Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14448 del 15/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 15/07/2016, (ud. 06/06/2016, dep. 15/07/2016), n.14448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ROSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 16936 del ruolo generale dell’anno

2013 proposto da:

SIGIOCO S.r.l., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, F.G. rappresentato e

difeso, giusta procura a margine del ricorso, dagli avvocati Guido

Amato (C.F.: MTAGDU42513B428D) e Riccardo Carnevali (C.F.:

CRNRCR65E19D653G);

– ricorrente –

nei confronti di:

L.U. (C.F.: (OMISSIS)), L.G. (C.F.: LNZGRG48L19C948T),

rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso,

dall’avvocato Paolo Rolfo (C.F.: non dichiarato);

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Brescia n.

341/2013, pronunziata in data 6 marzo 2013 e depositata in data 14

marzo 2013;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 6

giugno 2016 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

uditi:

l’avvocato Riccardo Carnevali anche in sostituzione dell’avvocato

Guido Amato, per la societa’ ricorrente;

l’avvocato Paolo Rolfo, per i controricorrenti;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilita’ o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Sigioco S.r.l., conduttrice di un immobile di proprieta’ di L.U. e La.An. (quest’ultima deceduta nel corso del giudizio, che e’ stato proseguito dagli eredi L.U. e G.) con destinazione commerciale (attivita’ di raccolta di scommesse sportive) agi’ in giudizio nei confronti dei locatori per ottenere la riduzione del canone di locazione, la restituzione delle somme pagate in eccesso e il risarcimento dei danni, assumendo la parziale inutilizzabilita’ dell’immobile locato (e segnatamente dell’area soppalcata dello stesso), per mancanza del certificato di abitabilita’/agibilita’.

La domanda fu accolta dal Tribunale di Brescia, che ridusse il canone e condanno’ i locatori alla restituzione dell’eccedenza percepita. La Corte di Appello di Brescia, in riforma della decisione di primo grado, ha invece rigettato tutte le domande di parte attrice.

Ricorre la Sigioco S.r.l., sulla base di sei motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Resistono con controricorso i L.a.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e art. 1578 c.c.”.

Con il motivo di ricorso indicato come 1 bis si denunzia inoltre “violazione o falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e art. 112 c.p.c.”.

Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e artt. 99 e 112 c.p.c.”.

Il primo motivo di ricorso (ivi incluso il profilo dello stesso intitolato come 1 bis) ed il terzo sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente, avendo riguardo all’individuazione dell’oggetto della domanda proposta in sede di merito dalla societa’ ricorrente.

Essi sono inammissibili per difetto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

La societa’ ricorrente sostiene che la corte di appello avrebbe male interpretato la domanda da essa proposta, avendo ritenuto allegata (ma non dimostrata) esclusivamente l’impossibilita’ di utilizzare parte dell’immobile locato in conseguenza di un provvedimento interdittivo emesso dalla pubblica amministrazione, e avendo di conseguenza negato rilievo all’accertamento, effettuato dal consulente tecnico nominato in primo grado, in ordine alla sussistenza in generale dei requisiti di agibilita’ del locale soppalcato richiesti dalla normativa vigente.

Nel ricorso, pero’, non viene richiamato e specificamente riportato il contenuto dell’atto introduttivo dal quale dovrebbe evincersi che l’interpretazione datane dai giudici di merito non e’ corretta.

E’ cioe’ impedito alla Corte di verificare la fondatezza degli assunti posti a base dei motivi di ricorso in esame, che pertanto non possono essere esaminati nel merito.

Pare opportuno peraltro sottolineare comunque, in proposito, che l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce questione di fatto, onde il relativo accertamento non e’ sindacabile in sede di legittimita’, se adeguatamente motivato (ex multis: Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5876 del 11/03/2011, Rv. 617196: “l’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, e’ incensurabile in sede di legittimita’ e, pertanto, la Corte di cassazione e’ abilitata all’espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorche’ il giudice di merito abbia omesso l’indagine interpretativa della domanda, ma non se l’abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine”; in senso sostanzialmente conforme: Sez. 3, Sentenza n. 21421 del 10/10/2014, Rv. 632593; Sez. L, Sentenza n. 2630 del 05/02/2014, Rv. 630372; Sez. L, Sentenza n. 21874 del 27/10/2015, Rv. 637389; Sez. L, Sentenza n. 17109 del 22/07/2009, Rv. 610156), e che nella specie non puo’ dubitarsi dell’adeguatezza della motivazione della pronunzia impugnata, anche considerando gli stringenti limiti in cui risulta ammessa la censura per vizio di motivazione dalla previsione dell’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (sui quali si veda Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 e 629831), applicabile nella fattispecie in ragione della data di emissione della stessa pronunzia.

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento all’omessa pronuncia circa la prova del provvedimento inibitorio”.

Anche questo motivo e’ inammissibile.

Nel ricorso non viene specificamente indicato in quale atto processuale era stata articolata la prova per testi di cui la societa’ ricorrente lamenta la mancata ammissione, ne’ viene nominativamente indicato il teste di cui era stata chiesta l’escussione.

Inoltre, come eccepito dai controricorrenti, non e’ stato allegato e documentato che la richiesta istruttoria, rigettata in primo grado, fosse stata ritualmente riproposta in sede di impugnazione (e per la verita’ essa non risulta riportata nelle conclusioni trascritte nella sentenza di secondo grado).

In ogni caso la prova articolata, per come formulata, risultava effettivamente del tutto generica nell’indicazione delle circostanze relative al dedotto intervento dell’autorita’ che avrebbe emesso il provvedimento interdittivo dell’utilizzazione del locale soppalcato (provvedimento che la stessa ricorrente, nel ricorso, afferma che non le sarebbe mai stato comunicato).

