Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14438 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 30/06/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 30/06/2011), n.14438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1498-2010 proposto da:

G.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.G. BELLI

36, presso lo studio dell’avvocato MANFREDINI ORNELLA, rappresentato

e difeso dall’avvocato BINDI MICHELE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE dei PASCHI di SIENA spa in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli avvocati

SCOGNAMIGLIO RENATO e CLAUDIO, che la rappresentano e difendono,

giusta procura speciale notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1201/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 02/10/2009 R.G.N. 1714/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato BINDI MICHELE;

udito l’Avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Siena, G.E., premesso di essere stato dipendente della s.p.a. Monte dei Paschi e di aver dato le dimissioni avendo rinunciato all’inserimento in un piano, predisposto dalla società, di incentivazione alle dimissioni e, quindi, alla relativa somma, esponeva che la rinuncia era stata determinata dalla comunicazione dell’INPS il quale aveva negato la sussistenza dei requisiti per la pensione, ma i requisiti si erano tuttavia rivelati sussistenti. Pertanto, il G., chiedeva l’annullamento della rinuncia,causata anche da violenza o minaccia di licenziamento in ragione di eventuale condanna penale ad esito di un processo in corso, con condanna al pagamento della somma suddetta.

L’adito giudice, con sentenza confermata in appello, accoglieva la domanda annullando la rinuncia per errore indotto dall’Inps, con la precisazione che in ogni caso essa era condizionata ad una sua successiva verifica di legittimità.

La cassazione, con sentenza n. 15977 del 2005, annullava la sentenza di appello ed, enunciando il principio di diritto secondo cui l’errore che infirmi l’atto unilaterale ricettizio di rinuncia, da parte del lavoratore, ad una somma dovuta dal datore di lavoro, ossia l’atto di rimessione di un debito (art. 1236 cod. civ.), è causa di annullabilità solo se riconoscibile dal destinatario ex art. 1428 c.c., rinviava la causa alla Corte di Appello di Firenze per accertare: A) se l’errore circa la sussistenza dei requisiti del pensionamento, tale da indurre il prestatore a rinunciare alla somma per incentivo alle dimissioni, fosse riconoscibile dalla Banca; B) se il rinunciante avesse apposto alla sua dichiarazione di volontà una condizione di verifica della legittimità.

La Corte di Appello di Firenze, pronunciando in sede di rinvio, respingeva, con sentenza n. 1259 del 2008, la originaria domanda del G..

Nella pendenza dei termini per il ricorso in cassazione il G., ottenuta, ex artt. 398 e 401 c.p.c. la sospensione dei predetti termini, proponeva ricorso per revocazione della sentenza n. 1259 del 2008 della Corte di Appello di Firenze, ricorso questo che veniva rigettato dalla predetta Corte, in diversa composizione, con sentenza n. 1201 del 2009.

Avverso queste sentenze il G. ricorre in cassazione sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il G. censura le impugnate sentenze denunciando che la Corte di appello ha omesso di dare adeguata motivazione alle decisioni con riferimento, vuoi alla maturazione del diritto a pensione, vuoi con riserva all’impugnativa dell’esclusione dal diritto all’esodo incentivante. Afferma il ricorrente che nessuna delle due sentenze espone una adeguata motivazione in relazione alla trattazione dei quesiti posti dalla Cassazione nella sentenza di annullamento. Ribadisce il G. che la Banca non poteva non rilevare l’errore dell’ente previdenziale assunto, con missiva 10 dicembre 1996, nella negatoria del pensionamento per anzianità.

Lamenta che la Corte di Appello, nella sentenza del 2008, si è limitata a disconoscere l’allegazione di siffatta missiva limitandosi a rilevare che l’eventuale riconoscibilità dell’errore non riveste alcun ruolo determinate nella vicenda. Nella sentenza del 2009, prosegue il G., si da una valutazione del tutto incongruente del documento. Nè, aggiunge il ricorrente, le sentenze hanno dato rilevanza al quesito sub B posto dalla Cassazione in sede di annullamento relativamente alla riserva d’impugnazione, limitandosi quella del 2008 a dichiarare meramente che non sussisteva alcuna riserva di successiva verifica di legittimità e quella del 2009 rilevando l’insussistenza del motivo di revocazione con riferimento all’art. 395 c.p.c., n. 4.

