Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14443 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 09/06/2017, (ud. 09/05/2017, dep.09/06/2017),  n. 14443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20608/2011 proposto da:

FREDDY s.p.a, p.iva (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante e presidente del consiglio di amministrazione,

F.C., con sede in (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura

speciale apposta a margine del ricorso, dagli Avvocati Antonella

Rivara e Guido Ninni, ed elettivamente domiciliata presso lo studio

di quest’ultimo in Roma, alla via Anapo n. 29;

– ricorrente –

contro

M.B. FASHION GROUSP s.p.a. in liquidazione, in

amministrazione straordinaria, in persona dei commissari

straordinari R.F., S.O. e

M.G.;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA, depositato il

14/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/05/2017 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Luigi Salvato che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La Freddy s.p.a., premettendo di aver concesso, giusta contratto del 27.1.2009, alla M.B. Fashion Group s.p.a. una licenza non esclusiva del proprio marchio, valida fino al 31 dicembre 2014, in un prestabilito ambito territoriale, per la produzione, promozione, distribuzione e vendita dei prodotti specificamente individuati nell’allegato “C” del menzionato contratto, e che la licenziataria si era resa, sin da subito, inadempiente alle obbligazioni assunte omettendo di versarle le royalties minime pattuite, proponeva ricorso L. Fall., ex art. 98 avverso il provvedimento del giudice delegato del 9.11.2010, comunicato il 17.1.2011, che aveva disposto l’ammissione parziale dei suoi crediti al passivo della M.B. Fashion Group s.p.a., in amministrazione straordinaria, dichiarata in stato di insolvenza con sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 25/2010 del 17.3.2010, per la somma di Euro 120.000,00 (IVA inclusa), negandola, invece, per l’importo residuo complessivo di Euro 10.260.000,00 richiesto a titolo di danno patrimoniale (Euro 5.080.000,00) e di danno all’immagine (Euro 5.180.000,00), conseguenti alla risoluzione contrattuale anticipata dovuta al descritto inadempimento della licenziataria.

L’adito tribunale respingeva il ricorso, con decreto del 7/14.7.2011, comunicato il 22.7.2011, ritenendo, per quanto qui ancora di interesse: che i documenti allegati alla memoria autorizzata L. Fall., ex art. 99, comma 10, fossero inutilizzabili perchè tardivi, e comunque non rilevanti perchè già prodotti in copia la cui conformità agli originali non era stata contestata dall’opposta; che dovesse escludersi, con riguardo al preteso credito di Euro 5.080.000,00, a titolo di risarcimento dei danni connessi alla risoluzione anticipata del contratto, la possibilità, invocata dall’opponente alla stregua della prodotta documentazione, di farsi luogo alla liquidazione dello stesso erroneamente ritenuto in re ipsa; che, quanto al credito invocato a titolo di risarcimento per danno all’immagine, la domanda appariva sfornita di adeguato supporto probatorio circa la sua esistenza, nonchè scarsamente persuasiva già sotto il profilo della sua allegazione, non essendo stato dedotto in che termini e per quali ragioni si sarebbe prodotto il suddetto pregiudizio, nè in base a quali criteri si sarebbe dovuto provvedere alla sua liquidazione, all’uopo rivelandosi non dirimenti i documenti prodotti ed estremamente generica la prova orale articolata.

2. Avverso tale decreto la Freddy s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, mentre la M.B. Fashion Group s.p.a. in amministrazione straordinaria non ha svolto difese.

La ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, nella quale, evidenziando, tra l’altro, che, con provvedimento del 5 giugno 2012, il Tribunale di Reggio Emilia ha disposto, ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 71, la conversione in fallimento della procedura di amministrazione straordinaria della suddetta intimata, ha chiesto, ove se ne fosse ravvisata l’opportunità, integrarsi il contraddittorio nei confronti della curatela fallimentare.

3. Pregiudizialmente deve darsi atto che l’intervenuto fallimento della società ricorrente (con il conseguente venir meno della legittimazione processuale degli organi rappresentativi della M.B. Fashion Group s.p.a. in amministrazione straordinaria) non spiega effetto ai fini che qui interessano, atteso che l’apertura della procedura concorsuale non integra una causa di interruzione del giudizio in sede di legittimità, posto che in quest’ultimo, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (cfr., ex multis: Cass., 12 gennaio 2017, n. 603, in motivazione; Cass. 17 luglio 2013, n. 17450; Cass. 5 luglio 2011, n. 14786; Cass. 13 ottobre 2010, n. 21153).

