Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14434 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. I, 08/07/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 932-2019 r.g. proposto da:

O.O.I. (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso,

dall’Avvocato Roberto Dalla Bonna, con cui elettivamente domicilia

in Roma, Via Ippolito Nievo n. 61, presso lo studio dell’Avvocato

Rossella De Angelis;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data

8.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

4/2/2020 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Milano ha rigettato le domande avanzate da O.O.I., cittadino nigeriano, volte ad ottenere lo status di rifugiato, nonchè la protezione sussidiaria e quella umanitaria, dopo il diniego, nella sede amministrativa, adottato dalla Commissione territoriale di Milano.

Il Tribunale – premesso che il richiedente aveva dichiarato di provenire dall’Edo State, di aver abbracciato la religione cristiana e di essere stato costretto ad abbandonare il suo villaggio perchè minacciato dai seguaci del culto oracolistico, che pretendevano che egli sostituisse il padre, ora deceduto, che ne era sacerdote- ha ritenuto: a) che non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in quanto il racconto, incoerente e lacunoso, non era credibile, tanto più che la presunta persecuzione religiosa era contraddetta anche dalle informazioni tratte dalle fonti internazionali di conoscenza, che evidenziavano fenomeni di sincretismo e non già di conflittualità tra i vari culti, e che la documentazione esibita da O., costituita da una mera dichiarazione di scienza della di lui sorella, secondo la quale egli si era recato senza alcun esito dalla polizia locale, non dimostrava affatto che non avrebbe potuto far ricorso alla protezione delle autorità statali in relazione alla minaccia denunciata; b) andava esclusa la fondatezza anche della domanda di protezione sussidiaria avanzata D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, posto che nell’Edo State non si registra una situazione di conflitto armato generalizzato; c) non poteva riconoscersi neanche l’invocata protezione umanitaria, in assenza della dimostrazione da parte del richiedente di una situazione di vulnerabilità personale e di un sicuro percorso di integrazione in Italia.

2. Il decreto, pubblicato l’8.10.2018, è stato impugnato da O.O.I. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 111 Cost., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis e art. 32, comma 3, per avere il tribunale deciso con rito camerale anche la domanda di protezione umanitaria, soggetta al rito ordinario di cognizione, così precludendogli di poter proporre appello avverso la relativa decisione di rigetto.

2. Con il secondo motivo, che denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e della direttiva 2004/83/CE, il ricorrente contesta il giudizio di non credibilità del proprio racconto, rilevando in contrario di aver rilasciato dichiarazioni dotate di coerenza interna ed esterna, dettagliate e ricche di particolari personali, pienamente plausibili alla luce dell’attuale situazione socio-politica del suo paese di origine (in cui prevalgono usanze tribali ed il governo centrale non garantisce il controllo del territorio), e lamentando che il tribunale non abbia svolto al riguardo alcuna indagine officiosa.

3. Con il terzo motivo (rubricato sub. 4), che deduce ulteriore error in procedendo, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e della Direttiva 2004/83/CE, il richiedente lamenta che il giudice del merito abbia respinto le domande di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria senza aver svolto alcuna indagine circa l’effettivo contrasto opposto dalle autorità governative nigeriane alla situazione di violenza indiscriminata od a forme di schiavitù/asservimento per vicende familiari esistenti nel paese.

4. Con il quarto motivo (rubricato sub 5), che denuncia violazione dell’art. 5 Cost., comma 6, t.u. imm., art. 2 Cost. e art. 8 Cedu nonchè della direttiva 2004/83/CE, il ricorrente si duole della pronuncia di rigetto della domanda di protezione umanitaria, a suo dire sorretta da una motivazione laconica, fondata sull’errato presupposto che spetti al richiedente asilo di provare i fatti che ne comportano l’accoglimento.

5. Con il quinto mezzo (rubricato sub 6) il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 111 Cost., art. 6 CEDU, art. 101 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3, art. 27, comma 1 bis, art. 35 bis, commi 8 e 9, lamenta che il tribunale non abbia indicato le COI consultate d’ufficio e non gli abbia concesso un termine a difesa per replicare alle loro risultanze.

6. Col sesto mezzo solleva, infine, questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1 bis e art. 35 bis, commi 8 e 9, per contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui prevedono che la Commissione Territoriale possa procedere alla raccolta di prove che conservano la loro efficacia nel successivo giudizio senza che il richiedente possa svolgere attività difensiva al riguardo.

7. Il primo motivo è inammissibile.

7.1. E’ vero, infatti, che in tema di protezione internazionale, nella vigenza del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, lett. d), e comma 4, conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017, prima della modifica introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 3, lett. a), conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2018, sulla domanda di protezione umanitaria la competenza per materia appartiene alla sezione specializzata del tribunale in composizione monocratica, che giudica secondo il rito ordinario ovvero secondo il procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis ss. c.p.c. e decide con provvedimento soggetto ad appello. Tuttavia, come già affermato da questa Corte, quando, come accaduto nella specie, il ricorrente per sua scelta abbia cumulato la domanda di protezione umanitaria con quelle aventi per oggetto lo “status” di rifugiato o la protezione sussidiaria, assoggettate allo speciale rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, egli non può poi dolersi che il tribunale abbia pronunciato su tutte le domande connesse e riunite, stante il divieto di venire contra factum proprium di cui all’art. 157 c.p.c., comma 3, secondo il quale la nullità non può mai essere opposta dalla parte che vi ha dato causa (Cass. nn. 2120/020, 9658/01).