Con la seconda censura il G., denunciando violazione delle norme di diritto relativamente al pensionamento per anzianità, sostiene che: 1. la misura inerente al minimo contributivo doveva essere individuata dal datore di lavoro con valutazione in linea di fatto e con un minimo preciso calcolo da connettere a diligenza; la motivazione della decisione del 2009 è del tutto inconferente con riferimento all’errore nel quale è incorsa la Corte di Appello nella dichiarazione d’impossibilità di valutazione dei documenti erroneamente dichiarati non allegati;ai fini della rilevazione dell’errore dell’INPS per il riconoscimento del diritto del G. al pensionamento per anzianità è sufficiente il riferimento al periodo di contribuzione per lavoro dipendente, questa da connettere solamente a Banca MPS; il contenuto della lettera dell’INPS evidenzia la piena riconoscibilità dell’errore dell’INPS nel diniego della pensione.

Con il terzo motivo il ricorrente, allegando nullità delle sentenze con riferimento alla mancata valutazione della riserva d’impugnazione espressa dal ricorrente in relazione alla rinuncia all’incentivazione all’esodo per diniego del diritto al pensionamento,afferma che: la nullità della sentenza del 2008 è palesata dalla negazione dell’allegazione del documento del 2006 riconosciuto invece come allegato dalla sentenza del 2009; vi è espressa riserva da parte di esso ricorrente, nella lettera 24.1.97, all’impugnazione relativamente alla decisione di esclusione dalla partecipazione all’esodo incentivato; in entrambe le sentenze si omette la trascrizione della frase contenente la riserva d’impugnazione; le singole decisioni si riferiscono a circostanze non veritiere.

Richiama, poi, il ricorrente varia documentazione a supporto della riserva formulata con riferimento all’impugnazione del diniego all’ammissione al beneficio dell’esodo incentivato.

Osserva la Corte che le tre censure, in quanto strettamente connesse sotto il profilo logico-giuridico, vanno trattate unitariamente.

Rileva, altresì, preliminarmente, il Collegio che, atteso il rapporto di pregiudizialità tra la sentenza pronunciata in sede di revocazione e quella pronunciata in sede di merito(Cass. 4 giugno 1998 n. 5480), occorre scrutinare, in primo luogo, le critiche mosse alla prima delle predette sentenze.

Tanto precisato rimarca il Collegio che la Corte territoriale, nella sentenza del 2009 – ossia quella relativa al ricorso per revocazione, respinge la tesi del ricorrente sul fondamentale rilevo che la sentenza del merito, ancorchè abbia erroneamente considerato non allegato il documento n. 7 del fascicolo MPS proveniente dall’INPS e datato 10/12/1996, non solo non ha ritenuto decisiva la riconoscibilità dell’errore – riconoscibilità questa che sarebbe derivata dall’esame del documento in parola – ma escludendo la rilevanza di tale documento ne ha presupposto il contenuto e gli effetti facendo si che lo stesso costituisse un punto controverso.

Orbene poichè secondo questa Corte non sussiste vizio revocatorio, ai sensi dell’ art. 395 c.p.c., n. 4, se la dedotta erronea percezione degli atti di causa – che si sostanzia nella supposizione dell’esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell’ inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita- ha costituito un punto controverso ed ha formato oggetto di decisione nella sentenza impugnata, ossia è il frutto dell’ apprezzamento del giudice delle risultanze processuali (per tutte Cass. S.U. 25 luglio 2000 n. 523), la sentenza impugnata è corretta in diritto.

In realtà il ricorrente con le critiche in esame sostanzialmente tende ad accreditare, non intaccando in alcun modo l’iter logico argomentativo seguito dal giudice di appello per considerare il documento de quo punto controverso, la tesi secondo la quale la valutazione di siffatto documento, considerato erroneamente non allegato, avrebbe sicuramente portato a ritenere la riconosciblita dell’errore e, quindi, la fondatezza della propria prospettazione.

Non considera il ricorrente, pertanto, che nella struttura argomentativa della sentenza del merito, alla stregua di quanto affermato nella sentenza che si è pronunciata sulla revocazione, il documento in parola non riveste carattere decisivo. Nè su tale punto vi è specifica censura.

Anche relativamente all’altro motivo di revocazione, concernente la mancata motivazione della sentenza del merito in ordine al punto B) di cui alla sentenza di annullamento di questa Corte con il quale era stata demandato al giudice del rinvio di accertare se il rinunciante aveva apposto alla sua dichiarazione di volontà una condizione di verifica della legittimità, la sentenza emessa nel giudizio di revocazione, correttamente, rileva che non si tratta di errore revocatorio trattandosi piuttosto, semmai, di error in indicando.

Neanche su tale punto il ricorrente muove specifica contestazione, limitandosi a sviluppare le sue critiche in relazione alla mancata considerazione del contenuto della dichiarazione di volontà, appunto questo che attiene al merito e non ad errore rovocatorio.

I motivi di ricorso articolati avverso la sentenza che si è pronunciata sull’istanza di revocazione sono, pertanto, infondati.

