Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14455 del 07/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 14455 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: LANZILLO RAFFAELLA

ORDINANZA
sul ricorso 23138-2011 proposto da:
UNICREDIT SPA 00348170101 – nella quale si sono fuse per
o

incorporazione Capitalia SpA e le seguenti società: UniCredit Banca
SpA, UniCredit Banca di Roma SpA, Banco di Sicilia SpA, UniCredit
Private Banking SpA, Unicredit Corporate Banking Sp A, Unicredit
Family Financing Bank SpA, Unicredit BancAssurance Management &
Administration scrl in persona del legale rappresentante pro-tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE SOMALIA 250, presso lo
studio dell’avvocato PUNZO FRANCESCO, che la rappresenta e
difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente contro
RANDI EUGENIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
MONTE ZEBIO 43, presso lo studio dell’avvocato NERVI

(4

4-1G

Data pubblicazione: 07/06/2013

GIOVANNI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ARCURI FABIO, giusta procura a margine del controricorso;;

controricorrente

avverso la sentenza n. 866/2010 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELLA
LANZILLO;
udito per il controricorrente l’Avvocato Giovanni Nervi che si riporta
agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott.
PIERFELICE PRATIS che ha concluso per il rigetto del ricorso.

La Corte,
Premesso in fatto:
– E’ stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art.
380bis cod. proc. civ.:
“1.- La Corte di appello di Palermo — in riforma della sentenza emessa
in primo grado dal Tribunale della stessa città — ha accolto la domanda
di risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, proposta da
Eugenio Randi contro la s.p.a. Unicredit, per avere quest’ultima fatto
protestare “per mancanza di fondi” un assegno di L 400.000, emesso
dal Randi il 24 agosto 1994 sul conto corrente aperto presso la banca,
sebbene l’importo dell’assegno rientrasse nei limiti del fido concessogli
dalla banca( £ 25 milioni), che a quella data era stato utilizzato fino
18.513.104.
La Banca si era difesa affermando di avere previamente avvertito il
correntista, con telegramma in data 2 giugno 1994 del seguente tenore:

Ric. 2011 n. 23138 sez. M3 – ud. 09-05-2013
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PALERMO del 23.4.2010, depositata il 22/06/2010;

”Pregasi volere regolare entro dieci giorni la sua posiione irregolare. In difetto
adotteremo le misure idonee a garanzia del nostro credito”.
La Corte di appello ha ritenuto non significativa la suddetta
comunicazione perché ambigua e generica, in considerazione del fatto
che il Randi era titolare di altri rapporti con la medesima banca, quale

passivo superiore all’importo del fido, e quale titolare di una
sovvenzione fiduciaria, che pure presentava una posizione debitoria
irregolare, a causa del mancato pagamento di alcune rate.
Unicredit propone tre motivi di ricorso per cassazione.
Resiste l’intimato con controricorso.
2.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli art.
1362, 1366, 1375 ed altri del codice civile, nel capo in cui la Corte di
appello ha escluso che il telegramma 2 giugno 1994 fosse sufficiente a
manifestare la revoca del fido. Assume che il testo dell’atto sarebbe
estremamente chiaro e che in ogni caso l’interpretazione della Corte di
appello non sarebbe conforme al principio di buona fede, considerato
anche che il telegramma era indirizzato al Randi e non alla società per
la quale aveva prestato fideiussione.
2.1.- Il motivo è inammissibile, prima ancora che manifestamente
infondato, poiché — pur prospettando formalmente la violazione delle
norme di legge in tema di interpretazione — in realtà contesta il merito
della decisione della Corte di appello, cioè il risultato a cui la Corte è
pervenuta, senza poter dimostrare per quali aspetti e sotto quali profili
l’interpretazione criticata si sarebbe discostata dai canoni legali
richiamati. Sicché le censure risultano sostanzialmente apodittiche.
3.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, nella parte in cui la Corte di appello — pur
avendo addebitato anche al Randi un comportamento scarsamente
Ric. 2011 n. 23138 sez. M3 – ud. 09-05-2013
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fideiussore di una società il cui conto corrente presentava un saldo

