Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14450 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. II, 15/06/2010, (ud. 05/05/2010, dep. 15/06/2010), n.14450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.F., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Gurrera Lelio,

elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. Fusco Gianluca in

Roma, via dei Tre Orologi, n. 20;

– ricorrente –

contro

R.E. e M.M.F., la seconda nella

qualità di unica erede di M.P., rappresentate e

difese, in forza di procura speciale a margine del controricorso,

dall’Avv. Gandolfo Mocciaro, per legge domiciliate nella Cancelleria

civile della Corte di cassazione, piazza Cavour, Roma;

– controricorrenti –

e sul ricorso proposto da:

R.E. e M.M.F., la seconda nella

qualità di unica erede di M.P., rappresentate e

difese, in forza di procura speciale a margine del controricorso,

dall’Avv. Gandolfo Mocciaro, per legge domiciliate nella Cancelleria

civile della Corte di cassazione, piazza Cavour, Roma;

– ricorrenti in via incidentale –

contro

S.F.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 38 depositata

il 28 gennaio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 5

maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. GIUSTI Alberto;

udito l’Avv. Gurrera Lelio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il

rigetto dei ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con ricorso depositato in data 25 luglio 1992, M. P. ed R.E., comproprietari e compossessori di un fondo rustico coltivato a vigneto sito in (OMISSIS), confinante, tra l’altro, con il fondo di B.F. coltivato da S.F., premesso che il confine con questo terreno era costituito da una scarpata alta cm. 70 e degradante sino a cm. 20 nel lato opposto e che tra la predetta scarpata e le testate dei filari del vigneto di essi ricorrenti vi era una striscia di terreno di forma trapezoidale, lamentarono che lo S., nell’agosto 1991, procedendo alla motoaratura del fondo B. allo scopo di impiantarvi un vigneto, aveva eliminato completamente la scarpata e la fascia di terreno adiacente, addentrandosi nel fondo dei ricorrenti per una profondità di circa 3 metri, appropriandosi anche in parte dell’ingresso – “scarrozzo” sulla via pubblica. Pertanto, adirono il Pretore di Sciacca, affinchè ordinasse allo S. la rimessione in pristino dei luoghi, con il rifacimento della scarpata, e condannasse il predetto alla reintegra dei predetti nel possesso della fascia di terreno e dell’intero ingresso – “scarrozzo”.

Nella resistenza del convenuto, il Tribunale di Sciacca, subentrato al Pretore, con sentenza in data 12 novembre 1999 reintegrò i ricorrenti nel possesso della fascia di terreno che si dipartiva dalla via pubblica sino al fondo di An. e M. F., estesa m. 8,80 dal lato a confine con i Ma. e m.

9,80 da quello a confine con la via pubblica, precisando che la misurazione della stessa doveva operarsi dalla base della testata dei filari di vigneto dei predetti, e condannando il resistente alla restituzione della stessa in favore dei coniugi M. – R..

2. – Con sentenza n. 38, resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 28 gennaio 2004, la Corte d’appello di Palermo ha rigettato il gravame principale dello S. e quello incidentale, sul rimborso delle spese di c.t.u., del M. e della R., confermando l’impugnata pronuncia; ed ha dichiarato compensate tra le parti 1/5 delle spese del grado, ponendo la restante parte a carico dello S..

2.1. – La Corte territoriale ha rigettato l’eccezione di difetto di integrità del contraddittorio sollevata dall’appellante in via principale, osservando che C.G., all’epoca del lamentato spoglio, non aveva alcuna relazione di fatto con il terreno, coltivato esclusivamente dal coniuge S., e non poteva essere neppure considerata autore morale dello spoglio, avendo proceduto al coacquisto del bene soltanto nel marzo 1993.

La Corte d’appello – tenendo conto delle risultanze della c.t.u., delle testimonianze escusse e dell’interrogatorio formale di C.V. – ha ritenuto ampiamente dimostrato che lo S. (dando espresse disposizioni in merito al C.), nel procedere all’impianto di un vigneto sul proprio fondo precedentemente solo seminativo, aveva fatto arare la scarpata di confine, eliminandola, e si era addentrato nel fondo dei ricorrenti, da un minimo di m. 2,70 ad un massimo di m. 3,75.

La Corte di Palermo ha inoltre escluso che la sentenza del primo giudice sia incorsa nel vizio di extrapetizione.

