Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14424 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2010, (ud. 04/05/2010, dep. 15/06/2010), n.14424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9106/2006 proposto da:

COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA A. CATALANI 26, presso lo studio

dell’avvocato D’ANNIBALE ENRICO, rappresentato e difeso dagli

avvocati TARALLO GIUSEPPE, BARONE EDOARDO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

ARIN AZD RISORSE IDRICHE NAPOLI SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

ZARA 16, presso lo studio dell’avvocato DE CILLA MICHELE e

NAPOLITANO SALVATORE, rappresentato e difeso dall’avvocato CONTIERI

ALFREDO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 76/2 0 04 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 03/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il resistente l’Avvocato CONTIERI ALFREDO, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Napoli la società Arin (Azienda Risorse Idriche di Napoli) Spa. proponeva opposizione avverso nove avvisi di accertamento, ai fini della Tosap, per gli anni 2000 e 2001, che l’amministrazione di quel Comune le aveva fatto notificare per l’occupazione di suolo pubblico per la gestione degli impianti dell’acquedotto comunale; di passi carrai ed esecuzione di lavori di manutenzione mediante materiali. Esponeva che essa era sorta dalla trasformazione della preesistente azienda speciale degli impianti; era a totale capitale pubblico dell’ente territoriale; gl’impianti le erano stati affidati solo in dotazione e la configurazione come società di capitali non le faceva venire meno la perfetta corrispondenza degli scopi con quelli del soggetto concedente; pertanto chiedeva l’annullamento di quegli atti impositivi.

Instauratosi il contraddittorio, il Comune eccepiva l’infondatezza del ricorso, chiedendone perciò il rigetto.

Quella commissione lo rigettava.

Avverso la relativa decisione la contribuente proponeva appello, cui controparte resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Campania, la quale, in riforma di essa, annullava gli avvisi di accertamento con sentenza n. 76 del 16.12.2004, osservando che i fini della nuova società coincidevano con quelli dell’ente concedente, e perciò l’esenzione le spettava.

Contro tale pronuncia il Comune di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi.

La società Arin (Azienda Risorse Idriche di Napoli) ha resistito con controricorso, ed ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, e D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, convertito con L. n. 427 del 1993, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la commissione tributaria regionale non considerava che le partecipazioni dell’ente nella società per azioni potevano essere cedute dopo il periodo minimo di due anni; nè era prevista la retrocessione gratuita degli impianti al Comune decorso il termine di tre anni dalla concessione o trasformazione dell’azienda speciale in società.

Il motivo è fondato.

La CTR rilevava che l’Arin, ancorchè società per azioni, tuttavia era stata costituita dal Comune a seguito di trasformazione della precedente azienda speciale, e quindi, essendo a totale partecipazione azionaria di quell’ente, ne svolgeva il pubblico servizio di gestione dell’acquedotto, e pertanto godeva della corrispondente esenzione fiscale.

L’assunto non è esatto.

L’assoggettamento alla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) da parte dell’Arin non è incompatibile con la concessione in uso dei beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune di Napoli, atteso che il canone concessorio si configurai come il corrispettivo dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e quindi come un “quid” ontologicamente diverso dalla tassa, dovuta per la sottrazione del bene all’uso pubblico cui è ordinariamente destinato. Peraltro non risulta (sulla base di un’indagine rimessa al giudice di merito) che la concessionaria agisca quale mero sostituto dell’ente nello sfruttamento dei beni, e perciò il presupposto della tassazione non viene a mancare, avuto riguardo all’esenzione soggettiva prevista per gli enti territoriali dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, comma 1, lett. a), salvo che dall’atto di concessione non emerga una diversa volontà pattizia, essendo tuttavia, all’uopo, sufficienti le espressioni del concedente per significare l’intenzione di cumulare canone e tassa (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 19841 del 15/09/2009, n. 11175 del 2004).

Inoltre va rilevato che il presupposto impositivo della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) è costituito, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 38 e 39, dalle occupazioni, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti e sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province, mentre sono irrilevanti gli atti di concessione o di autorizzazione relativi all’occupazione, atteso che la tassa colpisce anche le occupazioni senza titolo (V. pure Cass. Sentenze n. 2555 del 22/02/2002, n. 11438 del 1998).

Su tale punto dunque la sentenza impugnata non “risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

2) Col secondo motivo il ricorrente denunzia omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè il giudice di appello non enunciava le ragioni, in virtù delle quali non esaminava la doglianza riferita agli impianti idrici non di proprietà dell’ente territoriale; ai passi carrai e alle occupazioni di suolo pubblico con materiali di risulta per scavi e lavori vari. Del resto la retrocessione gratuita degli impianti non era prevista dopo tre anni dalla costituzione della società in base al contratto, ma al contrario sostanzialmente la onerosità, tanto che un importo pari alla omesso ammortamento degli impianti stessi doveva essere attribuito all’Arin in caso di appalto per nuova gestione.

La censura, che in parte rimane assorbita da quanto enunciato relativamente al motivo teste esaminato, va condivisa.

Invero l’attività di gestione dell’acquedotto è svolta nell’ambito di un rapporto di concessione di servizio pubblico formalizzato in un contratto di appalto, sicchè l’occupazione effettuata dalla società appaltatrice con gli “impianti adibiti al servizio” in questione – il cui concetto è integrato dal complesso di attrezzature e macchine necessarie all’impresa concessionaria per lo svolgimento dell’attività – rientra nella ipotesi esonerativa particolare contemplata all’art. 49, lett. e), che tuttavia subordina l’esenzione dalla tassa al caso in cui sia prevista la devoluzione gratuita di detti impianti al Comune al termine del rapporto concessorio. Il che tuttavia non è dato riscontrare nel caso in esame da quanto addotto dalla CTR (V. pure Cass. Sentenza n. 11175 del 11/06/2004).

Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 1, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, sicchè va rigettato vi ricorso introduttivo della contribuente.

Quanto alle spese del doppio grado di giudizio, sussistono giusti motivi per compensarle, mentre quelle di quest’altro seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito, rigetta l’appello; compensa le spese del doppio grado, e condanna la controricorrente al rimborso di quelle di questo giudizio a favore del ricorrente, e che liquida in complessivi Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, ed Euro 4.000,00 (quattromila/00) per onorario, oltre a CU, quelle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

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