Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14439 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 09/07/2020), n.14439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1492-2018 proposto da:

L.P., P.R., V.F., B.L.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, SALITA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO

1/B, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO NASO, rappresentati e

difesi dall’avvocato CRISTIANO DALLA TORRE;

– ricorrenti –

contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL VENETO, in persona del Direttore

pro tempore, UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI TREVISO, in persona

del Dirigente pro tempore, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 312/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte di appello di Venezia, per quanto in questa sede interessa, in riforma della decisione di primo grado, rigettò le domande proposte da L.P., P.R., V.F., B.L. ANELLA, volte a ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla illegittimità di plurimi contratti a termine stipulati con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in qualità di assistenti tecnici e collaboratori scolastici a tempo determinato;

in corso di causa, in ragione della pendenza di questione di costituzionalità avente ad oggetto le norme applicabili nel caso di specie, era stata disposta la sospensione del processo, proseguito a seguito di riassunzione da parte del Ministero fino alla sentenza;

in sede di decisione il collegio, richiamati i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, osservò che gli appellati erano stati stabilizzati mediante pregressi strumenti selettivi e concorsuali e che la stabilizzazione costituiva riparazione in linea di principio soddisfacente rispetto all’abuso, così da rendere non dovuto il risarcimento del danno comunitario ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, in assenza di allegazione di danni subiti in ragione dell’uso improprio o distorto alle supplenze;

avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione i ricorrenti in epigrafe sulla base di cinque motivi;

il Ministero resiste con controricorso, pur se costituito tardivamente;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo i ricorrenti deducono che error in procedendo per intervenuta estinzione del procedimento d’appello a causa della tardiva riassunzione, osservando che la Corte aveva sospeso il procedimento sino alla pubblicazione della sentenza della CGE, pronunciata il 26/11/2014, e con comunicazione del 10/12/2014, aveva modificato la propria ordinanza sospendendo il procedimento sino alla pronuncia della Corte Costituzionale, ancorchè durante la sospensione del processo non sia consentito il compimento di atti del procedimento, i quali, se compiuti, sono privi di effetto, cercando inutilmente di superare detta preclusione in fase extraprocessuale, mediante corrispondenza con l’Avvocatura dello Stato e consultazione del tutto informale con l’altro difensore;

deducono, inoltre, error in procedendo, per avere la Corte d’appello omesso di dichiarare l’estinzione del processo a causa del mancato tempestivo deposito telematico dell’atto di riassunzione, rilevando che esso era stato prodotto in forma cartacea in processo regolato dal D.L. n. 179 del 2012, mentre era richiesto, trattandosi di atto endoprocessuale, l’utilizzo di modalità telematica, con la conseguenza che la sentenza di primo grado, in ragione dell’inesistenza dell’atto di riassunzione, era passata in giudicato;

con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione, falsa ed erronea applicazione delle norme di legge in tema di diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati nella sentenza della Corte di Cassazione Sez. Un. 5072/2016, oltre a violazione e falsa applicazione del principio di equivalenza e del principio di effettività della tutela, rilevando che la possibilità d’immissione in ruolo per effetto dell’avanzamento in graduatoria, poichè aleatoria, non può essere considerata sanzione adeguata a garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro, imponendosi il riconoscimento di una indennità risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex art. 32;

deducono, ancora, che, nel caso in cui la Corte di Cassazione ritenesse corretta l’interpretazione delle norme interne avallata dalla Corte d’appello di Venezia, s’imporrebbe la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia Europea per verificare la conformità della richiamata normativa nazionale a quella Europea dei contratti a tempo determinato, conformemente a quanto disposto dalla Corte d’appello di Trento;

con ultimo motivo deducono illegittimità costituzionale, in relazione all’art. 3 Cost., e all’art. 117 Cost., comma 1, alla clausola 5 punto 1 dell’accordo quadro allegato alla Dir. Europea 1999/70/CE e all’art. 6, paragrafo 1, Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, della disciplina di legge che prevede l’esclusione della misura risarcitoria indennitaria in caso di abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato per il caso d’immissione in ruolo dei dipendenti scolastici per effetto dello scorrimento delle graduatorie;