diligente, per non avere chiesto chiarimenti alla Banca dopo avere
ricevuto il telegramma il cui testo ha ritenuto non chiaro — ha ciò
nonostante attribuito alla Banca ogni responsabilità.
3.1.- Il motivo non è fondato.
Dalla motivazione della Corte di appello si desume che essa ha ritenuto

correntista. Ha addotto ampi e convincenti argomenti a supporto della
decisione, facendo rilevare che il testo del telegramma era ambiguo,
poiché faceva riferimento ad una non precisata posi ione irregolare del
Randi, a fronte di diversi rapporti di cui lo stesso era parte, anch’essi

irregolari, senza precisare a quale di essi si volesse riferire.
Ha soggiunto che il testo era anche fuorviante, poiché richiamava un
debito attuale, quindi un credito già esigibile, mentre tale non poteva
considerarsi il saldo passivo di un conto corrente assistito da un fido
per importo superiore al passivo in allora maturato, in mancanza di
revoca del fido; che una tale revoca avrebbe dovuto essere chiaramente
ed inequivocabilmente comunicata al correntista, essendo in corso con
lo stesso un regolare contratto.
Trattasi di motivazione congrua, logica ed anche condivisibile nel
merito.
Nulla autorizza un soggetto che sia legato ad altro da più contratti a
comunicare il suo recesso da uno di essi senza specificare quale; e
nessun canone legale interpretativo autorizza ad estendere gli effetti del
recesso da un singolo rapporto a tutti i rapporti intrattenuti dal
recedente con il destinatario della comunicazione, in mancanza di
apposita specificazione.
A maggior ragione quando gli effetti del recesso, quali quelli
conseguenti alla revoca del fido su di un conto corrente, possano

Ric. 2011 n. 23138 sez. M3 – ud. 09-05-2013
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assorbente la responsabilità della Banca rispetto a quella del

essere particolarmente gravi, quale il protesto di un assegno in danno
di un operatore economico.
4.- Il terzo motivo, con cui la ricorrente deduce violazione degli art.
278 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe
emesso condanna generica al risarcimento dei danni in mancanza di

La condanna generica viene emessa sulla base dell’accertamento
dell’illecito e della sua astratta idoneità a produrre un danno: in
particolar modo quando la potenzialità dannosa dell’illecito sia
particolarmente elevata.
La prova specifica dei danni — nella loro esistenza e nella loro entità —
potrà essere dedotta, dimostrata (e contestata) dagli interessati
nell’apposito giudizio sul quantum. (Cfr. da ultimo Cass. civ. Sez. 2, 13
settembre 2012 n. 15335: “La pronuncia di condanna generica al risarcimento
presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenialmente produttivo del danno,
rimanendo l’accertamento della concreta esistenRa dello stesso riservato alla
successiva fase, con la conseguena che al giudice della liquida_zione è consentito di
negare la sussistena del danno, sen.za che ciò comporti alcuna viola.zione del
giudicato formatosi sulf “an”).
4.- Propongo che il ricorso sia respinto, con ordinanza in Camera di
consiglio”.
– La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori
delle parti.
– Il P.M. non ha depositato conclusioni scritte.
– La ricorrente ha depositato memoria.

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ogni prova dell’esistenza dei danni, è manifestamente infondato.

Considerato in diritto:
Il Collegio rileva che la memoria della ricorrente è stata depositata il 6
maggio 2013, oltre il termine perentorio di cui all’art. 378 cod. proc.
civ. Di essa il Collegio non può tenere conto.
All’esito dell’esame del ricorso, il Collegio ha condiviso la soluzione e

Il ricorso non è fondato e deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate
complessivamente in C 7.200,00, di cui C 200,00 per spese ed C
7.000,00 per compensi; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di
legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione
civile, il 9 maggio 2013.

gli argomenti prospettati dal relatore.

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