Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14443 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19603-2019 proposto da:

G.L., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PASQUALE RINALDI;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio

dell’avvocato ANGELA PALMISANO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANTONIO VINCI;

– controricorrente –

e contro

F.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 718/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 21/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

G.L. ricorre per la cassazione della sentenza n. 718-2019 della Corte d’Appello di Bari, pubblicata il 21 marzo 2019, articolando cinque motivi.

Resiste con controricorso Unipolsai Assicurazioni S.P.A..

Il ricorrente espone in fatto di avere chiesto la condanna risarcitoria di F.M. e di Unipolsai Assicurazioni S.P.A. per i danni fisici riportati in occasione dell’incidente stradale, avvenuto in (OMISSIS), mentre si trovava alla guida della sua moto Suzuki.

UnipolSai, costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda, asserendo l’esclusiva responsabilità dell’attore nella causazione dell’incidente occorsogli e contestando il quantum richiesto con l’atto di citazione.

Il Tribunale di Foggia, con sentenza n. 964/2013, dichiarava la pari responsabilità di G.L. e di F.M. nella causazione del sinistro, riconosceva al primo, sulla base dell’espletata CTU, la somma di Euro 34.368,00, a titolo di danno non patrimoniale, quella di Euro 237,17, per spese mediche, e regolava le spese di lite e di CTU.

G.L. impugnava la suddetta decisione, sia quanto alla ricostruzione della dinamica del sinistro sia quanto alla liquidazione del danno.

Unipolsai proponeva appello incidentale, chiedendo l’accertamento della preponderante responsabilità dell’odierno ricorrente nella causazione dell’incidente (80%), la riduzione della condanna risarcitoria, la compensazione delle spese di lite e di CTU, la condanna di G.L. a restituire le somme percepite in esecuzione della sentenza di prime cure.

La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, accoglieva parzialmente l’appello principale e quello incidentale, condannava in solido F.M. e Unipolsai al pagamento a favore di G.L. della somma di Euro 636,58 a titolo di rimborso delle spese mediche, condannava F.M. e Unipolsai a pagare metà delle spese di lite e di CTU del giudizio di primo grado, compensava le spese del giudizio d’appello.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo il ricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione di norma di diritto, in particolare dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 2054 c.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Anche in ragione del mancato supporto di una C.T.U. cinematica, il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui, dopo aver affermato che F.M. non aveva dimostrato di avere azionato l’indicatore di direzione, di essersi accostato all’asse della careggiata, di aver accertato che nessun veicolo sopravvenisse da tergo in fase di sorpasso, aveva ritenuto che al momento dello scontro la moto doveva trovarsi quanto meno al centro della carreggiata se non nell’opposta corsia di marcia, deducendolo dal fatto che la moto aveva impattato contro il copertone sinistro esterno posteriore dell’autocarro.

Detta ricostruzione dell’incidente contrasterebbe con quanto affermato dal teste C.L., secondo cui il camion sterzava bruscamente a sinistra in un tratturo, l’impatto avveniva sulla corsia di destra, la moto andava a sbattere contro la fiancata sinistra del camion, ed indicherebbe la violazione da parte della Corte d’Appello dell’art. 2054 c.c., comma 2, non applicabile nel caso di specie, avendo il danneggiato provato sia il comportamento colposo dell’altra parte sia di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Il motivo non merita accoglimento.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo il cui insegnamento, nel caso di scontro tra veicoli, l’accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti non determina ex se il superamento della presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 2 ove l’altro conducente non risulti che si sia uniformato alle norme sulla circolazione stradale e abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno.

La censura del ricorrente cela il tentativo di ottenere un diverso accertamento della dinamica del sinistro e quindi della responsabilità dei conducenti in esso coinvolti, senza considerare che questa Corte, con un costante orientamento, da cui non vi è ragione di discostarsi, afferma che in materia di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (cfr., ex plurimis, Cass. n. 14358 del 5/06/2018). Neppure risulta specificamente confutata la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto provato che il comportamento del ricorrente non fosse consono allo stato dei luoghi – non avendo osservato la distanza di sicurezza ed avendo tenuto una velocità inadeguata – anche ove si volesse dar credito a quanto dichiarato dal teste escusso, cioè che non fosse in procinto di eseguire una manovra di soprasso.

