Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14428 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. un., 09/06/2017, (ud. 06/12/2016, dep.09/06/2017),  n. 14428

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente di Sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28406/2014 R.G. proposto da:

CASA DI CURA COSENTINO S.r.l., in liquidazione, in persona del

liquidatore dott. C.A. rappresentata e difesa dagli

avv.ti Francesco Stallone e Gabriele La Malfa Ribolla, con domicilio

eletto presso lo studio del primo in Roma, via Antonio Stoppani, n.

1;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI PALERMO, in persona del legale

rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore

Narbone, con domicilio eletto in Roma, via Livorno, n. 6, presso lo

studio dell’avv. Guido De Santis;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, n. 641,

depositata in data 12 aprile 2014;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 6 dicembre 2016

dal consigliere dott. Pietro Campanile;

sentito per la ricorrente l’avv. Stallone;

sentito per la controricorrente l’avv. Romeo, munito di delega;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. Iacoviello Francesco Mauro, il quale ha concluso per

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 430 del 2012 il Tribunale di Palermo condannava l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo al pagamento della somma di Euro 753.870,34 in favore della S.r.l. Casa di Cura C., determinata – a titolo di rimborso delle prestazioni rese, in regime di accreditamento, per l’anno 2008 – sulla base del budget assegnato in via provvisoria (Euro 4.856.074,76), ancorchè risultato superiore a quello definitivo, determinato in Euro 3.696.542,00.

2. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte di appello di Palermo, accogliendo il gravame proposto dall’Azienda, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, rilevando che nella specie non veniva in considerazione una domanda di mero contenuto patrimoniale, avente ad oggetto il pagamento delle prestazioni eseguite nell’ambito del regime di accreditamento, bensì l’incidenza, nello svolgimento del rapporto concessorio, del provvedimento di natura autoritativa con il quale, in data 17 novembre 2008, era stato determinato il tetto di spesa definitivo per l’anno in corso.

3. Per la cassazione di tale decisione la casa di cura propone ricorso, affidato a due motivi.

L’Azienda resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Casa di cura deduce la violazione della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5 e del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1: nella specie la domanda aveva ad oggetto pretese di contenuto esclusivamente patrimoniale, ragion per cui, non essendo posti in discussione il contenuto e la disciplina del rapporto di concessione, dovrebbe trovare applicazione la riserva in favore del giudice ordinario, come deroga alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie in materia di concessione di pubblici servizi, nelle ipotesi “concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”.

2. Con il secondo mezzo la ricorrente, denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, nonchè violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8-quinquies e della L.R. siciliana 26 marzo 2002, n. 2, art. 28, comma 6, sostiene che erroneamente la corte distrettuale avrebbe riconosciuto il valore retroattivo della fissazione del tetto di spesa, escludendo la tutela dell’affidamento che la casa di cura aveva riposto sul mantenimento del tetto di spesa dell’anno precedente. Sotto tale profilo si è osservato che, comportando la riconducibilità delle prestazioni erogate nei limiti – quantitativi e cronologici – del budget assegnato, la sussistenza del diritto al loro pagamento apparterrebbe alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario.

3. Dette censure, da esaminarsi congiuntamente in quanto fra loro intimamente correlate, sono infondate.

4. La domanda proposta dalla società riguarda il pagamento di prestazioni effettuate anteriormente alla fissazione del budget definitivo: come chiaramente emerge dall’esame complessivo dei temi riproposti in questa sede, la decisione della controversia implica la soluzione, in via pregiudiziale, della questione inerente all’incidenza, nell’ambito del regime di accreditamento, della definizione del tetto di spesa con provvedimento emanato nel corso dell’anno al quale interamente si riferisce. Tale questione, come correttamente affermato nella sentenza impugnata, attinge profili di natura giuridica in merito all’interpretazione e all’applicazione della convenzione, con particolare riferimento alla verifica dell’azione autoritativa della P.A., che, oltre a rendere del tutto inammissibile il dedotto vizio motivazionale, per altro non meglio esplicato, esulano dal mero accertamento del credito vantato in relazione al pagamento delle prestazioni rese dal soggetto accreditato.

5. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte, i rapporti fra le AUSL e le case di cura o le strutture minori quali ambulatori, laboratori o gabinetti specialistici vanno qualificati come concessioni di pubblico servizio sia nel previgente regime convenzionale di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 5, sia in quello successivo sondato sul sistema dell’accreditamento (Cass., Sez. U, 14 gennaio 2005, n. 603; Cass., Sez. U, 8 luglio 2005, n. 14335).