4. Con il primo motivo (rubricato “Sull’ammissibilità e rilevanza delle prove documentali ed orali dedotte; violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4 e comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ed omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione sul punto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”), si denuncia che il tribunale sembrerebbe non aver tenuto conto delle prove documentali in atti, avendole ritenute, in modo del tutto contraddittorio, da un lato, inammissibili, in quanto tardive, malgrado la intempestività della corrispondente eccezione formulata dalla procedura opposta solo all’atto della sua avvenuta costituzione in udienza (invece che con memoria da depositarsi dieci giorni prima), e, dall’altro, irrilevanti in quanto corrispondenti a documenti già depositati in copia e non contestati da parte opposta. Quanto alle istanze di prova orale, invece, le stesse risultano quasi del tutto ignorate pur contestandosi, da parte dei giudici, una pretesa carenza probatoria in ordine alle domande proposte sia sull’an che sul quantum.

5. Con il secondo motivo (rubricato “Sul risarcimento del danno subito da Freddy a seguito dell’intervenuta risoluzione del contratto: violazione o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., dell’art. 1453 c.c., degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ed omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione sul punto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”), dopo essersi dato atto che il tribunale aveva ritenuto non potersi procedere alla liquidazione del danno in quanto non sarebbero stati dedotti e provati dalla ricorrente gli elementi necessari a consentirne la relativa liquidazione, si assume che le argomentazioni all’uopo addotte (Freddy s.p.a. non avrebbe, in realtà, subito alcun danno poichè sarebbe rientrata in possesso del marchio nel gennaio 2010, a fronte di una licenza riguardante le collezioni con decorrenza dalla primavera/estate 2010; le parti avrebbero consensualmente disciplinato le conseguenze della risoluzione all’art. 10.2 del contratto di licenza; la domanda relativa al danno all’immagine sarebbe priva di sostegno probatorio) si appalesano censurabili considerate, da un lato, le esigenze ed i tempi della produzione industriale e della commercializzazione dei relativi prodotti, e, dall’altro, l’effettiva volontà contrattualmente espressa dalle parti erroneamente interpretata dai giudici di prime cure.

6. Il primo motivo appare privo di fondamento, atteso che nel decreto impugnato si è espressamente affermato che di quei documenti ritenuti depositati tardivamente dal tribunale (perchè contenuti nel fascicolo della domanda di insinuazione allegato alla memoria L. Fall., ex art. 99, comma 10), ne esistevano già copie non contestate in atti.

Accertatane, quindi, la irrilevanza in quella sede, appare affatto ultroneo l’esame dell’ulteriore profilo di doglianza concernente la tardività della loro produzione ivi.

Quanto, invece, all’affermazione della Freddy s.p.a. secondo cui le sue istanze di prova orale sarebbero state quasi del tutto ignorate pur contestandosi, da parte dei giudici, una pretesa carenza probatoria in ordine alle domande proposte sia sull’an che sul quantum (cfr. pag. 6 del ricorso), la relativa censura deve considerarsi, a tacer d’altro, inammissibile, atteso che il ricorrente che, in sede di legittimità, denuncia la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito ha l’onere – nella specie rimasto inadempiuto – di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da dimostrare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di cassazione deve essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr. Cass., SU, n. 28336/2011, 17915/2010).

7. Parimenti inammissibile, poi, deve ritenersi, nel suo complesso, il secondo motivo, mediante il quale, pur denunciandosi, apparentemente, violazione di legge ed una insufficiente e contraddittoria motivazione del provvedimento impugnato, si chiede, in realtà, a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede, mostrando di anelarsi ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le loro valutazioni espresse nel menzionato provvedimento, non condivise e, per ciò solo, censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381/2006, nonchè la più recente Cass. 8758/2017).