il primo motivo è inammissibile, poichè il rilievo di assoluta informalità delle comunicazioni relative allo spostamento del termine di sospensione del processo non è corredato di adeguate allegazioni in termini di autosufficienza, mediante produzione delle comunicazioni ai difensori, trascrizione del loro contenuto e localizzazione nell’ambito dei relativi atti processuali (cfr. Cass. n. 9888 del 13/05/2016: Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che censuri la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle processuali, deve specificare, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il corrispondente motivo di ricorso, non avendo il ricorrente ivi trascritto quelle parti dell’atto di appello necessarie a dimostrare la proposizione, già nell’atto introduttivo del gravame, dei motivi articolati nella comparsa conclusionale di secondo grado e la conseguente erroneità del loro rigetto in rito);

quanto al secondo motivo, va richiamato preliminarmente il principio espresso da Cass. n. 9772 del 12/05/2016 e, analogamente, da Cass. n. 1717 del 23/01/2019, per il caso di deposito telematico piuttosto che cartaceo dell’atto introduttivo del giudizio (“Nei procedimenti contenziosi incardinati dinanzi ai tribunali dal 30 giugno 2014, anche nella disciplina antecedente alla modifica del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 19, n. 2, introdotta dal D.L. n. 83 del 2015, il deposito per via telematica, anzichè con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità, sicchè ove l’atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, è integrato il raggiungimento della scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti.”);

come nel caso considerato dal richiamato precedente, deve ritenersi che l’utilizzo di una modalità di deposito diversa da quella conforme alle prescrizioni processuali vigenti ratione temporis (nella specie dell’atto di riassunzione in formato cartaceo piuttosto che telematico), non incidendo sugli elementi essenziali ed indispensabili perchè l’atto produca gli effetti suoi propri, non comporti l’inesistenza dell’atto ed, anzi, configuri una mera irregolarità non integrante nullità, in mancanza di una espressa comminatoria in conformità al disposto di cui all’art. 156 c.p.c., comma 1;

va considerato, inoltre, che nel caso in esame l’atto ha consentito la presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario ai fini della prosecuzione del giudizio, in concreto utilmente avvenuta senza vulnus alcuno per le prerogative e i diritti delle parti nel processo, in un sistema processuale che prevede, a chiusura del sistema, la sanatoria per raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 c.p.c., u.c. (su raggiungimento dello scopo di atto di riassunzione invalidamente notificato si veda Cass. n. 1676 del 29/01/2015: “La notificazione dell’atto di riassunzione del giudizio alla parte personalmente anzichè al suo difensore costituito, come prescritto dall’art. 170 c.p.c., comma 1, e dall’art. 125 disp. att. c.p.c., comma 3, impedisce la valida instaurazione del rapporto processuale, salvo che il destinatario della notifica si costituisca, verificandosi in tale ultima ipotesi la sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo cui l’atto era diretto, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c., anche quando la costituzione avvenga al solo scopo di far valere tale vizio”);

anche gli ulteriori motivi, da trattare congiuntamente stante l’intima connessione, sono privi di fondamento;

questa Corte, con le sentenze pronunciate all’udienza del 18.10.2016 (dalla n. 22552 al n. 22557) e con numerose altre decisioni successive conformi, affrontò le questioni che oggi vengono in rilievo e, dopo avere ricostruito il quadro normativo e dato atto del contenuto delle pronunce rese dalla Corte di Giustizia (sentenza 26 novembre 2014, Mascolo e altri, relativa alle cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13, C-418/13), dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 187 del 20.7.2016) e dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 5072 del 15.3.2016), nella sentenza n. 22552/2016 (punti da 118 a 125) affermò, con specifico riferimento al tema in argomento, i principi di diritto che seguono:

A) per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, commi 1 e 11, e in applicazione della Dir. 1999/70/CE 1999 è illegittima, a far tempo dal 10.07.2001, la reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi della L. 3maggio 1999, n. 124, art. 4, commi 1 e 11, prima dell’entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi;

B) nelle ipotesi di reiterazione di cui sopra deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica e idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” la stabilizzazione acquisita dai docenti e dal personale ausiliario, tecnico ed amministrativo, attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi – concorsuali”;