Detti rapporti vennero devoluti dalla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, alla giurisdizione amministrativa, ad eccezione delle “controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi” attribuite, invece dallo stesso art. 5, comma 2 alla giurisdizione ordinaria. Com’è noto, la L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7 aveva demandato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi comprese quelle riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere rese nell’ambito del servizio sanitario nazionale. Tale disposizione è stata poi dichiarata incostituzionale (Corte cost. n. 2004 del 2004) nella parte che comprendeva nella nuova giurisdizione tutte le controversie in tema di pubblici servizi anzichè solo quelle “relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi….”. In tal modo veniva sostanzialmente ripristinato il criterio di riparto della citata L. n. 1034 del 1971, art. 5, che infine è stato recepito, senza significative modifiche, dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, comma 1, lett. c (cod. proc. amm.).

Siffatta ripartizione è stata sempre interpretata da queste Sezioni Unite nel senso che le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario ove non coinvolgano l’accertamento dell’esistenza o del contenuto della concessione, nè la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, ovvero investano l’esercizio di poteri discrezionali – valutativi nella determinazione delle indennità o canoni stessi, involgendo, quindi, l’accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali sia sull'”an”, sia sul “quantum” del corrispettivo (Cass., Sez. U, 12 gennaio 2007, n. 411; Cass., Sez. U, 4 luglio 2006, n. 15217).

Deve pertanto che ribadirsi che le controversie concernenti “indennità, canoni o altri corrispettivi” riservate alla giurisdizione del giudice ordinario sono sostanzialmente quelle contrassegnate da un contenuto meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra P.A. concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico, contenuto in ordine al quale la contrapposizione tra le parti si presta ad essere schematizzata secondo il binomio “obbligo-pretesa”, senza che assuma rilievo un potere d’intervento riservato alla P.A. per la tutela d’interessi generali. Al contrario, laddove la controversia esula da tali limiti, coinvolgendo la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’intera economia del rapporto concessorio, il conflitto tra P.A. e concessionario si configura secondo il binomio “potere-interesse” e viene attratto nella sfera della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (Cass., Sez. U, 20 giugno 2012, n. 10149; Cass., Sez. U, 23 ottobre 2006, n. 22661; Cass., Sez. U, 11 giugno 2001, n. 7861).

6. La domanda proposta dalla Casa di cura C., come sopra evidenziato, attiene al corrispettivo delle prestazioni rese in eccedenza rispetto al tetto di spesa deliberato per l’anno 2008, così involgendo necessariamente un sindacato sull’incidenza dei poteri autoritativi e di controllo che l’amministrazione regionale conserva anche nella fase attuativa dei rapporti di natura concessoria, in coerenza con l’esigenza che l’attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nell’ambito di una pianificazione coerente con i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni. Sotto tale profilo vale bene rimarcare come la giurisprudenza amministrativa abbia affermato la natura autoritativa dei provvedimenti di determinazione del tetto di spesa (Cons. Stato, 21 febbraio 2012, n. 923).

Deve pertanto ritenersi che la controversia, pur formalmente rivolta ad ottenere il pagamento di corrispettivi asseritamente spettanti, investa nella sostanza, avuto riguardo alla intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione, la valenza dei budget assegnati e, in quest’ambito, le determinazioni dell’Amministrazione regionale conseguenti alla sussistenza di un tetto massimo di spesa che rientra, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass., Sez. U, 28 maggio 2014, n. 11917; Cass., 8 novembre 2016, n. 22646, in cui si ribadisce la giurisdizione del giudice ordinario nelle ipotesi in cui non si richieda una verifica dell’azione autoritativa della P.A.).

7. La giurisdizione del giudice ordinario viene in rilievo anche in relazione della prospettazione della domanda, ribadita anche nel ricorso, sotto il profilo dell’affidamento scaturente dai limiti di spesa determinati per l’anno precedente ed anteriormente alla successiva fissazione del tetto per quello che interessa la pretesa in esame. Invero la ricorrente sostiene la tesi secondo cui “la tutela dell’affidamento delle strutture private accreditate non può che risolversi nel consentire in ogni caso il pagamento dei corrispettivi delle prestazioni già erogate prima della fissazione del budget definitivo, ed entro i limiti di spesa dell’anno precedente, pur se eccedenti il budget definitivo assegnato definitivamente”. In proposito deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo cui, nelle materie riservate alla propria giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo ha competenza giurisdizionale anche in merito all’azione fondata sulla lesione dell’affidamento sulla legittimità di atto amministrativo, dovendosi prendere in considerazione “l’agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l’affidamento costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione (Cass., Sez. U, 21 aprile 2016, n. 8057; v anche Cass., 10 novembre 2010, n. 22809).

8. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per compensi, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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