Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14448 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/06/2017, (ud. 24/01/2017, dep.09/06/2017),  n. 14448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3651/2014 proposto da:

BANCA CENTRO EMILIA CREDITO COOPERATIVO SOCIETA’ COOPERATIVA C.F.

(OMISSIS), in persona del Presidente e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 7

int. 15, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA TROVATO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA LENZI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato GUIDO

MARIA POTTINO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIANLUIGI SERAFINI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1298/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 05/11/2013 R.G.N. 147/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo e assorbimento degli altri;

udito l’Avvocato TROVATO CONCETTA e l’Avvocato LENZI NICOLA;

udito l’Avvocato POTTINO GUIDO MARIA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.F., già preposto alla filiale di (OMISSIS) della Banca Centro Emilia, venne condannato dal Tribunale di Ferrara al risarcimento del danno (pari ad Euro 500.000) conseguente ad anomale gestioni dei denari depositati dai clienti della Banca. Il Tribunale respinse invece la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla Banca per distrazione di fondi e danni all’immagine. Avverso tale sentenza proponeva appello il P.; resisteva la Banca proponendo appello incidentale in ordine alle domande respinte.

Con sentenza depositata il 5 novembre 2013, la Corte d’appello di Bologna accoglieva l’appello principale, ritenendo in sostanza che il P. non avesse fatto altro che uniformarsi ad una prassi aziendale ed a precise disposizioni in tal senso impartite dai vertici aziendali, condannando la Banca al pagamento, in favore del P., di Euro 20.883,07 a titolo di competenze di fine rapporto, rigettando le domande principali e riconvenzionali della Banca.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Banca, affidato a cinque motivi. Resiste il P. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 324 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, art. 342 c.p.c., comma 1, art. 434 c.p.c., comma 1, oltre all’art. 2909 c.c..

Lamenta sostanzialmente la Banca che il P., nell’appellare la sentenza del Tribunale, non aveva contestato che, almeno in parte, egli stesso fu, sebbene in concorso con altri numerosi dipendenti della Banca, autore delle condotte illecite contestategli, ancorchè in misura minima, tendenzialmente pari allo zero in ragione del numero dei coautori, e dunque senza considerare che, almeno in parte, egli stesso era coautore delle illecite (o irregolari) operazioni compiute.

Lamenta che la corte felsinea, in contrasto con le norme denunciate e col principio del tantum devolutum quantum appellatum, giunse all’erronea decisione di cui sopra.

Il motivo è infondato posto che la sentenza impugnata non è incorsa nei denunciati errores in procedendo, avendo il P. devoluto al giudice d’appello la questione dell’assenza di ogni sua responsabilità, ex artt. 1227 e 2049 c.c. (già in primo grado, come risulta dalla sentenza del Tribunale, riportata a pag. 324 dell’odierno ricorso, e col ricorso in appello, riportato a pag. 338 dell’odierno ricorso) ed anche in ragione della prassi aziendale consolidata inerente la gestione dei risparmi dei clienti, più volte richiamata ed imposta dai suoi diretti superiori. La stessa Banca, nel presente motivo di ricorso, rammenta l’ex adverso invocata responsabilità della Banca e la dedotta insussistente responsabilità (tendente allo zero) da parte del P..

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1 e dell’art. 132 c.p.c.. Lamenta che, in base alla norma denunciata, la sentenza impugnata avrebbe potuto ridurre, ma giammai azzerare la responsabilità del P..

3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2049 c.c. e dell’art. 132 c.p.c., lamentando che l’art. 2049 c.c., riguarda la responsabilità dell’imprenditore per fatti ascrivibili ai dipendenti nei confronti di terzi, ma non già i rapporti interni tra datore di lavoro e dipendente danneggiante.

3.1- I motivi, che per la loro connessione possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati.

Ed invero è pacifico che il P. abbia richiesto e devoluto con l’atto di appello la questione della sua assenza di responsabilità anche ex art. 1227 c.c.. A tale riguardo deve considerarsi che il fatto colposo (e nella specie doloso) del creditore può ritenersi anche tale, come accertato dalla sentenza impugnata, da escludere qualsivoglia responsabilità del debitore (ex allis, cfr. Cass. 20.1.14 n. 999).

Nè risulta fondata la censura mossa dalla Banca circa il difetto di motivazione della sentenza impugnata sul punto, avendo essa, sulla base della documentazione in atti e delle numerose testimonianze raccolte, accertato che esisteva una vera a propria prassi, sollecitata anche dai vertici dell’Istituto, circa la gestione parallela dei titoli finanziari diretta a garantire, nell’interesse esclusivo della Banca, rendite straordinarie rispetto alle prospettive di mercato. Trattasi di accertamenti di fatto, insindacabili in questa sede, specie a seguito del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

4.- Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2104 c.c., dell’art. 132 c.p.c., oltre all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta che la sentenza impugnata non tenne conto del principio secondo cui il lavoratore deve usare, nell’esecuzione della prestazione lavorativa, la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, ed osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore e dai suoi superiori gerarchici.

Si duole in proposito che la corte felsinea ritenne erroneamente sussistente la dedotta prassi di consentire ai preposti impropri margini di discrezionalità nel compimento di operazioni finanziarie. Riporta al riguardo numerosi brani di deposizioni testimoniali.

Il motivo è inammissibile, in quanto diretto, nel regime di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ad una nuova valutazione ed apprezzamento dei fatti valutati dalla sentenza impugnata.

5.- Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2104, 2203, 2396 c.c., dell’art. 132 c.p.c., oltre all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta che la sentenza impugnata aveva erroneamente attribuito al dirigente G., direttore generale della Banca, poteri di indirizzo e gestione (nel senso di cui alla accertata prassi) che egli non possedeva, trattandosi di dipendente dell’azienda che non poteva esprimere alcuna volontà per conto della Banca.

Anche a tal fine riporta numerosi brani di deposizioni testimoniali in tesi dirette a dimostrare l’assenza di qualsivoglia coinvolgimento del G. nella politica di gestione dei risparmi dei clienti della Banca.

Il motivo è inammissibile, tendendo ad una nuova valutazione dei fatti, ampiamente accertati dalla sentenza impugnata. Nè può seriamente dubitarsi che il direttore generale della Banca non avesse poteri di indirizzo e/o non potesse esprimere, nei confronti dei sottoposti, alcuna volontà riferibile alla Banca stessa.

5.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 12.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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