Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14452 del 15/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 15/07/2016, (ud. 08/04/2016, dep. 15/07/2016), n.14452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6229-2014 proposto da:

E.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO MUSA 12-A,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PERTICA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PIERLUIGI FABBRO, giusta delega in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N (OMISSIS) BASSA FRIULANA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4/2013 del TRIBUNALE UDINE SEZIONE DISTACCATA

di PALMANOVA del 15/01/2013, depositata il 16/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ACIERNO MARIA;

udito l’Avvocato Fabrizio PERTICA difensore del ricorrente, che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che è stato depositata la seguente relazione in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 6229/2014.

E.O., cittadino straniero di nazionalità moldava, conveniva in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Palmanova l’Azienda per i Servizi Sanitari n. (OMISSIS) “Bassa Friulana” (di qui in poi, per brevità, anche Azienda), chiedendo che fosse accertato, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 35, il suo diritto a non versare alcun corrispettivo per la prestazione medica ricevuta il giorno 30.06.2006, perchè cittadino straniero privo di risorse economiche sufficienti, e chiedendo, pertanto, che l’Azienda fosse condannata a restituirgli Euro 2.032,29, somma da lui già corrisposta. In particolare, l’attore sosteneva di aver versato l’importo in due rate: Euro 500,00 Euro in data 3.07.2006, ed Euro 1.532,29 in data 26.09.2006.

La Azienda si costituiva in giudizio e contestava la domanda dell’attore, in particolare sostenendo che egli non versasse in condizioni di indigena, come da lui stesso dichiarato nell’apposito modulo, e che la quietanza prodotta in giudizio dall’attore a prova del pagamento di Euro 1.532,29 fosse falsa. Inoltre, affermando di aver ricevuto solo pagamenti parziali, chiedeva, in via riconvenzionale, che il cittadino straniero fosse condannato a pagare all’Azienda Euro 1.082,29.

La domanda principale veniva respinta, mentre quella riconvenzionale veniva accolta, dal Giudice di Pace con sentenza n. 158 del 2009, contro cui veniva proposto appello.

Il Tribunale di Udine rigettava il gravame (sentenza n. 4 del 2013), per l’effetto confermando la decisione di prime cure, in particolare in ragione delle seguenti considerazioni:

– Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 35, non poteva applicarsi al caso di specie, atteso che l’attore non aveva specificamente allegato (nè, tanto meno, provato) fatti da cui inferire l’esisteva dello stato di indigena, ma si era limitato ad una mera “enunciazione” dello stato di insufficienza economica negli scritti defensionali di primo grado; pertanto, lo stato di indigenza dell’appellante non poteva ritenersi provato, con la conseguente inapplicabilità della norma citata che ha tra i suoi presupposti proprio lo stato di insufficienza economica dello straniero irregolare;

– in aggiunta a ciò, l’appellante aveva dichiarato di non avere temporaneamente la possibilità di pagare l’Azienda, impegnandosi a farlo appena rientrato all’estero;

– parte convenuta sosteneva che l’attore aveva pagato Euro 950,00 tra il giorno dell’intervento e i successivi mesi; ulteriore elemento, questo, che non deponeva a favore della tesi dello stato di indigenza economica di cui al D.Lgs. cit., art. 35;

– con riguardo al credito vantato dall’Azienda e posto a fondamento della domanda riconvenzionale accolta in prime cure, metteva conto rilevare che la quietanza ritenuta rilasciata dall’Azienda era stata formalmente e tempestivamente disconosciuta dalla convenuta;

– l’ipotesi avanzata dal ricorrente secondo cui un dipendente dell’Azienda si sarebbe “intascato i soldi versati da lui” (gli Euro 1.532), approfittando di uno straniero irregolare che non parlava la lingua e versando poi una parte di essi “al fine di evitare che si scoprisse il fatto” rimaneva sprovvista di ogni supporto probatorio, ed era insufficiente, in tal senso, la dichiarazione di un testimone di aver visto l’attore pagare”, peraltro neppure specificando quale somma.