C) in detti casi deve affermarsi, in continuità con i principi enunciati dalle SS.UU di questa Corte nella sentenza n. 5072 del 2016, che l’avvenuta immissione in ruolo non esclude la proponibilità di domanda per risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dall’immissione in ruolo stessa, con la precisazione che l’onere di allegazione e di prova grava sul lavoratore, in tal caso non beneficiato dalla agevolazione probatoria di cui alla menzionata sentenza;

i principi richiamati sono stati sottoposti a nuovo esame ad opera di questa Corte di legittimità (si veda Cass. n. 3472 del 12/2/2020) a seguito della sentenza dell’8 maggio 2019 – Causa C- 494/17, Rossato, della Corte di Giustizia – investita dalla Corte d’appello di Trento, su rinvio in via pregiudiziale, dell’interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, allegato alla Dir. 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato;

nella richiamata decisione la Corte di Giustizia ha evidenziato che il quadro normativo che connotava la fattispecie sottoposta al suo esame dalla Corte di Appello di Trento era ben differente da quello tenuto presente nella sentenza Mascolo, in ragione del piano straordinario di assunzioni attuato, con previsione della trasformazione, nel corso dell’anno scolastico 2015/2016, di tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato con docenti “precari” attraverso il progressivo e definitivo esaurimento delle graduatorie e degli elenchi dai quali l’amministrazione attingeva per l’assunzione di docenti a tempo determinato;

la Corte di Giustizia, quindi, ha statuito che la richiamata clausola “deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale che, così come applicata dagli organi giurisdizionali supremi, esclude – per docenti del settore pubblico che hanno beneficiato della trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un effetto retroattivo limitato – qualsiasi diritto al risarcimento pecuniario in ragione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, allorchè una siffatta trasformazione non è nè incerta, nè imprevedibile, nè aleatoria e la limitazione del riconoscimento dell’anzianità maturata in forza della suddetta successione di contratti di lavoro a tempo determinato costituisce una misura proporzionata per sanzionare tale abuso, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare”;

sebbene nella sentenza della Corte di Giustizia richiamata l’ordinamento giuridico italiano è stato scrutinato con specifico riferimento alle disposizioni della L. n. 107 del 2015 relative al piano straordinario di assunzioni previsto per il personale docente “precario” e non anche con riferimento alla normativa interna concernente il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA), questa Corte, tuttavia, con la richiamata recente decisione n. 3472 del 12/2/2020, ha avuto modo di rilevare che gli strumenti interpretativi offerti dai giudici Europei guidano anche nella soluzione delle cause in cui viene in rilievo la questione della adeguatezza della misura rappresentata dalla avvenuta trasformazione dei rapporti di lavoro subordinato a termine degli assistenti scolastici, quali le odierne ricorrenti, in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, dunque, della conformità del diritto interno, quanto al personale ATA, alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla Dir. 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato;

nella sentenza Cass. 3472 del 12 febbraio 2020, avuto riguardo ai principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza dell’8 maggio 2019, questa Corte ha ribadito quanto stabilito al punto 104 ultima parte della sentenza n. 22552 del 2016 e cioè che la scelta del legislatore di autorizzare il MIUR a adottare solo per il personale docente il piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato previsto dalla L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 95, non ha lasciato il personale ATA senza tutele, poichè non è stata esclusa la possibilità di immissione in ruolo prevista secondo il sistema previgente e, inoltre, “anche per detto personale opera il Fondo previsto dall’art. 1, comma 132, per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a trentasei mesi, anche non continuativi, su posti vacanti e disponibili”, Fondo che è stato rifinanziato, ai sensi della L. 11 dicembre 2016, n. 232, art. 1, comma 376, “nella misura di 2 milioni di Euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2019”;

d’altra parte, già con la sentenza Cass. n. 22552 del 2016, punti da 24 a 26, era stato rilevato che il personale Ata era stato coinvolto nei piani straordinari di assunzione previsti dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 605, lett. c, e che “al fin di dare adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico” era stato deliberato un piano triennale per l’assunzione di personale docente ed ATA nel periodo 2007-2009 (contestualmente era stata prevista la trasformazione della graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento) dalla L. 30 ottobre 2008, n. 169, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 10 settembre 2008, n. 137, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, dalla L. 8 novembre 2013, n. 128, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 settembre 2013, n. 104, le quali, nell’introdurre modifiche ed integrazioni al sistema delle graduatorie ormai ad esaurimento, hanno previsto anche la definizione di piani triennali per l’assunzione a tempo indeterminato per gli anni 2011-2013 (D.L. n. 70 del 2011, art. 9, comma 17) e per gli anni 2014- 2016 (D.L. n. 104 del 2013, art. 15);

