Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14447 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. II, 30/06/2011, (ud. 24/02/2011, dep. 30/06/2011), n.14447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.M. (OMISSIS), G.L.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. MUSA

12/A, presso lo studio dell’avvocato PERTICA FABRIZIO, rappresentati

e difesi dall’avvocato FABBRO PIERLUIGI;

– ricorrenti –

contro

D.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CELARE BECCARIA 83, presso lo studio dell’avvocato CURTI

MARA, rappresentato e difeso dall’avvocato SQUARCILA RAFFAELLO;

– controricorrenti –

e contro

Z.C., Z.P.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 506/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 29/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/02/2011 dal Consigliere Doti. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato MARA CURTI con delega depositata in udienza

dell’avvocato RAFFAELLO SQUARCINA difensore della resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso proposto

da C.L. e per l’estinzione del ricorso proposto da G.

M. per intervenuta rinuncia.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1) Nel 1999 G.L. e G.M. chiedevano congiuntamente ai sensi dell’art. 2932 c.c. il trasferimento delle proprietà immobiliari oggetto di due distinti contratti preliminari, stipulati l’il dicembre 1998 e il 31 dicembre 1998 con Z. P., quale procuratore di Z.M., nelle more deceduto.

Evocavano in giudizio Z.P., Z.C. e D. B., erede testamentaria del de cuius.

Il tribunale di Gorizia rigettava sia le domande degli attori, sia la riconvenzionale della D., volta a far accertare la nullità dei preliminari, recanti data falsa, e in subordine l’annullabilità dei contratti anche ai sensi dell’art. 428 c.c., in relazione allo stato di salute del de cuius alla data indicata dai contratti.

La Corte d’appello di Trieste, adita dagli attori, contumace Z. P. – citato in proprio e nella qualità di erede di Z. C. – rigettava l’appello il 29 luglio 2005, con sentenza notificata il 5 dicembre successivo e impugnata con ricorso per cassazione il 2 febbraio 2006.

D.B. ha resistito con controricorso. Lo Z. è rimasto intimato.

Con atto depositato il 27 luglio 2006, la sola G. rinunciava al ricorso, che si articola in 4 motivi ed è resistito da controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2) In primo luogo va dichiarata l’estinzione del giudizio instaurato da M.G., che ha rinunciato al ricorso, rinuncia accettata, con espressa adesione alla compensazione delle spese, dalla controparte costituita.

3) Il primo motivo di ricorso risulta assorbito da tale pronuncia, poichè riguardava esclusivamente la posizione della G. e in particolare la qualificazione dello stesso quale contratto definitivo di vendita anzichè quale preliminare.

4) Il secondo motivo censura la dichiarazione di inammissibilità della domanda di nullità del testamento olografo di P. Z. per incapacità ex art. 428 c.c..

La Corte ha ritenuto che tale domanda, proposta con memoria ex art 180 c.p.c. dopo la costituzione della D., fosse nuova e inammissibile. Ha osservato che essa non era correlata, nè resa necessaria, dalla domanda riconvenzionale di nullità della procura a vendere rilasciata dal de cuius. Il testamento risaliva infatti al 1996 e non si poteva inferire dalla circostanza che Z. stesse male nel 1998 (allegata dalla D.) il fatto che stesse male anche prima di tale data. Dunque se i G. – G. intendevano contestare la nullità del testamento per incapacità naturale risalente già al 1996 avrebbero potuto e dovuto introdurre tale domanda sin dall’avvio della causa e non introdurla quale reconventio reconventionis.

L’odierno ricorso afferma che la domanda proposta nella memoria ex art. 180 c.p.c. era strettamente correlata alla riconvenzionale, ma tale affermazione è del tutto apodittica. Invano si sostiene che se la D. avesse provato l’incapacità naturale dello Z. nel 1998, al momento del rilascio della procura, il relativo accertamento di incapacità si sarebbe dovuto spingere fino al momento di redazione del testamento.

Come ha rilevato la Corte territoriale, non vi è congruenza logica in questa tesi, ben potendo anzi una persona anziana, ancora integra e capace nel 1996, ammalarsi e declinare due anni dopo, restando così del tutto separati i profili, anche fattuali, delle due controversie.

5) La terza censura lamenta che sia stato respinto il motivo di appello che lamentava ultrapetizione, con riferimento alla qualificazione della D. quale erede di Z., resa in via incidentale dal tribunale e confermata dalla Corte territoriale.

Secondo il ricorrente l’azione proposta ex art. 2932 c.c., prescindeva dalla qualifica di erede riconosciuta alla resistente, contro la quale la domanda era stata proposta solo perchè ella risultava proprietaria intavolata dell’immobile.