Passando all’esame delle censure che attengono alla sentenza del merito, rileva, preliminarmente, la Corte, che le doglianze afferenti la mancata valutazione di documenti, articolate anche sotto il profilo della violazione di legge e nullità della sentenza, non sono esaminabili in questa sede di legittimità in quanto il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non trascrive nel ricorso il testo di tali documenti impedendo in tal modo qualsiasi sindacato al riguardo.

Va, altresì, rilevato che del pari non sono esaminabili le censure concernenti la errata interpretazione della dichiarazione di volontà di cui al punto B) della sentenza di annullamento di questa Corte atteso, che non solo non è trascritto il testo di tale dichiarazione nel ricorso,ma difetta, e la allegazione della violazione dei canoni interpretativi, e la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, con la conseguenza che la tesi proposta si sostanzia nella mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (Cfr. per tutte Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178).

Sotto il profilo del vizio di motivazione la censura sviluppata dal ricorrente, di conseguenza, fondandosi, sostanzialmente, su di una critica concernente la valutazione di documenti o l’omesso esame di documenti è infondata non essendo stato rispettato il richiamato principio di autosufficienza.

Del resto, e vale la pena di osservarlo a fronte dell’accertamento di fatto condotto, nella sentenza di merito, dal giudice di appello secondo il quale “l’errore non era oggettivamente o soggettivamente riconoscibile, considerato che certamente non rientra nell’ordinaria diligenza del datore di lavoro curare grado a grado lo sviluppo e la consistenza della posizione previdenziale dei propri dipendenti nè supplire agli oneri di allegazione certamente a carico di costoro nell’ipotesi di bandi interni per partecipare a piani incentivanti”, l’attuale ricorrente si limita a contrapporre una diversa valutazione dei fatti di causa attraverso il riferimento a documenti di cui, come sottolineato, non trascrive, in violazione del principio di autosufficienza, il testo.

A tanto aggiungasi che anche l’assunto secondo il quale non vi sarebbe motivazione in ordine al punto B della sentenza di annullamento di questa Corte, non tiene conto che il giudice di appello, nella sentenza del merito, specificamente argomenta sul punto in questione in quanto, interpretando la dichiarazione di volontà del G., afferma che dalla stessa non è possibile desumere che il dipendente avesse subordinato le dimissioni al beneficio dell’esodo volontario.

Nè può sottacersi che il ricorrente, per correttamente investire questa Corte della assunta erronea interpretazione della volontà espressa dal ricorrente nella dichiarazione di cui trattasi, avrebbe dovuto, e vale al pena di ribadirlo, sotto il profilo del vizio dedotto con la censura in esame,indicare con precisione le illogicità od incogruenze dell’Iter argomentativo sviluppato sul punto nella sentenza impugnata e non limitarsi ad affermare, sic et simpliciter, una diversa volontà contrastante con quella ritenuta dal giudice del merito.

E’, difatti, giurisprudenza di questa Corte che in ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto 1’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (V. per tutte Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178); nè, all’uopo, è sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante(Cfr. per tutte Cass. 25 febbraio 2004 n. 3772).

Quanto alla censura di violazione di legge – la quale si sostanzia nelle riproposizione di analoga diversa lettura degli elementi istruttori, e sotto tale profilo, per il rilevato mancato rispetto del principio di autosufficienza, non è esaminabile – va, altresì, annotato che difetta del tutto la deduzione, non solo della indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche delle specifiche argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina; tale omissione rende il motivo inammissibile in quanto non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 16 gennaio 2007 n. 828).

A non diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento alla censura di cui al terzo motivo che si esaurisce, sotto il profilo della nullità della sentenza, nella mera contrapposizione delle soluzioni prospettate a quelle assunte a base dell’impugnata sentenza, sicchè il motivo, che ripropone un diversa interpretazione degli elementi di fatto, ed in particolare dei più volte richiamati documenti, è sostanzialmente volto a dimostrare vizi di motivazione piuttosto che violazioni di legge.

Infatti a fronte dell’affermazione, contenuta nella sentenza di merito, dei giudici di appello per i quali l’errore non era riconoscibile e le dimissioni non erano condizionate al beneficio dell’esodo volontario, il ricorrente si limita a contrapporre, sotto il profilo della dedotta violazione di legge e della denunciata nullità della sentenza, la diversa tesi secondo la quale l’errore era riconoscibile e le dimissioni erano subordinate al predetto beneficio e tanto in ragione di una diversa valutazione delle emergenze istruttorie.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso pertanto va respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3540,00 (tremilacinquecentoquaranta/00) di cui Euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00) per onorario oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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