Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14437 del 30/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 30/06/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 30/06/2011), n.14437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3992-2007 proposto da:

C.P., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE 1, (studio legale UGHI & NUNZIANTE), presso lo

studio

dell’avvocato PESCE GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato

CANIGLIA CARLO, giusta delega in atti e da ultimo domiciliato presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SAN PIETRO VERNOTICO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA APOLLODORO 26, presso lo

studio dell’avvocato LELLI PAOLO VITTORIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MASSARI GUIDO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 112/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 03/02/2006 R.G.N. 2948/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato PAOLO VITTORIO LELLI per delega MASSARI GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 3.9.2001 C.P., dipendente del Comune di (OMISSIS) con mansioni di vigile urbano, deduceva di avere prestato lavoro straordinario non retribuito dall’1.7.2000 al 31.12.2000, per 28 ore, di cui 13 di festivo notturno; e dall’1.1.2001 al 29.6.2001, per 45 ore. Aggiungeva che sin dal 1987, secondo la normale turnazione, era stato in servizio per due domeniche consecutive, riposando solo una domenica e che, inoltre, aveva prestato lavoro festivo infrasettimanale senza usufruire del riposo compensativo e senza percepire la maggiorazione per lavoro straordinario festivo. Lamentava che il Comune non aveva dato attuazione al contratto integrativo decentrato con riguardo all’art. 13, comma 20, prevedente in favore degli agenti adibiti alla viabilità un’indennità giornaliera di L. 3.500, e all’art. 8 sul riconoscimento di percentuali sui proventi contravvenzionali del 2000. Chiedeva che fosse dichiarato il suo diritto a percepire il pagamento del lavoro straordinario, compresa la maggiorazione per lavoro straordinario festivo infrasettimanale, nonchè la maggiorazione del 20 % per il lavoro ordinario festivo prestato durante le domeniche, occorrendo anche ai sensi dell’art. 2041 c.c., quale arricchimento senza causa; chiedeva anche il risarcimento del danno da usura psico-fisica derivante dal mancato godimento del riposo in coincidenza con le domeniche Si costituiva tardivamente in giudizio il Comune di San Pietro Vernotico, deducendo di avere corrisposto le somme spettanti per straordinario prestato nel periodo luglio-dicembre 2000 e per quello festivo infrasettimanale da gennaio a ottobre 2001 e nell’estate del 2000, nonchè l’indennità di viabilità dal gennaio al dicembre 2001, come da apposite delibere.

Contestava invece la pretesa relativa alla prestazione in due domeniche consecutive e la richiesta di maggiorazione ex art. 24, comma 20, del c.c.n.l.. Eccepiva il difetto di giurisdizione per le pretese anteriori al 30.6.1998 e la prescrizione dei crediti vantati fin dal 1987.

Il Tribunale di Brindisi, rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione dichiarava la nullità dell’atto introduttivo. Al riguardo rilevava che il ricorrente non aveva specificato i turni osservati e la loro articolazione; se il lavoro ordinario e straordinario fosse stato prestato in giorni festivi e in quali; se egli fosse stato retribuito in misura fissa o meno e se avesse usufruito di riposo compensativo dopo sei giorni di servizio continuo; se vi fossero state coincidenze di festività con la domenica; che vi erano difetti di allegazioni circa la domanda di risarcimento del danno e comunque difetto di interesse rispetto alla relativa domanda dichiarativa.

Il lavoratore proponeva appello sostenendo la ritualità del ricorso introduttivo e riproponendo conclusioni di merito.

La Corte d’appello di Lecce; con sentenza depositata il 3.2.2006, rigettava l’appello.

Premesso che la domanda relativa all’accertamento del diritto ai proventi (punto n. 5 del ricorso introduttivo) non era stata riproposta in appello, osservava che per le domande riproposte sarebbe stata giustificata la pronuncia di nullità fondata sull’omessa indicazione e allegazione di fatti essenziali con riferimento ad un petitum diretto ad ottenere statuizioni meramente dichiarative sulla sussistenza di determinati diritti di derivazione contrattuale. La Corte rilevava anche, però, che la nullità del ricorso per mancata indicazione, ex art. 414 c.p.c., n. 4, degli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda è sanabile ex art. 164 c.p.c., comma 50, e che la sanatoria di tale della nullità è comprovabile dalla mancata assegnazione da parte del giudice di un termine per la rinnovazione del ricorso o l’integrazione della domanda o dalla non tempestiva eccezione circa la nullità da parte del convenuto. Osservava pure che la sanatoria non vale tuttavia a rimettere in termini il ricorrente rispetto ai mezzi di prova non indicati e specificati in ricorso, con le conseguenze negative che possono derivarne per la medesima parte in base ai criteri legali sulla ripartizione dell’onere della prova, nei termini conseguenti anche alla affermazione del principio secondo cui anche la prova documentale è soggetta alle generali decadenze in materia di istanze probatorie.

