Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14451 del 15/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 15/07/2016, (ud. 08/04/2016, dep. 15/07/2016), n.14451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1856-2014 proposto da:

M.M.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE PARIOLI 79/H, presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNELLO ACQUAS giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GIBA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ANGELO EMO 106, presso lo studio

dell’avvocato EDOARDO GIARDINO, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANDREA PUBUSA, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 327/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI del

30/11/2012, depositata il 22/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ACIERNO MARIA;

udito l’Avvocato Raffaella Baccaro (delega avvocato Brunello Acquas)

difensore della ricorrente che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Edoardo Giardino (delega avvocato Andrea Pusaba)

difensore del controricorrente che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che è stato depositata la seguente relazione in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 1856/2014;

relatore designato, visti gli art. 377 c.p.c., art. 380 bis c.p.c., art. 360 bis c.p.c., letti gli atti del procedimento civile iscritto al R.G. 1856 del 2014;

Rilevato che è stata proposta da M.M.R. domanda di restituzione d’immobile o risarcimento dei danni in ordine ad un appezzamento di terreno di cui era diventata proprietaria per successione testamentaria da A.F. che si trovava in un’area inclusa nel P.E.E.P. del comune di Giba senza che fosse stata conclusa procedura di esproprio e dopo decorso il termine per la definizione della stessa.

Rilevato altresì, che la domanda risarcitoria era stata accolta in primo grado e disattesa dalla Corte d’Appello di Cagliari sulla base delle seguenti argomentazioni – dopo l’adozione del piano di zona si era proceduto alla dichiarazione di pubblica utilità, cui era seguito il decreto di occupazione d’urgenza e il 19 ottobre 1990 l’atto di cessione volontaria che comprendeva anche il predetto appezzamento di terreno stipulato dal Comune con gli altri eredi A.;

– che oggetto della controversia era la qualificazione giuridica di quest’ultimo alto, ritenuto dal Tribunale una compravendita effettuata in regime di diritto privato con conseguente riconoscimento del diritto risarcitorio contestato;

– che al contrario la Corte territoriale riteneva corretta la qualificazione giuridica di cessione volontaria e la conseguente natura di acquisto a titolo originario della proprietà del bene in capo al Comune così come accade con il decreto di esproprio;

– che, pertanto, il diritto della M. doveva essere esercitato nei confronti degli espropriati sull’indennità;

Considerato che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione M.M.R. affidandosi a quattro motivi, mentre ha resistito con controricorso il Comune di Giba;

Ritenuto che il primo motivo in quanto relativo al vizio d’insuffieciente illogica e contraddittoria motivazione è inammissibile dal momento che la sentenza impugnata è stata pubblicata dopo il giorno 11 settembre 2012, data in cui è entrata in vigore la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ai sensi della quale deve essere oggetto di censura l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti e non viti afferenti mere carenze od ilogicità motivazionali (S.U. 8053 del 2014);

Ritenuto che il secondo motivo nel quale si censura l’omessa applicazione del divieto di produzione documentale in secondo grado è del pari inammissibile non essendo neanche indicati quali siano tali documenti;

Ritenuto che il terzo motivo nel quale si denuncia la violazione L. n. 865 del 1971, art. 12, nonchè vizio di motivazione insufficiente, per la errata qualificazione come cessione volontaria dell’atto traslativo in contestazione è inammissibile sia perchè del tutto generico sia perchè mira a sostituire una propria ermeneusi dell’atto (peraltro senza specificare gli indici interpretativi applicati) a quella insindacabilmente eseguita dalla Corte territoriale, sia per la parte in cui contesta che sussistessero i presupposti giuridici e temporali per la cessione volontaria, dal momento che non ne indica in concreto le scansioni, sia infine in ordine al vizio di motivazione per le ragioni già illustrate nell’esame del primo motivo;

Ritenuto che anche il quarto motivo è inammissibile perchè si limita a denunciare un’intrinseca contraddittorietà della motivazione;

Ritenuto, pertanto, che ove si condividano i predetti rilievi, il ricorso deve essere ritenuto inammissibile.

Il collegio osserva:

La memoria di parte ricorrente non colpisce le rationes decidendi poste a base della relazione depositata, limitandosi a riprodurre ragioni già indicate nel ricorso. In ordine al secondo motivo deve rilevarsi che nel corpus della censura non vengono indicati i documenti qualificati genericamente come “nuovi”, nè vi è alcun riferimento che consenta il collegamento con l’elencazione contenuta nella parte del ricorso relativa all’esposizione dei fatti (pag. 11 e 12 ricorso), così da impedire sia la valutazione d’indispensabilità sia quella di novità. Infine non viene indicato quale rilevanza abbiano avuto le pretese produzioni tardive del Comune, nè in quali parti della motivazione il giudice d’appello abbia utilizzato le stesse.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e per l’effetto condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio da liquidarsi in Euro 5.000,00 per compensi e Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Così deciso in Roma, il 8 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016

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