Il motivo è infondato. Incidentalmente era necessario per i giudici di merito qualificare l’interesse a resistere della convenuta, che, in qualità di erede, succedeva al dante causa quale controparte contrattuale degli attori. Tale accertamento comportava significative conseguenze probatorie in ordine alla prova della falsità della data della procura a vendere rilasciata dal de cuius a P. Z., il quale in forza di detta procura aveva promesso il bene al G..

Inoltre la D. aveva svolto rituale domanda riconvenzionale volta a conseguire il pagamento di canoni di locazione, domanda in funzione della quale era parimenti necessario stabilire la qualità di erede dell’attrice in riconvenzionale.

6) L’ultimo motivo lamenta con un primo profilo vizi di motivazione sulla prova della veridicità (o falsità) della data apposta nel contratto stipulato dal G..

Sotto un secondo profilo violazione dell’art. 345 c.p.c. “in relazione alla prova per testi formulata in appello”. La sentenza impugnata ha ritenuto che la firma del contratto tra G. e lo Z. (quale abusivo rappresentante del de cuius) sia avvenuta dopo la morte del rappresentato, con la conseguente invalidità del contratto.

A tal fine ha ritenuto confluire più elementi di prova: a) il fatto che nel contratto si facesse menzione di un’operazione – la picchettatura del terreno – che si è accertato essere avvenuta successivamente; b) il comportamento dello Z., il quale (secondo due testimoni) dopo la morte del de cuius si era attivato per tentare di vendere l’immobile, pur senza più poteri procuratori, perchè convinto di essere erede e si indusse a far ricorso a un falso dopo la pubblicazione del testamento che deludeva le aspettative; c) la necessaria cooperazione del G. alla falsità della data, cooperazione sintomaticamente provata d) dalla circostanza che l’acquirente avesse sostenuto di aver versato ben L. 340 milioni in contanti, senza indicare le fonti di approvvigionamento e senza che sia stata specificata la destinazione della somma.

La Corte d’appello ha inoltre negato l’ammissibilità della prova testimoniale, offerta solo in grado di appello, circa l’avvenuta esecuzione di una picchettatura informale già in data anteriore alla stipula.

A fronte di questa coerente e logica lettura delle risultanze di causa, parte ricorrente espone solo congetture prive sia di riscontro negli atti, sia di portata probatoria atta a scalfire la decisione sul punto decisivo della data di redazione del contratto post mortem.

Tanto si può dire della illazione tratta dal fatto che nel contratto G. non fosse menzionato il nome del geom. M. autore della picchettatura dopo il 18.12.1998.

E di ancor minore rilevanza è la deduzione secondo la quale il G. disponeva di tanto danaro contante a disposizione perchè era un imprenditore edile dedito agli affari, posto che è fuori da ogni ragionevolezza non depositare in banca una somma così ingente, esponendosi quantomeno al rischio di furti e alla perdita di ingenti interessi.

Inoltre la ricostruzione logica circa la falsificazione della data di stipula viene confutata perchè ritenuta carente di prova e si afferma invece che C. e Z.P. erano venuti a conoscenza del testamento a favore di B. solo nell’aprile 2009 e fino a quella data avrebbero potuto stipulare i rogiti quali (supposti) eredi anzichè adoperare la procura, circostanze che nulla dimostrano e che anzi sono coerenti logicamente con la tesi opposta, della retrodatazione della vendita al fine di sottrarre il bene all’erede testamentaria.

Quanto alla prova che picchettatura, piano di frazionamento e appuntamento dal notaio fossero stati presi prima della morte del de cuius (circostanze sub d), pag. 15 del ricorso) si tratta di mere enunciazioni non supportate da riscontri probatori acquisiti e indicati in ricorso.

Resta da dire infine che la mancata ammissione delle prove testimoniali (relativa alla picchettatura secondo la sentenza) non è adeguatamente censurata, giacchè, in aperta violazione dei criteri di formulazione del ricorso per cassazione, non viene riportato il testo dei capitoli di prova dedotti. Tale adempimento è imprescindibile al fine di consentire alla Corte di valutarne la decisività e di verificare se si trattasse di capi di prova indispensabili ex art. 345 c.p.c.; nè vengono riportati gli atti dai quali desumere – come si sostiene – che la necessità della prova fosse sorta dopo la sentenza di primo grado, tesi peraltro del tutto inverosimile, posto che la questione della falsità era stata introdotta dalla difesa di D.B. sin dalla comparsa di risposta, con il conseguente interesse del G. di addurre immediatamente ogni utile circostanza per provare il contrario.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara l’estinzione del giudizio quanto alla ricorrente G.M.. Rigetta il ricorso di G.L..

Condanna quest’ultimo alla refusione in favore della controricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 5.000 (cinquemila) per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile tenuta, il 24 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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