Contro la decisione di secondo grado ha proposto ricorso in Cassazione E.O., affidandosi ai seguenti motivi di ricorso:

1. violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 35, (art. 360, n. 3) e omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5), per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che il ricorrente non versasse nello stato di indigenza richiesto dalla norma solo perchè aveva dichiarato di essere “momentaneamente” privo di risorse economiche; e per avere il Tribunale omesso di esaminare le dichiarazioni della teste T., la quale confermava che l’appellante, all’epoca dei fatti, era clandestino da due anni, privo di occupazione lavorativa e convivente con una cugina badante;

2. violazione e falsa applicazione artt. 2702, 2727 e 2729 c.c. e artt. 214, 215 e 221 c.p.c. (art. 360, n. 3), e omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5), per avere il Tribunale errato laddove ha ritenuto di non attribuire valore di prova legale alla quietanza in ragione del mero disconoscimento dell’Azienda, che avrebbe dovuto proporre querela di falso contro il medesimo; e per non avere ritenuto provato il pagamento, ciò che invece risultava da elementi inconfutabili prodotti in giudizio (ad esempio la dicitura “Saldo versato” sulla fattura);

3. violazione e falsa applicazione artt. 652 e 654 c.p.p. (art. 360, n. 3) per non avere il Giudice di secondo grado preso in considerazione la sentenza della Corte d’appello penale di Trieste con la quale il ricorrente veniva assolto dai reati di tentata truffa e di falso, proprio con riferimento ai fatti per cui è causa; a giudizio del ricorrente, sarebbe pacifico che il suo diritto ad ottenere la restituzione di quanto, a suo avviso, ingiustamente pagato dipenderebbe dalla ritenuta o meno commissione di tali reati. Il primo motivo è manifestamente infondato sotto entrambi i motivi. il Tribunale, aderendo a quanto affermato dal Giudice di Pace, con motivazione coerente ed esaustiva, e quindi insuscettibile di censura da parte di questa Corte, ha ritenuto che il ricorrente non avesse provato lo stato di indigenza, con la conseguente inapplicabilità del D.Lgs. cit., art. 35, comma 4. In particolare, mette conto osservare che:

– il Tribunale non ha fondato il suo convincimento unicamente sul formulario prestampato con il quale il ricorrente si è dichiarato “temporaneamente” impossibilitato a pagare, ma ha considerato anche altri elementi (quali l’avvenuto pagamento di Euro 950,00) evidenziando che la temporanea impossibilità di pagare, unita all’impegno di saldare al rientro nel suo Paese d’origine, porta ad escludere uno stabile stato di insufficienza economica;

– il Giudice non è tenuto a dar conto, in sentenza, delle dichiarazioni di tutti i testi, e comunque la testimonianza ritenuta rilevante è stata richiamata dal Tribunale nella sentenza.

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La censura non tiene conto dell’art. 216 c.p.c., a tenore del quale, quando un documento è stato disconosciuto dal supposto sottoscrittore, è onere di chi ha prodotto il documento e intende farlo valere contro tale sottoscrittore di chiedere la verificazione del documento. Conseguentemente, i Giudici del merito hanno fatto buon governo delle norme in tema di disconoscimento delle scritture private: visto che l’Azienda ha tempestivamente disconosciuto la quietanza, era l’attore che, volendo insistere nella produzione del documento disconosciuto, doveva attivare la procedura di verificazione, se avesse voluto che da tale documento derivasse forza probatoria. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile perchè non censura la ratio decidendi fondante la pronuncia qui impugnata (Cass. civ. n. 23635 del 2010). Infatti, non è condivisibile la lagnanza del ricorrente secondo cui la sua assoluzione dai reati di tentata truffa e di falso comporterebbe come logica conseguenza la fondatezza della domanda proposta in sede civile: il Giudice, infatti, non ha respinto la domanda di O. sul presupposto che la quietanza fosse stata da lui falsificata, ma in considerazione degli altri elementi in pronuncia chiaramente illustrati. Conseguentemente, qualora si condividano le suesposte considerazioni, si converrà sulla reiezione del ricorso.

Il collegio, condivide la relazione depositata osservando in ordine alla memoria di parte ricorrente che essa è meramente riproduttiva dei motivi di ricorso, non fornendo nuovi elementi, nè colpendo in alcun punto la relazione depositata.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, senza applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016

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