Quanto all’appello incidentale (con il quale ci si lamentava della mancata condanna al pagamento anche delle spese di c.t.u.), la Corte territoriale lo ha dichiarato infondato, rilevando che il Tribunale aveva condannato il resistente alla spese, liquidate in complessive L. 4.600.000, nelle quali, in mancanza di elementi contrari, devono intendersi comprese anche quelle di c.t.u. (liquidate in L. 2.018.000).

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello lo S. ha proposto ricorso, con atto notificato l’11 marzo 2005, sulla base di tre motivi.

Hanno resistito, con controricorso, R.E. e M. M.F., quest’ultima nella qualità di unica erede dei M.P., le quali, a loro volta, hanno proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.

In prossimità dell’udienza le controricorrenti e ricorrenti incidentali hanno depositato una memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., essendo entrambe le impugnazioni riferite alla stessa sentenza.

2. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c.), il ricorrente rileva che l’impossibilità di ottenere il ripristino dello stato dei luoghi avrebbe dovuto indurre il giudice a pronunciare l’inammissibilità della domanda, avendo l’azione di spoglio funzione esclusivamente recuperatoria. Avrebbe errato la Corte d’appello ad individuare nella domanda una finalità diversa, ovverosia la restituzione della striscia di terreno.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

L’interpretazione della domanda si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice del merito.

Nella specie tanto il Tribunale che la Corte d’appello hanno rilevato, con congrua e logica motivazione, che l’oggetto della domanda di reintegrazione era la fascia di terreno che si estendeva dalla testata del vigneto dei ricorrenti sino alla originaria scarpata.

Il motivo di ricorso si limita a dedurre – peraltro denunciando, impropriamente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – che il giudice del merito sarebbe incorso in una errata operazione ermeneutica, senza neppure prospettare vizi motivazionali.

3. – Il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 102 c.p.c.; assoluta mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia; in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) lamenta che il giudice di merito abbia sostanzialmente trasformato l’azione possessoria in azione di regolamentazione di confine: mentre i ricorrenti avevano chiesto la condanna alla ricostruzione della scarpata di confine, la decisione impugnata ha disposto la restituzione di una striscia di terreno.

In relazione al risultato concreto cui perviene la decisione impugnata ed attesa la natura reale della domanda formulata, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell’intero giudizio in conseguenza della mancata partecipazione della comproprietaria C.G..

3.1. – Il motivo è infondato.

Non sussiste il lamentato vizio di extrapetizione.

Risulta dagli atti – ai quali è possibile accedere, essendo denunciato un vizio in procedendo – che gli attori in possessorio ebbero a dedurre che lo S., in occasione della motoaratura del fondo B. da lui condotto, aveva fatto eliminare la scarpata nonchè la fascia di terreno adiacente e, cancellando ogni segno di confine, si era addentrato nel fondo M. – R. per tutta la lunghezza del confine e per una profondità o larghezza di circa tre metri, appropriandosi anche dell’ingresso – “scarrozzo” situato sulla via pubblica; e che chiesero, in conseguenza, “la immediata restituzione in pristino dello stato dei luoghi”, “reintegrando nel possesso gli odierni ricorrenti della fascia di terreno di cui lo S. li ha spogliati”, con restituzione per l’intero “dell’accesso dell’ingresso – scarrozzo”.

E’ evidente, pertanto, che i ricorrenti non hanno proposto alcuna azione reale o di regolamentazione di confini, ma una azione possessoria di reintegrazione nel possesso della striscia di terreno.

Nè sussiste la lamentata violazione o falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c.: sia perchè, per costante giurisprudenza (tra le tante, Cass., Sez. 2, 18 febbraio 2010, n. 3933), lo spoglio, costituendo fatto illecito, determina la responsabilità individuale dei singoli autori secondo il principio di solidarietà di cui all’art. 2055 c.c., sicchè nel giudizio possessorio non ricorre tendenzialmente l’esigenza del litisconsorzio necessario; sia perchè la sentenza impugnata ha accertato che il coacquisto del bene da parte di C.G., di cui si lamenta la mancata partecipazione al processo, è avvenuto successivamente all’introduzione della lite, del pari escludendo che costei, al momento dello spoglio od ella proposizione del ricorso introduttivo, avesse alcuna relazione con il fondo confinante con quello del M. e della R..

4. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 1168 c.c.; assoluta mancanza di prova e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.;

omessa motivazione su un punto decisivo della controversia) ricorrente ritiene che la domanda di reintegrazione avrebbe dovuto essere rigettata per assoluta mancanza di prova in ordine a tutti i presupposti richiesti dall’art. 1168 c.c.. Infatti – si deduce – tutti i testi escussi in primo grado si sarebbero limitati a riferire dell’esistenza di una scarpata tra i due fondi, ma nessuno avrebbe deposto sull’esercizio del possesso da parte dei ricorrenti sulla striscia di terreno in contestazione; nessun teste avrebbe riferito che la motoaratura della striscia di terreno per cui è causa sia stata eseguita dallo S. o da soggetto da questo incaricato;

nessuna prova sarebbe stata raggiunta in ordine alla circostanza che lo S. sia l’attuale possessore della striscia di terreno in argomento; nessuno dei testi avrebbe riferito in ordine al possesso in favore degli attori dello “scarrozzo” (ossia del passo carrabile);

dalla consulenza tecnica – eseguita parecchi anni dopo l’asserito e non provato spoglio – non sarebbe possibile trarre argomenti di prova in ordine all’autore dello spoglio, al possesso della striscia di terreno e dello “scarrozzo” in contestazione ed alla parte di terreno da restituire; non vi sarebbero elementi probatori dai quali desumere che l’aratura della scarpata sia avvenuta per opera dello S. o di soggetto da questo incaricato.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

La sentenza della Corte territoriale, confermando la valutazione espressa dal Tribunale, spiega ampiamente le ragioni e le fonti del proprio convincimento sulla sussistenza di tutti i presupposti contenuti nell’art. 1168 c.c. per l’esercizio dell’azione possessoria, valorizzando a tal fine sia le deposizioni dei testi escussi in primo grado, sia la relazione del consulente tecnico d’ufficio, sia, ancora, l’esito dell’interrogatorio formale di C.V. (il quale intervenne nel giudizio di primo grado).

Il ricorrente si limita a contrapporre una propria, autonoma lettura delle risultanze di causa, senza neppure specificare e trascrivere, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il contenuto di tali risultanze, e quindi non ponendo questa Corte in condizione di apprezzare se quella o quelle prove, di cui si lamenta l’errata o insufficientemente valutazione, avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa.

5. – E’ invece fondato il primo motivo del ricorso incidentale, con cui si lamenta, sotto il profilo del vizio di motivazione, che la Corte territoriale non abbia accolto l’appello incidentale dei coniugi M. – R. con riguardo alle rimborso delle spese di c.t.u..

La Corte di merito ha ritenuto che nella somma di L. 4.600.000, che lo S. era stato condannato a pagare, fossero comprese, in mancanza di elementi contrari, anche le spese di c.t.u., liquidate in L. 2.018.000, oltre accessori.

Tale decisione di rigetto è viziata, giacchè il Tribunale – senza distinguere tra diritti, onorari ed esborsi – aveva distratto la intera somma liquidata in favore dell’avvocato difensore del M. e della R., il quale aveva però dichiarato all’udienza del 15 luglio 1997 di non avere ricevuto alcun acconto e di non avere neppure anticipato le spese.

Poichè, pertanto, le spese vive non erano state anticipate dal difensore distrattario, è evidente che le spese liquidate in suo favore non potevano comprendere (tanto più in mancanza di una specificazione in questo senso ed in presenza, invece, di una liquidazione forfettaria) anche quelle di c.t.u., che avrebbero dovuto essere riconosciute in favore della parte.

6. – L’accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale determina l’assorbimento del secondo mezzo, con cui si censura, in via subordinata, la medesima statuizione, sotto il profilo della violazione di legge, per violazione dei minimi tariffari.

7. – La sentenza impugnata è cassata in relazione al capo relativo alla mancata condanna dello S. al rimborso delle spese di c.t.u..

A tale statuizione può pervenirsi con decisione nel merito di questa Corte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Lo S. deve pertanto essere condannato al rimborso, in favore dei ricorrenti incidentali, della somma di Euro 1042,21, oltre accessori.

8. – Per effetto dell’accoglimento dell’appello incidentale, cade anche la compensazione, nella misura di 1/5, delle spese del gravame, che era stata disposta dalla Corte territoriale.

9. – Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata limitatamente alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna S.F. al pagamento, in favore di R.E. e M.M. F., della somma di Euro 1.042,21, a titolo di spese di consulenza tecnica; pone a carico dello S. l’intero importo delle spese di lite per il giudizio di appello, nella misura liquidata dalla Corte di Palermo; condanna il ricorrente in via principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalle controparti in solido, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorar, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 5 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

 

 

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