7.2. Peraltro, non appare superfluo rilevare che la doglianza in esame è anche infondata in diritto, posto che qualora le azioni dirette ad ottenere le protezioni internazionali tipiche (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e quella atipica (protezione umanitaria) siano state contestualmente proposte, con un unico ricorso, per libera e autonoma scelta del ricorrente, il rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis davanti alla sezione specializzata del tribunale in composizione collegiale deve trovare applicazione in ragione della profonda connessione oggettiva e soggettiva esistente fra dette domande e della prevalenza della composizione collegiale del giudice, in forza del disposto dell’art. 281 nonies c.p.c.. Nè tale conclusione comporta una lesione del diritto di difesa del ricorrente, sia perchè il principio del doppio grado del giudizio di merito non è costituzionalmente tutelato, sia perchè il rito speciale camerale è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta udienza, essendo tale eventualità limitata alla sola ipotesi in cui l’attività istruttoria appaia superflua ed avendo comunque le parti facoltà di depositare difese scritte (cfr. Cass. n. 9658/01 cit.).

8. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso.

8.1 Sul punto è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Orbene, osserva la Corte come, con il motivo in esame, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda una inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate (neppure specificamente riportate in ricorso, secondo quanto richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6), senza, peraltro, contestare minimamente le plurime ragioni di fatto in base alle quali il giudice del merito le ha ritenute inattendibili.

9. Il terzo motivo è infondato, avendo il Tribunale pienamente adempiuto all’obbligo di cooperazione istruttoria officiosa, allo scopo di escludere l’esistenza nel paese di origine del richiedente di una condizione di tensione interna derivante da conflitti armati di tale virulenza da esporre ad un danno grave la vita di chiunque per il solo fatto della presenza in quel luogo, correttamente attingendo le informazioni da una fonte del Ministero degli Affari Esteri, figurante tra quelle che, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, possono essere prese in considerazione dalla Commissione Nazionale sul diritto di asilo allo scopo di elaborare le informazioni da mettere a disposizione delle Commissioni territoriali e dell’Autorità giudiziaria (cfr. (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 10686 del 26/06/2012; Sez. 6 1, Ordinanza n. 16362 del 04/08/2016).

10. Il quarto motivo è infondato.

10.1 Come questa Corte ha già avuto modo di osservare (v. Cass. n. 445518, Cass. n. 17072-18 e da ultimo Cass. Sez. U n. 29549-19), la natura residuale e atipica della protezione umanitaria (secondo il regime rilevante pro tempore) implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di una valutazione autonoma, da eseguire caso per caso, rispetto alle altre forme tipiche di protezione internazionale, sicchè al richiedente si impone in tale prospettiva di allegare in giudizio fatti specifici e sintomatici, diversi da quelli posti a fondamento delle altre domande di protezione cd. “maggiore” (v. Cass. n. 21123/2019).

11. Il quinto motivo è inammissibile sia perchè genericamente formulato in ordine al contestato diniego della protezione sussidiaria, sia perchè non spiega in qual modo la consultazione delle fonti di conoscenza, acquisite officiosamente dal giudice del merito, abbia inficiato il diritto difensivo del richiedente ad interloquire sul punto nel dibattito processuale. In realtà, il ricorrente non ha neanche allegato altre e diverse fonti di conoscenza che si pongano in contrasto con le COI consultate dal tribunale, così rendendo la censura aspecifica e comunque non autosufficiente.

11.1. Va anche aggiunto che le COI non costituiscono un fatto o non integrano una questione, in ragione dei quali si possa profilare una violazione del contraddittorio, trattandosi propriamente di un elemento istruttorio ed essendo ben noto che spetta al giudice scegliere, facendo esercizio del suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento (così, Cass. 1603/2020, cit. supra).

15. La questione di legittimità costituzionale sollevata nel sesto motivo va dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, non avendo il ricorrente lamentato (nè in questa sede, nè dinanzi al giudice del merito) violazione del proprio diritto di difesa con riguardo all’attività istruttoria svolta dalla Commissione Territoriale; ciò senza contare che i dati acquisiti dalla Commissione si riflettono nella motivazione del provvedimento dalla stessa adottato, con la conseguenza che il ricorrente ne viene informato e non può opporre la sua non conoscenza a pretesto della mancata interlocuzione su di essi nel successivo procedimento giurisdizionale (Cass. 1603/2020).

Il ricorso, in conclusione, va integralmente rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660/2019.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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