Essa e’ stata quindi correttamente ritenuta inammissibile dai giudici di merito.

3. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 24”.

Con il quinto motivo del ricorso si denunzia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e artt. 2697 e 2727 c.c.”.

Il quarto ed il quinto motivo di ricorso sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi riguardano la questione dell’esistenza della certificazione di abitabilita’/agibilita’ dell’immobile locato.

Essi sono infondati.

La corte di merito ha valutato le emergenze istruttorie e, sulla base di motivazione del tutto adeguata (e comunque certamente non censurabile, in conseguenza dei gia’ richiamati limiti derivanti dal testo applicabile della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ha insindacabilmente accertato, in fatto, che la certificazione di agibilita’ per l’immobile locato (e anzi per l’intero fabbricato) fosse stata rilasciata nel 1971 e che cio’ fosse sufficiente a ritenere detto immobile idoneo per l’uso pattuito, in mancanza di prova dell’intervento di un contrario, concreto provvedimento interdittivo. Secondo la ricorrente sarebbe invece pacifico che il soppalco per cui e’ causa originariamente non esisteva, e dunque i requisiti di agibilita’ sarebbero successivamente venuti meno.

Manca pero’ del tutto la specifica indicazione ed il richiamo degli atti processuali e dei documenti da cui dovrebbe desumersi la circostanza indicata (che la corte di appello afferma invece essere rimasta indimostrata) nonche’ il suo carattere incontestato.

Inoltre, come gia’ esposto in relazione al primo e al terzo motivo di ricorso, la questione della sussistenza all’attualita’ dei requisiti richiesti dalla vigente normativa per l’agibilita’ dei locali commerciali e’ da ritenersi estranea al thema decidendum, e quella ancor piu’ specifica della eventuale perdita successiva dei requisiti di agibilita’ e della necessita’ di una nuova certificazione, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, risulta addirittura del tutto nuova, per quanto e’ dato evincere dagli atti.

In sostanza, con i motivi in esame la societa’ ricorrente chiede un inammissibile riesame degli accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, il che non e’ consentito in sede di legittimita’.

4. Con il sesto motivo del ricorso si denunzia “in via subordinata, violazione o falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e art. 91 c.p.c., D.L. n. 1 del 2012, conv. L. n. 27 del 2012 e D.M. n. 140 del 2012” Anche questo motivo (proposto in via subordinata, in caso di mancato accoglimento dei primi cinque, e quindi da esaminare) e’ infondato.

Per la liquidazione delle spese del primo grado del giudizio e’ evidente che la corte di appello ha applicato la tariffa professionale vigente anteriormente all’entrata in vigore dei nuovi parametri di cui al D.M. 20 luglio 2012 n. 140, in quanto la sentenza di primo grado risulta emessa anteriormente a tale data, liquidando distintamente diritti ed onorari di difesa (e precisamente liquidando complessivamente Euro 4.400,00, di cui Euro 1.100,00 per diritti ed il residuo, pari ad Euro 3.100,00, per onorari), come e’ chiaramente comprensibile dalla lettura del testo del provvedimento, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente.

Quest’ultima non ha peraltro contestato specificamente la correttezza dell’applicazione della suddetta tariffa professionale (che e’ peraltro in linea con la giurisprudenza di questa Corte: si veda ad es. sul punto Cass., Sez. 6-2, Sentenza n. 2748 del 11/02/2016, Rv. 638855, secondo cui “in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. n. 140 del 2012, art. 41, i nuovi parametri, in base ai quali vanno commisurati i compensi forensi in luogo delle abrogate tariffe professionali, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto purche’, a tale data, la prestazione professionale non sia ancora completata, sicche’ non operano con riguardo all’attivita’ svolta in un grado di giudizio conclusosi con sentenza prima dell’entrata in vigore, atteso che, in tal caso, la prestazione professionale deve ritenersi completata sia pure limitatamente a quella fase processuale”), limitandosi a sostenere che – imputata la somma di Euro 1.100,00, in sentenza indicata come “diritti”, a compensi professionali – non sarebbe comprensibile a cosa farebbe riferimento l’importo “differenziale” di Euro 3.100,00.

E’ dunque evidente che la censura non coglie affatto la ratio decidendi del provvedimento impugnato e manca quindi del tutto della necessaria specificita’.

Per quanto poi riguarda la liquidazione delle spese del giudizio di secondo grado, e’ la stessa ricorrente che afferma che liquidazione, correttamente effettuata dalla corte di appello in base ai nuovi parametri di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140, e’ contenuta nei limiti massimi da questi ultimi previsti.

Non sussiste pertanto alcuna violazione di legge: i giudici di merito hanno effettuato la dovuta valutazione delle attivita’ processuali svolte al fine di commisurare ad esse la liquidazione delle spese nell’ambito dei valori previsti dai parametri. La ricorrente pretende in sostanza la rivalutazione di una questione di fatto, il che non e’ ammissibile in sede di legittimita’ (ex multis: Sez. 1, Sentenza n. 20289 del 09/10/2015, Rv. 637440: “in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non puo’ formare oggetto di sindacato in sede di legittimita’”; nel medesimo senso: Sez. 2, Sentenza n. 11583 del 22/06/2004, Rv. 573803; Sez. 3, Sentenza n. 22347 del 24/10/2007, Rv. 599830; Sez. 3, Sentenza n. 21010 del 12/10/2010, Rv. 614586).

5. Il ricorso e’ rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto della citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la societa’ ricorrente a pagare le spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Cosi’ deciso in Roma, il 6 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016

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