Con riferimento alla specie osservava che il giudice di primo grado, ai fini della puntualizzazione del fondamento della pretesa, avrebbe dovuto fissare un termine per la rinnovazione del ricorso, pur non essendosi il convenuto costituito tempestivamente; ma rilevava anche che la concessione di tale termine non avrebbe evitato le preclusioni probatorie in cui il ricorrente era già in corso, alla stregua dei principi indicati in materia dalla giurisprudenza, in quanto, in particolare, la prova testimoniale faceva riferimento a inadeguate specificazioni dei fatti. In altri termini, nella specie l’integrazione della domanda non avrebbe potuto colmare processualmente la mancanza di richieste istruttorie utilmente formulate con l’atto introduttivo, mentre la carenze probatorie in concreto non risultavano ovviate neanche dalla documentazione prodotta.

Il lavoratore ricorre per cassazione con quattro motivi.

Il Comune di San Pietro Vernotico resiste con controricorso seguito da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione di norme di diritto, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la nullità del ricorso introduttivo.

Sostiene che il ricorso conteneva tutti gli elementi necessari per caratterizzare il petitum e la causa petendi e che comunque il Comune aveva articolato pienamente le sue difese, non aveva eccepito tempestivamente la supposta nullità del ricorso per genericità e tale atto aveva perfettamente raggiunto lo scopo processuale a cui era preordinato, tanto è vero che lo stesso giudice aveva potuto agevolmente giudicare la causa anche nel merito. Inoltre con la costituzione del Comune la domanda si era ridotta all’applicazione dell’art. 24, comma 2, del c.c.n.L, al risarcimento del danno per l’usura psico-fisica e al pagamento degli accessori sugli emolumenti pagati in ritardo. Inoltre era stata chiesta una sentenza dichiarativa del diritto e quindi non era necessaria l’ulteriore precisazione sulle modalità di corresponsione della retribuzione e sulla coincidenza temporale o meno delle festività con la domenica.

Deve al riguardo rilevarsi che in effetti la sentenza impugnata non ha dato rilievo decisivo alla nullità del ricorso, avendo osservato che tale nullità poteva ritenersi sanata e che comunque – se la stessa fosse effettivamente risultata non sanata e decisiva – avrebbe dovuto disporsi la rinnovazione dell’atto.

L’elemento a cui la sentenza ha attribuito valore decisivo è invece la mancanza, non sanabile, di adeguate richieste probatorie.

Di conseguenza il motivo in esame risulta inammissibile.

Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine all’interpretazione e applicazione degli artt. 22 e 24 del c.c.n.l., con particolare riferimento alla questione della compatibilita tra il trattamento accordato dall’art. 22 e quello previsto dall’art. 24, comma 2.

Anche questo motivo è qualificabile come inammissibile.

Tenuta presente la data della sentenza impugnata, non è applicabile il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 3 sulla diretta interpretazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro da parte della Corte di cassazione. Del resto il motivo di ricorso è formulato con riferimento all’art. 360, n. 5. Deve allora rilevarsi che il motivo, che è incentrato su considerazioni interpretative riguardo alle richiamate disposizioni contrattuali, ha omesso di fornire una adeguata, puntuale ed esauriente indicazione circa il contenuto delle disposizioni stesse e neanche ha fornito indicazioni circa la produzione del contratto collettivo in questione. Non sono quindi rispettate le disposizioni e i principi circa la necessaria specificità dei motivi di ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c.;

principi giurisprudenziali sulla cd. autosufficienza del ricorso per cassazione) e sulla produzione dei documenti sui cui il ricorso si fonda (art. 369 c.p.c.).

Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla spettanza di interessi legali e rivalutazione monetaria.

Il quarto motivo denuncia vizi di motivazione in ordine al risarcimento del danno da usura psico-fisica.

I precedenti due motivi non meritano accoglimento in quanto la sentenza impugnata, come si è già rilevato, ha pronunciato sul merito, rigettando le domande, per difetto di prova connesso alla stessa inidonea e non esauriente allegazione dei fatti costitutivi delle domande. Tale decisiva ratio decidendi, adeguatamente motivata, che non è stata puntualmente e idoneamente censurata, comporta l’assorbimento di ogni ulteriore questione, tra cui quelle riproposte con il terzo e quarto motivo.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio legale della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controparte le spese del giudizio in Euro 36,00 oltre Euro duemila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

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