Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14421 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. I, 08/07/2020, (ud. 24/01/2020, dep. 08/07/2020), n.14421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3716/2019 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in Roma, via Paolo Mercuri

8, presso lo studio dell’avvocato Ludovici Luigi che lo rappresenta

e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende per legge.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3109/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 15/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/01/2020 dal cons. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1) La Corte d’appello di Venezia ha respinto il gravame proposto da S.P., cittadino del Senegal richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, gli aveva negato il riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di aver lasciato il proprio paese dopo essere sfuggito ai ribelli del Casamance, che lo avevano imprigionato per essersi rifiutato di partecipare a un’azione terroristica contro un villaggio.

La corte distrettuale ha ritenuto la vicenda non credibile, sia perchè Papermore non aveva saputo spiegare per quale ragione, dopo essere sfuggito ai ribelli, aveva trascorso altri tre anni in Senegal prima di lasciare il paese, sia perchè l’arruolamento forzato fra i gruppi ribelli del Casamance non trova riscontro in fonti informative; ha inoltre escluso che ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi della lett. c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, posto che il Senegal non presenta una situazione di violenza generalizzata in danno della popolazione civile, ed è anzi considerato una delle più stabili democrazie africane, e che anche nella regione del Casamance, almeno dal 2014, c’è una sostanziale tregua fra forze governative e separatiste, fra le quali sì registrano solo occasionali schermaglie; ha infine rilevato che il richiedente non aveva allegato profili di vulnerabilità tali da giustificare la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Contro la sentenza, pubblicata il 15.11.2018, S.P. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1) Il ricorrente censura la decisione: (i) sotto un primo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 15 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la corte territoriale non si sarebbe impegnata a verificare che il miglioramento rilevato nella regione del Casamance era solo temporaneo e precario rispetto al trentennale conflitto interno generatore di violenza indiscriminata che fino ad alcuni anni prima imperversava nella regione; (ii) sotto un secondo profilo, per nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, stante la contraddittorietà ed illogicità della motivazione sul punto, avendo il giudice dato atto che nella regione, nel gennaio 2018, c’era stato un attentato terroristico in cui avevano perso la vita 13 persone e ciò nonostante escluso la sussistenza di una situazione di violenza armata indiscriminata; (iii) sotto un terzo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, posto che il permanere del conflitto nella regione fra ribelli e forze governative giustificava quantomeno il riconoscimento della protezione umanitaria.

2)1 primi due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, non meritano accoglimento.

2.1.)Come ripetutamente affermato da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. nn. 18036/2019, 9090/2019, 13858/2018).

Il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto, di esclusiva competenza del giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità se non nei limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. nn. 32064/2018, 13858/2018).

2.2) Nel caso di specie la corte territoriale ha illustrato compiutamente le ragioni del proprio convincimento, fondato sui report di fonti di informazione internazionali, e non è incorsa in alcuna contraddizione laddove ha ritenuto che un singolo attentato terroristico, avvenuto nel 2018 nella zona a sud di Zuinginchor o la permanente pericolosità di alcune aree limitate, al confine con la Guinea-Bissau, ancora cosparse di mine, non potessero di per sè dimostrare che l’intera regione del Casamance sia attualmente interessata da un conflitto armato permanente e generalizzato, tale da determinare una situazione di violenza indiscriminata che pone in pericolo la vita di chiunque vi abiti.

Il ricorrente, che non proviene da Zuinghor nè ha dedotto di aver vissuto proprio in una delle aree di confine non ancora messe in sicurezza, avrebbe dunque dovuto contestare tale accertamento mediante l’allegazione di fonti internazionali, diverse da quelle consultate dalla corte territoriale, atte a smentirlo.

3) Il terzo motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità. (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23604 del 09/10/2017 (Rv. 646043 – 02).

La natura residuale ed atipica della protezione umanitaria, dunque, se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (Cass. n. 21123/19).

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare all’amministrazione statale le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso il Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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