liquidazione
della indennità di espropriazione di £. 27.000.000 o nella
diversa misura accertata dalla Corte di merito, non
escludeva che la stessa potesse determinarsi in altra somma,
come accertata dalla Corte cagliaritana, dovendo essa
intendersi come somma maggiore o minore di quanto richiesto,
per cui erroneamente, costituendo la citazione una
opposizione alla stima delle indennità di espropriazione e
occupazione come già determinata e da fissarsi nuovamente,
all’epoca della citazione, in base al valore di mercato
delle aree alla data della citazione (in tal senso cfr.
sentenza impugnata a pag. 7), la stessa Corte d’appello ha
liquidato l’indennità di espropriazione nella somma maggiore
di quella chiesta di cui sopra, fissandola in £ 28.241.00
pari ad C 14.585,25, senza censura di extrapetizione della
sentenza da alcuna delle parti: dovendosi ritenere corretta
la deduzione di cui al primo motivo di ricorso, già
8

ragione della ormai dichiarata illegittimità costituzionale

applicata con la liquidazione di una somma maggiore di
quella indicata in domanda, per cui il primo motivo di
ricorso è fondato.
Altrettanto è a dire per i motivi di ricorso dal secondo al
quarto, anche se essi sono parzialmente superati dalle
indicate dichiarazioni di illegittimità costituzionale dei

commisurata ad una misura minore di quella del valore venale
delle aree ablate, per tutte le vicende espropriative
intervenute prima dell’entrata in vigore dell’art. 37 del
D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 e ancora in corso alla data dei
già richiamati interventi della Corte Costituzionale.
Al presente esproprio si doveva applicare l’art. 39 della
legge 25 giugno 1865 n. 2359 (cfr. Cass. ord. 19 marzo 2013
n. 6798) e deve quindi liquidarsi ogni indennità oggetto di
causa nel valore venale delle aree espropriate o meglio, nel
caso in applicazione dell’art. 40 della legge n. 2359 del
1865, nella differenza tra il valori venali dell’area prima
dell’esproprio e del residuo di essa rimasto all’
espropriato, successivamente alla vicenda ablatoria.
Vanno quindi accolti anche i motivi dal secondo al quarto
del ricorso che tendono ad ottenere la liquidazione
dell’indennità ai sensi degli artt. 39 e 40 della legge n.
2359 del 1865.
Sono invece infondati i motivi quinto, sesto e settimo del
ricorso dell’Angiargiu che vorrebbe trasformare in debito di
valore quello di valuta delle indennità oggetto di causa, le
quali devono liquidarsi in base ai valori venali applicabili
all’epoca delle vicende ablatorie oggetto di lite, con gli
9

criteri di liquidazione dell’indennità di espropriazione,

interessi di legge dalla data del decreto di esproprio (26
novembre 1985) e, per quanto dovuto a titolo di indennità di
occupazione, dalla scadenza di ogni annualità di questa al
soddisfo, non potendosi corrispondere la rivalutazione
monetaria, non solo per quanto detto dai giudici di merito,
ma anche per la mancata prova dal ricorrente delle

avrebbero dato diritto a tali maggiorazioni, inapplicabili
ad un debito di valuta, quale è quello indennitario per cui
è causa.
Assorbito è invece l’ottavo motivo di ricorso in quanto
conseguenza diretta dell’accoglimento dei primi quattro
motivi di impugnazione, dovendosi determinare il dovuto come
chiesto in detto motivo per effetto dell’accoglimento che
precede.
3. In conclusione, per l’accoglimento parziale del ricorso,
la sentenza deve essere cassata e, decidendo la causa nel
merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., l’indennità di
espropriazione deve determinarsi in C 29.120,42, pari al
valore venale dell’area espropriata alla data del decreto
ablatorio, cioè al 26 novembre 1985, con gli interessi
legali da tale data al saldo.
Di conseguenza, l’indennità di occupazione va computata per
l’intera sua durata, dal 7 gennaio 1982 al 26 novembre 1985,
che si è già detto essere la data dell’ablazione, negli
interessi legali su quella di esproprio per cui le aree sono
rimaste occupate e quindi in C 5.045,87 con gli interessi di
legge dalle scadenze di ciascuna annualità al saldo.
Le spese del presente giudizio di cassazione, ferma restando
10

circostanze di fatto neppure da lui dedotte, che gli

la loro disciplina nella fase di merito che è conforme alla
legge e comunque non risulta impugnata specificamente in
questa sede, devono essere corrisposte da Poste Italiane
s.p.a. al ricorrente e devono liquidarsi nella misura di cui
in dispositivo.
P.Q.M.

assorbito l’ottavo e rigetta gli altri; cassa la sentenza
impugnata in relazione ai motivi accolti e decidendo la
causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., liquida
l’indennità d’espropriazione spettante al ricorrente in C
29.120,42, oltre agli interessi ai tassi di legge dal 26
novembre 1985 al saldo e quella di occupazione in C
5.045,87, con gli interessi legali su ciascuna annualità
dalla sua scadenza al saldo.
Condanna la controricorrente Poste Italiane s.p.a. a pagare
al ricorrente le spese di causa che liquida in complessivi
C. 6.200,00, di cui C 5.000,00 a titolo di compenso ed E
1.200,00 per spese forfettarie e documentate, oltre agli
accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della l”
sezione civile del 10 aprile 2014.

Accoglie i primi quattro motivi di ricorso, dichiara

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