Inoltre, chi vuol dedurre la violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c. deve considerare che, poichè la norma prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi): Cass. 10/06/2016, n. 11892 e successiva giurisprudenza conforme.

2.Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza gravata per “Violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, per non avere il giudice a quo tenuto conto della deposizione del teste oculare che aveva escluso l’esecuzione di una manovra di sorpasso ed avere affermato, senza alcun riscontro effettuale delle cose e dei luoghi, l’omessa osservanza della distanza di sicurezza e la tenuta di una velocità eccessiva in prossimità di un incrocio.

Anche questo motivo, la cui illustrazione in buona parte riproduce quella posta alla base del primo, implica la richiesta di una diversa ricostruzione della dinamica del sinistro e quindi un nuovo accertamento dei fatti, estraneo al perimetro del sindacato di legittimità, perchè incompatibile con i suoi caratteri morfologici e funzionali.

3.Con il terzo motivo il ricorrente imputa al giudice a quo la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, per avere ritenuto che non vi fosse prova del passaggio in giudicato della sentenza del Giudice di Pace di S. Giovanni Rotondo che aveva integralmente accolto la domanda risarcitoria per i danni materiali subiti dalla moto, imputando la responsabilità dell’incidente esclusivamente a F.M., nonostante Unipolsai non avesse contestato il passaggio in giudicato di detta sentenza.

Il motivo non può essere accolto.

In violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non si deduce in ricorso in quale passaggio degli atti del giudizio concluso con la gravata sentenza, le ampie e complesse argomentazioni sull’estensione del giudicato inter alios sarebbero state sottoposte al contraddittorio e somministrate alle parti, sicchè non si è grado di escludere la non novità della questione, come proposta in tali specifici termini (e così incorrendo il motivo nella causa di inammissibilità affermata, tra molte altre, da Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138, a mente della quale il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito).

Peraltro, la giurisprudenza invocata dal ricorrente non risulta neppure applicabile nel caso di specie, giacchè egli

deduce esclusivamente la mancata contestazione

sull’affermato passaggio in giudicato della sentenza: circostanza che non è inidonea ad esonerare la parte che invochi il giudicato dall’onere di provarlo, producendo la sentenza corredata della certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., occorrendo a tal fine l’esplicita ammissione del passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

In caso contrario, pure in assenza di contestazioni, è necessario acquisire certezza della formazione del giudicato, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria. Perchè possa fare stato nel processo è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria (Cass. 23/08/2018, n. 20974).

La pronuncia n. 1554/1971 citata dal ricorrente è stata superata dalla decisione a sezioni unite – n. 460 del 19/07/1999 – secondo cui la parte che propone l’eccezione di giudicato esterno ha l’onere di fornire la prova della formazione del giudicato medesimo.

Il motivo va, pertanto, rigettato.

3.Con il quarto motivo il ricorrente rileva la ricorrenza di “Motivazione apparente della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

La tesi propugnata è che la sentenza impugnata non riveli la ratio decidendi e che si basi su una motivazione meramente apparente, in quanto gli elementi da cui è stato tratto il convincimento del giudice a quo sarebbero stati indicati senza un’approfondita disamina logico-giuridica e la statuizione conterrebbe affermazioni tra di loro in contrasto irriducibile che si eliderebbero a vicenda.

Il motivo non può essere accolto.

Sulla base delle affermazioni di Cass. sez. un. nn, 8053 e 8054 del 7/04/ 2014, secondo cui: “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione – è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

Ora, nel caso di specie, il vizio motivazionale si basa sulla premessa che abbia fatto difetto una approfondita disamina logico-giuridica degli elementi da cui la Corte d’Appello ha tratto il proprio convincimento, perchè essa avrebbe confermato la decisione del giudice di prime cure che aveva ritenuto non dimostrato che il conducente del veicolo antagonista avesse azionato l’indicatore di direzione, di essersi accostato il più possibile all’asse della carreggiata, di essersi accertato che da tergo non sopravvenissero altri mezzi in fase di sorpasso aventi diritto di precedenza, ma avendo aggiunto “anche a voler ipotizzare, dando credito al teste escusso, che il G. non stesse eseguendo la manovra di sorpasso vietata, comunque avrebbe tenuto una condotta colposa in quanto non avrebbe osservato la distanza di sicurezza… e non avrebbe tenuto una velocità commisurata allo stato dei luoghi…, avrebbe immotivatamente ritenuto che le dichiarazioni dell’unico teste oculare non avessero dimostrato la sua esclusiva responsabilità”.

