Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14424 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 25/05/2021), n.14424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11368-2019 proposto da:

P.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

RIPETTA N. 142, presso lo studio dell’avvocato NATALE CARBONE, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GRANDE OSPEDALE METROPOLITANO “BIANCHI – MELACRINO – MORELLI”, DI

REGGIO CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONCA D’ORO 179, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO MASTROFINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FABIO LORENZINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 736/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 25/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 12/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

P.M.G. evocava in giudizio l’Azienda Ospedaliera di Reggio Calabria davanti all’omonimo Tribunale chiedendo il risarcimento dei danni patiti dall’attrice a causa delle lesioni che il coniuge ( M.D.) aveva subito in conseguenza di un intervento operatorio per ernia discale, eseguito presso la divisione di neuro chirurgia del locale nosocomio;

con sentenza del 3 luglio 2017, il Tribunale accoglieva la domanda ritenendo sussistente il nesso eziologico tra la condotta dei sanitari e i danni lamentati;

con atto di appello del 22 agosto 2017 l’azienda Grande Ospedale Metropolitano “Bianchi-Melacrino-Morelli” di Reggio Calabria evocava in giudizio, davanti alla Corte di appello di Reggio Calabria, la P. lamentando che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto fondata la domanda sotto il profilo della sussistenza del nesso causale, tra la condotta dei sanitari (rappresentata da una errata diagnosi ed alla cattiva esecuzione degli interventi) e le lesioni subite, evidenziando che il danno neurologico patito si era già prodotto prima del ricovero e aggiungendo che, nel precedente procedimento instaurato personalmente dal M., il danno era stato fortemente ridimensionato;

si costituiva l’appellata, eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione e l’infondatezza nel merito, rilevando che la relazione del consulente tecnico aveva acclarato la sussistenza del nesso eziologico tra la vicenda dolorosa del coniuge ed il pregiudizio subito direttamente dall’appellata e spiegando appello incidentale, in quanto l’effettiva entità del danno sarebbe stata sottostimata dal Tribunale, con una personalizzazione limitata al 10%;

la Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza del 25 ottobre 2018, dichiarava inammissibile l’appello principale e rigettava quello incidentale, confermando la sentenza impugnata, con compensazione integrale delle spese relative al secondo grado di giudizio;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione P.M.G., affidandosi a un unico motivo illustrato da memoria. L’Azienda resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il ricorso si lamenta la violazione di artt. 2043 e 1126 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando che la Corte territoriale avrebbe ritenuto congrua la valutazione operata dal Tribunale in quanto la stessa, effettuata con personalizzazione del danno, “si attesterebbe (unitamente a quella del danno stimato dal CTU) alla soglia finale del 30%”. Al contrario il primo giudice, riconoscendo un danno del 20%, aumentato della frazione 10%, non ha liquidato un danno pari al 30%, bensì un pregiudizio pari al 22% e ciò in quanto la personalizzazione del 10% doveva essere calcolata sul danno biologico stimato nella misura del 20% e non sommata a tale coefficiente. Al contrario, la Corte avrebbe mal interpretato tale statuizione, ritenendola congrua in quanto sarebbe superiore alla stessa percentuale prospettata dal consulente di parte attrice e ciò sulla base di una falsa rappresentazione del dato desunto dalla sentenza di primo grado;

il ricorso è inammissibile. Secondo il costante orientamento di questa Corte, ove la sentenza – come nel caso di specie – sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass. Sez. 6 – 5, n. 9752 del 18/04/2017, Rv. 643802 – 01);

nel caso di specie, la motivazione del rigetto dell’appello incidentale proposto dall’odierna ricorrente si fonda su due autonome argomentazioni. La prima, è quella presa in esame dalla ricorrente ed è oggetto di censura con il primo motivo. La Corte d’appello di Reggio Calabria ha erroneamente affermato che la quantificazione operata in primo grado si sarebbe attestata sulla “soglia finale del 30%” e cioè su una percentuale di invalidità permanente anche superiore alla entità del pregiudizio sofferto, prospettata dai consulenti della appellante incidentale (“misura pari al 25%”). Ma, con autonoma e distinta motivazione, giuridicamente sufficiente a giustificare la decisione di rigetto, ha anche argomentato che quella liquidazione risultava “comunque del tutto congrua all’occorso, non essendo stati lumeggiati o posti al vaglio di questo collegio accadimenti e circostanze specificamente meritevoli di vaglio in diverso rilievo, nè essendosi prospettati dalla difesa, se non generici addebiti di inadeguatezza alla peculiarità della vicenda personale in riesame della P., neppure sotto specie di eventuali sopravvenienze in aggravamento del quadro antea emerso ed a presumersi ancora attuale… e pertanto obiettivamente consolidato”. Tale seconda argomentazione, con la quale si evidenzia la genericità del motivo riguardo alla censura di inadeguatezza complessiva della liquidazione, non è contrastata con il ricorso per cassazione, al fine di evidenziare che, al contrario, in sede di appello incidentale la danneggiata avrebbe allegato specifici e concreti elementi. Si tratta, pertanto, di una motivazione congrua, non adeguatamente contestata in questa sede e ciò rende inammissibile la censura oggetto del ricorso, indipendentemente dalla sua fondatezza;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, mentre, per quanto evidenziato, ricorrono i presupposti per la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di cassazione. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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