Invero, il tribunale ha ritenuto non potersi dare luogo alla quantificazione del danno invocato a seguito della intervenuta risoluzione contrattuale, anche sotto il profilo del pregiudizio all’immagine, in quanto non sarebbero stati dedotti e provati dalla ricorrente gli elementi necessari a consentirne la relativa liquidazione, atteso che: a) Freddy s.p.a. non avrebbe subito alcun danno poichè sarebbe rientrata in possesso del marchio fin dal gennaio 2010, a fronte di una licenza riguardante le collezioni con decorrenza dalla primavera/estate 2010, di talchè sarebbe stato suo onere allegare elementi indispensabili al fine di stimare in quali termini e con che tempi il venir meno del contratto le avesse precluso, o reso più difficoltoso, conseguire royalties attraverso la concessione del marchio in licenza ad altra impresa o di trarre comunque utilità dal marchio. Nè, per la valutazione del danno, si sarebbe potuto assumere a riferimento il corrispettivo pattuito dalle parti per l’utilizzo del marchio per l’intera durata contrattuale, vigendo, nel nostro ordinamento, il principio per cui il risarcimento, mirando a ristabilire il patrimonio del danneggiato nello stato in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, non deve costituire fonte di lucro per il danneggiato; b) le parti avrebbero consensualmente disciplinato le conseguenze della risoluzione all’art. 10.2 del contratto di licenza, a tenore del quale “nel caso di risoluzione del contratto per qualunque causa, il rendiconto dovrà essere inviato ed il pagamento dovrà essere effettuato entro 30 giorni dalla data di cessazione del contratto e dovranno riguardare i prodotti licenziati che risultino essere in produzione, già fabbricati o venduti, dalla Licenziataria e/o dalle società controllate, dalla fine del precedente trimestre fino alla data di cessazione del contratto”. Così facendo, ad avviso del tribunale, i contraenti avevano inteso determinare le conseguenze patrimoniali in ipotesi di risoluzione del contratto “per qualunque causa”, dunque anche in caso di inadempimento, limitando il pagamento alle royalties per “i prodotti licenziati che risultino essere in produzione, già fabbricati o venduti… dalla fine del precedente trimestre”, mentre la Freddy s.p.a. nulla aveva dedotto con riguardo all’applicazione di tale disposizione, sicchè il giudicante non era in possesso di elementi valutativi essenziali per addivenire ad una stima – anche equitativa – dell’eventuale danno risarcibile; c) la domanda relativa al danno all’immagine era priva di sostegno probatorio, non apparendo possibile desumerlo dalla mera sussistenza di un comunicato stampa e dalla partecipazione ad un evento fieristico, nè risultava in atti alcuna prova che consentisse di individuare il quantum del credito vantato. Il tribunale ha anche specificato che “..la domanda appare scarsamente persuasiva già sotto il profilo delle stesse allegazioni, non essendo stato dedotto in che termini e per quali ragioni si sarebbero prodotti i danni all’immagini lamentati dall’opponente in conseguenza dell’avvenuta risoluzione del rapporto negoziale, nè in base a quali criteri si dovrebbe procedere alla sua liquidazione…”, essendo, peraltro, stati prodotti a tal fine documenti non dirimenti e richieste prove orali su capitoli che, seppure ammessi, non sarebbero stati in grado di provare il credito a cagione della loro estrema genericità.

Tanto premesso, l’affermazione rinvenibile nell’odierno ricorso della Freddy s.p.a., secondo cui le riferite argomentazioni del tribunale si appalesano censurabili considerate, da un lato, le esigenze ed i tempi della produzione industriale e della commercializzazione dei relativi prodotti, e, dall’altro, l’effettiva volontà contrattualmente espressa dalle parti erroneamente interpretata dai giudici di prime cure, si risolvono, sostanzialmente, in un inammissibile tentativo di ottenere in sede di legittimità una diversa valutazione delle risultanze istruttorie.

Da un lato, infatti, va ricordato, quanto al significato concretamente attribuito dal tribunale al menzionato art. 10.2 del contratto intercorso tra le parti, che, in tema di interpretazione del contratto, questa Corte ha in più occasioni affermato che la medesima, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche; per cui non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (cfr. Cass. 7500/2007, 10554/2010).

Analogamente, si è detto che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 24539/2009, 25861/2013, 5016/2014, 2465/2015, 10891/2016).

Risulta da tale pacifica giurisprudenza, alla quale questo Collegio intende dare continuità, che le doglianze relative alla presunta violazione delle regole sull’interpretazione dei contratti – peraltro formulate con un generico richiamo agli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., senza alcuna precisazione – sono destituite di fondamento.

Il tribunale, infatti, con una motivazione congrua e priva di contraddizioni e di vizi logici, ha interpretato il contratto intercorso tra le parti ed è pervenuto, quanto al significato da attribuirsi al suo art. 10.2, alla conclusione – affatto plausibile e non irragionevole – che esso costituisse la predeterminazione delle conseguenze patrimoniali derivanti dalla risoluzione del contratto per qualunque causa, e quindi, anche per l’inadempimento.

In definitiva, quindi, il ricorso è fondato sulla volontà della parte ricorrente di sentirsi riconoscere ciò che il tribunale ha consapevolmente negato, e cioè un pregiudizio, anche alla propria immagine, derivato dall’inadempimento della licenziataria, circa il quale nessuna prova, concreta e rilevante, era stata fornita (anche alla stregua di quanto si è già detto circa la ritenuta tardività della documentazione allegata alla memoria autorizzata ai sensi della L. Fall., art. 99, comma 10) dall’istante: il che equivale a cercare inammissibilmente in questa sede – di sostituire la propria interpretazione contrattuale e/o valutazione delle risultanze istruttorie a quella del giudice di merito.

Il ricorso, pertanto, va respinto, senza alcuna pronuncia sulle spese non avendo l’intimata svolto difese in questa sede.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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