Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14431 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. I, 08/07/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3056/2019 proposto da:

D.M.A., rappresentato e difeso dall’avv. Stefania

Santili (Pec: scis.milano.pecavvocati.it) giusta procura speciale in

calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’avvocatura

generale dello Stato dalla quale è rappresentato ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto dei TRIBUNALE di MILANO, depositato il 12/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/02/2020 dal cons. TERRUSI FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

D.M.A., originario della Guinea, ricorre per cassazione, con tre motivi, contro il decreto del tribunale di Milano che ne ha respinto la domanda di protezione internazionale;

il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. – col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 116 c.p.c., il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere il tribunale svolto in modo apodittico la valutazione di non credibilità, senza dare rigoroso riscontro agli indici legali previsti dalle norme citate;

il motivo è inammissibile poichè quello relativo al sindacato sulla credibilità personale del richiedente è un giudizio di fatto, dal tribunale nella specie motivato con riferimenti alla genericità e incoerenza della versione fornita a proposito dell’episodio di violenza, originato da questioni ereditarie, posto al fondo del timore di subire persecuzioni e della decisione di abbandonare il proprio paese;

tale giudizio attiene a una vicenda di vita privata e non implica errori di diritto, nè è sindacabile in questa sede di legittimità;

2. – col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e 14 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere il tribunale escluso i presupposti della protezione sussidiaria nelle sue alternative forme;

il motivo è inammissibile per la ragione che segue;

3. – la critica alla decisione, innervata dalla presunta erroneità dell’esclusione dei presupposti della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b) siccome desunta dalla non credibilità del racconto, contrasta con l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo il quale, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere a oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, e qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi – cosa nella specie neppure dedotta – dall’esclusiva impossibilità di fornire riscontri probatori (v. Cass. n. 16925-18, Cass. n. 2886218);

a fronte di simile indirizzo il ricorso, per questa parte, non contiene argomenti funzionali a un mutamento di giurisprudenza (art. 360-bis c.p.c., n. 1);

4. – la giurisprudenza della Corte non è invece univoca con riguardo agli effetti della valutazione di non credibilità soggettiva preclusivi rispetto all’accertamento officioso delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), giacchè a un indirizzo assestato sul principio preclusivo (v. Cass. n. 33096-18, Cass. n. 4892-19, Cass. n. 17174-19) se ne contrappone un altro teso a sostenere che, invece, il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni riguardo alla vicenda personale – sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (v. Cass. n. 14283-19);

il contrasto non è in questa sede rilevante, perchè nel caso concreto il tribunale ha escluso la ricorrenza del presupposto della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), dando conto del fatto che la consultazione delle fonti ufficiali più recenti e accreditate aveva evidenziato in Guinea una situazione politico-sociale caratterizzata da scontri tra fazioni ma non tale da configurare una violenza indiscriminata da conflitto armato;

ne segue che, risultando la motivazione del decreto del tribunale compiutamente svolta con puntuali riferimenti alle fonti di conoscenza utilizzate, il ricorso per questa parte è parimenti inammissibile in quanto si risolve in una pregiudiziale critica in fatto, notoriamente insuscettibile di trovare ingresso in cassazione;

V. – col terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e art. 5 del t.u. imm., in quanto la decisione sarebbe affetta da motivazione apparente e da omesso esame di fatti decisivi in relazione al diniego di protezione umanitaria;

anche il terzo motivo è inammissibile;

come questa Corte ha avuto modo di precisare (v. Cass. n. 4455-18, Cass. n. 17072-18 e da ultimo Cass. Sez. U n. 29549-19), la natura residuale e atipica della protezione umanitaria (secondo il regime rilevante pro tempore) implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di una valutazione autonoma, da eseguire caso per caso, rispetto alle altre forme tipiche di protezione internazionale;

al richiedente si impone in tale prospettiva di allegare in giudizio fatti specifici e sintomatici, diversi da quelli posti a fondamento delle altre domande di protezione cd. “maggiore” (v. Cass. n. 21123-19);

ora il tribunale ha osservato che la difesa del richiedente “non (aveva) allegato l’esistenza di ulteriori cause di inclusione nella fattispecie in esame”, salva l’esistenza di attestati di partecipazione a corsi di alfabetizzazione della lingua italiana e a corsi di preparazione al lavoro, nonchè copia di un contratto di tirocinante; ha dunque ritenuto non soddisfatto l’onere di allegazione attesa l’insufficienza di codesto esclusivo secondo elemento, non potendosi considerare sussistente peraltro – neppure l’inserimento stabile nella realtà sociale e lavorativa italiana: invero il richiedente, persona di giovane età, non aveva raggiunto in Italia alcun apprezzabile livello di integrazione o di assimilazione culturale, lavorativa e sociale, tanto da non consentire di ritenere che un eventuale ritorno in patria lo potesse pregiudicare rispetto all’attuale suo livello di vita;

la motivazione esprime pienamente la ratio decidendi, sicchè non è proficuo insistere – come fatto nel ricorso – su una presunta violazione dell’art. 132 c.p.c.;

nel resto l’assunto del ricorrente, in prospettiva di autosufficienza, non postula idonee critiche a proposito del ritenuto difetto di allegazione, e si infrange con la valutazione in fatto, dal tribunale rettamente svolta, a proposito dell’insufficienza del dato afferente alla sola (e peraltro esclusa) integrazione;

per questa parte invero la motivazione del giudice del merito è conforme all’insegnamento da ultimo ribadito dalle sezioni unite della Corte: “in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato” (Cass. Sez. U n. 29459-19);

la censura in ordine alla protezione umanitaria è quindi inammissibile; le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 2.100,00 Euro oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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