Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14454 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/06/2017, (ud. 09/02/2017, dep.09/06/2017),  n. 14454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26027/2015 proposto da:

P.R. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROSARIO SANTESE, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

AUTOGRILL S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliatA in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO

18, presso lo studio degli avvocati PIERLUIGI RIZZO e NUNZIO RIZZO,

che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 446/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 23/04/2015 r.g.n. 291/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato PIERLUIGI RIZZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 446/2015, depositata il 23 aprile 2015, la Corte di appello di Salerno respingeva il gravame di P.R. nei confronti della sentenza del Tribunale di Salerno che ne aveva rigettato il ricorso volto alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento allo stesso intimato da Autogrill S.p.A. a motivo di ripetuti ammanchi di cassa verificatisi nel corso del mese di febbraio 2013.

1.1. La Corte territoriale, ritenuto legittimo l’utilizzo (come nella specie) di un’agenzia investigativa da parte del datore di lavoro per l’accertamento dei fatti, rilevava che gli elementi da questa forniti erano stati raccolti in un apprezzabile lasso di tempo ed avevano riguardato molteplici episodi, trovando in ogni caso conferma nelle verifiche contabili operate dalla società e ritualmente documentate.

2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il P. con due motivi; la società ha resistito con controricorso, assistito da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 3, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere posto a fondamento delle proprie conclusioni elementi di prova, ovvero le dichiarazioni dei dipendenti dell’agenzia investigativa incaricati dei controlli, privi di adeguati riscontri, inattendibili e comunque illegittimamente assunti, posto che non risultava fatta al lavoratore la comunicazione prevista dalla richiamata disposizione dello Statuto dei lavoratori.

Con il secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, il ricorrente si duole che il giudice di appello non abbia compiuto un’approfondita disamina logico-giuridica degli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento, in particolare trascurando di vagliare la sua pregressa e lunga carriera lavorativa e la modesta entità degli ammanchi di cassa.

2. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

3. Con riferimento al primo motivo, se ne deve in primo luogo rilevare l’inammissibilità là dove il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 3.

La Corte territoriale ha, infatti, osservato sul punto, in accoglimento di eccezione della società, come “la violazione del disposto della L. n. 300 del 1970, art. 3” risultasse “dedotta per la prima volta in appello” e, quindi, dovesse essere “sanzionata con una declaratoria di inammissibilità” (cfr. sentenza impugnata, ultima pagina).

A fronte di tale pronuncia, il ricorrente non ha riportato il proprio ricorso di primo grado, o almeno la parte di esso in cui la questione sarebbe stata sollevata, nè dedotto la sua specifica riproposizione in grado di appello, in tal modo non censurando in modo pertinente la decisione adottata dalla Corte territoriale.

3.1. Nel resto, il motivo tende, nella sostanza, a sollecitare, dietro lo schermo della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., un controllo del percorso motivazionale sulla ricostruzione dei fatti in termini non consentiti dalla nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, applicabile ratione temporis, e neppure nel vigore della precedente versione della norma, avendo la giurisprudenza formatasi prima della novella del 2012 costantemente affermato come la deduzione di un vizio di motivazione attribuisse al giudice di legittimità solo il potere di sottoporre a sindacato le argomentazioni svolte dal giudice di merito sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale e altresì precisato, nel definire i limiti del proprio controllo, come dovesse ritenersi spettante in via esclusiva a quest’ultimo il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere dal complesso delle risultanze del processo quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr., fra le molte, Cass. n. 6288/2011).

3.2. Quanto, poi, all’utilizzo delle dichiarazioni di dipendenti dell’agenzia investigativa, la Corte di appello risulta essersi uniformata al principio di diritto, espresso in fattispecie sovrapponibile alla presente, per il quale “in tema di controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, in ordine agli illeciti del lavoratore che non riguardino il mero inadempimento della prestazione lavorativa ma incidano sul patrimonio aziendale (nella specie, mancata registrazione della vendita da parte dell’addetto alla cassa di un esercizio commerciale ed appropriazione delle somme incassate), sono legittimi – e non presuppongono necessariamente illeciti già commessi – i controlli occulti posti in essere dai dipendenti dell’agenzia i quali, fingendosi normali clienti dell’esercizio, si limitino a presentare alla cassa la merce acquistata ed a pagare il relativo prezzo, senza porre in essere manovre dirette ad indurre in errore l’operatore; inoltre, a tutela del diritto di difesa dell’incolpato, è necessario che la contestazione sia tempestiva e che l’accertamento non sia limitato ad un unico episodio, non sempre significativo, e sia corroborato dall’accertamento delle giacenze di cassa alla fine della giornata lavorativa del dipendente” (Cass. n. 18821/2008).

Nella specie, la Corte, nel fare applicazione di tale principio, ha accertato che gli elementi forniti dall’agenzia investigativa erano “stati raccolti in un apprezzabile lasso di tempo”, avevano “riguardato molteplici episodi” e, soprattutto, avevano “trovato conferma nelle verifiche contabili operate dalla società e ritualmente documentate” (cfr. sentenza, p. 6).

4. Il secondo motivo è inammissibile.

Esso, infatti, non si conforma, dolendosi il ricorrente di una motivazione carente del giudice di merito, allo schema normativo del nuovo vizio “motivazionale”, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il decreto L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, pur a fronte di sentenza depositata il 23 aprile 2015 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore (11 settembre 2012) della novella legislativa.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369, comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

A tali oneri di deduzione il ricorrente non si è attenuto, in particolare omettendo di dimostrare la decisività dei fatti richiamati, nel senso della loro attitudine a determinare un esito diverso della controversia.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con distrazione ex art. 93 c.p.c., in favore dei difensori di Autogrill S.p.A., avv.ti Nunzio e Pierluigi Rizzo, come da loro dichiarazione e richiesta.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge, con distrazione a favore degli avvocati Nunzio Rizzo e Pierluigi Rizzo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13. comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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