Innanzi tutto, va rilevato che il ricorrente confonde l’apparenza motivazionale con il vizio motivazionale, richiamando fatti il cui esame sarebbe stato omesso, ma la carenza di motivazione non si ricava dal confronto con elementi extramotivazionali, ma dalla intima costituzione della motivazione.

Peraltro, le censure del ricorrente non si confrontano con le rationes decidendi della sentenza gravata e costituiscono un ennesimo tentativo di mettere in discussione gli accertamenti di fatto che sono di pertinenza esclusiva del giudice del merito, il quale senza incorrere in alcuna contraddizione si è limitato a confutare gli argomenti dell’odierno ricorrente, quanto all’assenza di riscontro probatorio della presenza della linea continua ed alla sua eccessiva velocità, affermando: a) la linea continua risulta dalle foto allegate; b) il Tribunale non ha mai ritenuto che la velocità alla guida fosse eccessiva, ma inadeguata non avendogli consentito di arrestate la moto in tempo utile per evitare l’impatto: circostanza confermata dal fatto che quand’anche non fosse stato impegnato – come affermato dal teste escusso – in una manovra di sorpasso del camion che lo precedeva comunque non aveva rispettato la distanza di sicurezza e non aveva tenuto una velocità congrua, “non essendo immaginabile che un camion di quelle dimensioni abbia eseguito una manovra di svolta a sinistra così repentina da impedire al motociclista qualsiasi manovra di emergenza”.

E’ evidente, dunque, che la sentenza è adeguatamente motivata, che l’apparato motivazionale si basa su affermazioni logiche che non sono in contrasto tra di loro e che permettono di intendere pienamente l’iter logico e giuridico seguito dal giudicante.

5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”, per avere la Corte territoriale disposto la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, condannandolo a restituire la metà della somma di Euro 5.800,00 per compensi ed Euro 520,00 per spese stabilita dal giudice di prime cure sulla base dell’attribuzione della responsabilità del sinistro in pari misura tra le parti, avendo già il giudice di appello stabilito la condanna alle spese in misura dl 50%.

Il motivo non può essere accolto.

La Corte d’Appello ha correttamente pronunciato sul motivo di appello incidentale relativo alle spese. Sul punto deve tenersi presente che, secondo Cass. 29/10/2019, n. 27606, “il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione”. E, in aggiunta, anche in ragione dell’operare del c.d. effetto espansivo interno di cui all’art. 336 c.p.c., comma 1, l’accoglimento parziale del gravame della parte vittoriosa in cui favore il giudice di primo grado abbia emesso condanna alla rifusione delle spese di lite non comporta, in difetto di impugnazione sul punto, la caducazione di tale condanna, sicchè la preclusione nascente dal giudicato impedisce al giudice dell’impugnazione di modificare la pronuncia sulle spese della precedente fase di merito, qualora egli abbia valutato la complessiva situazione sostanziale in senso più favorevole alla parte vittoriosa in primo grado. La Suprema Corte ha cassato la sentenza del giudice di appello che, nel riformare la sentenza impugnata aumentando l’entità della condanna al risarcimento danni pronunciata in favore degli appellanti, aveva modificato il regolamento delle spese di primo grado in termini meno favorevoli per gli appellanti, in difetto di appello incidentale sul capo relativo alle spese; nel caso di specie, invece, la statuizione sulle spese era stata adottata proprio sulla base dell’appello incidentale sull’applicazione dell’art. 91 c.p.c..

Va aggiunto che l’error in iudicando è stato dedotto in maniera generica e senza confrontarsi con la sentenza impugnata; e che risultano dedotti ma non argomentati i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 4 e 5.

6. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.

7. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

 

 

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