con la decisione di questa Corte n. 3472/2020, inoltre, si è evidenziato che la L. 13 luglio 2015, n. 107, pur destinando solo ai docenti l’ulteriore piano straordinario di assunzioni per l’anno scolastico 2015/2016, suddiviso in tre fasi (art. 1, comma 95 e sgg.), ha sancito per entrambe le categorie di personale (docente e ATA) la definitiva perdita di efficacia delle graduatorie ad esaurimento effettivamente esaurite (art. 1, comma 105), ha ribadito la cadenza triennale dei concorsi, da indire su base regionale tenendo conto del fabbisogno espresso dalle istituzioni scolastiche nel piano dell’offerta formativa, ha previsto l’efficacia egualmente triennale delle graduatorie concorsuali (art. 1, comma 113), ha inserito (art. 1, comma 131) un limite alla reiterazione delle supplenze, prevedendo che a decorrere dal 10 settembre 2016 i contratti a tempo determinato non possano superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi, così giungendo ad affermare che i piani straordinari di reclutamento indicati, in una alla disposta trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, hanno reso la stabilizzazione non aleatoria, seppur non definibile a priori quanto ai tempi;

è stato ribadito, inoltre, che nelle ipotesi di reiterazione di contratti a tempo determinato rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico e ausiliario, per la copertura di posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, l’avvenuta stabilizzazione non preclude la proponibilità della domanda per il risarcimento dei danni diversi e ulteriori rispetto a quelli esclusi dalla immissione nei ruoli, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 5072 del 2016 e dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 187 del 2016, con la precisazione che l’onere di allegazione e di prova dei danni ulteriori, che grava sul lavoratore, non beneficiato in caso di stabilizzazione dalla agevolazione probatoria di cui alla citata sentenza delle Sezioni Unite, non risulta insormontabile nè difficoltoso perchè il sistema delle graduatorie ad esaurimento offre al riguardo dati oggettivi (posizione ricoperta nella graduatoria, vacanze di organico, termini previsti, anche se non rispettati, dal T.U. per l’indizione dei concorsi e per le operazioni di immissione);

sulla scorta delle considerazioni esposte, nella richiamata recente decisione n. 3472 del 12/2/2020, questa Corte ha riaffermato che l’immissione in ruolo avvenuta in virtù del sistema di avanzamento reso possibile dalle emanate regole sul reclutamento e anche dai piani straordinari e ordinari di assunzione previsti dalle leggi che si sono succedute rispetta i principi di equivalenza e di effettività, perchè il soggetto leso dall’abusivo ricorso ai contratti a termine ha comunque ottenuto il medesimo “bene della vita” per il riconoscimento del quale ha agito in giudizio (sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016, p. n. 85) e perchè ha la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni ulteriori;

ha anche osservato che l’illecito, oltrechè “tendenzialmente riparato” dalla avvenuta stabilizzazione e dalla possibilità di ottenere il risarcimento dei danni ulteriori, deve ritenersi anche “oggettivamente represso”, avuto riguardo alla definitiva perdita di efficacia delle graduatorie ad esaurimento, effettivamente esaurite (L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 105) per entrambe le categorie di personale (docente e ATA), alla cadenza triennale dei concorsi, da indire su base regionale tenendo conto del fabbisogno espresso dalle istituzioni scolastiche nel piano dell’offerta formativa, alla efficacia egualmente triennale delle graduatorie concorsuali (L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 113), alla previsione (L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 131) di un limite alla reiterazione delle supplenze, che a decorrere dai 10 settembre 2016 non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi, oltre che al limite previsto per la reiterazione delle supplenze;

all’orientamento espresso da Cass. 3472/2020 questa Corte intende dare continuità, ritenendosi le richiamate argomentazioni esaustive anche rispetto ai denunciati rilievi di legittimità costituzionale e richieste di rinvio pregiudiziale, tanto più tenuto conto degli esiti del rinvio disposto dalla Corte d’appello di Trento;

poichè è indiscusso, a seguito di espressa affermazione in tal senso contenuta nel ricorso, che i ricorrenti sono stati immessi nei ruoli del Ministero, deve ritenersi che gli stessi, per tal via, hanno ottenuto il bene della vita per il quale hanno agito in giudizio, senza che rilevi, per quanto innanzi osservato, la circostanza che la stabilizzazione sia avvenuta per mezzo di interventi diversi da quelli previsti nella L. 107 del 2015, e, non avendo i ricorrenti allegato danni diversi ed ulteriori rispetto alla mancata conversione del rapporto, correttamente la Corte d’appello ha disposto il rigetto delle domande;

sulla base delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato;

la complessità della questione giuridica, risolta sulla base della pronuncia della Corte di Giustizia intervenuta in corso di causa, giustifica la integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità;

ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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