Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14420 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 15/06/2010), n.14420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18351/2006 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA A. FRIGGERI 111,

presso lo studio dell’avvocato MORGANTI PAOLO, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VASANELLO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA SALARIA 53, presso lo studio

dell’avvocato MACCARONI GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende

giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 159/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 21/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/04/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato MORGANTI PAOLO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato MACCARONI GIUSEPPE, che si

riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento.

 

Fatto

P.M. impugnava innanzi alla C.T.P. di Viterbo gli avvisi di accertamento notificatigli dal Comune di Vassanello per omessa denuncia e versamento I.C.I. per gli anni 1997, 1998 e 1999 in relazione ad alcuni immobili di cui risultava intestatario in catasto, chiedendone l’annullamento per mancanza di motivazione e dei presupposti per l’imposizione. Sosteneva, infatti, di non esercitare più il possesso su tali beni fin dal 1993 e che la mera intestazione catastale non costituiva prova del presupposto per l’applicazione dell’I.C.I., dato che per l’applicazione di tale imposta era necessario il possesso, la cui prova competeva al Comune.

La C.T.P. accoglieva il ricorso per non avere l’ente impostore provato il possesso in capo al ricorrente, anche se intestatario catastale.

Proponeva appello il Comune, resisteva il contribuente anche con appello incidentale in ordine all’omessa motivazione degli avvisi di accertamento. La C.T.R. del Lazio riformava la sentenza di primo grado, affermando che il Comune aveva dimostrato l’esattezza della propria pretesa impositiva facendo riferimento alle risultanze catastali e che quindi la prova contraria era a carico del privato. Rigettava, inoltre, l’appello incidentale.

Avverso detta decisione P.M. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Comune di Vassanello resiste con controricorso.

Diritto

Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, e dell’art. 1141 c.c., nonchè omessa motivazione, per avere la C.T.R. ritenuto provato il presupposto impositivo (proprietà – possesso) sulla base delle sole intestazioni catastali. Sostiene, invece, il contribuente che le intestazioni catastali non costituiscono prova del possesso esercitato sugli immobili, che, nella specie, è eseguito da altre persone che, oltre ad avere dichiarato tali beni dall’inizio del loro possesso e cioè dal 1993 ai fini I.R.Pe.F., avevano fatto anche la dichiarazione I.C.I., versando la corrispondente imposta.

Con la seconda censura si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2 bis, e della L. n. 241 del 1990, art. 3, e L. n. 12 del 2000, art. 7, (recte, 212 /2000) deducendo l’illegittimità degli avvisi di accertamento in mancanza dell’esposizione dei presupposti di fatto e di diritto che li giustifichino, non essendo sufficiente il mero accenno alla mancanza della denuncia e del versamento.

Con il controricorso il Comune sostiene che il contribuente è soggetto passivo dell’imposta in quanto proprietario del bene e che non è stata provata la presenza di un titolo legittimante la perdita della disponibilità dello stesso, per cui l’unica ipotesi possibile potrebbe essere un contratto di comodato, peraltro, non documentato ma che comunque non legittima il comodante a non corrispondere l’imposta, dato che i comodatari restano comunque estranei al rapporto che rimane incardinato tra comodante ed ente territoriale.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

E’ pur vero come sostenuto dal ricorrente che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, prevede quale presupposto dell’imposta in esame “il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli”, ma all’art. 3 lo stesso decreto legislativo nell’elencare i soggetti passivi dell’I.C.I., fa riferimento “al proprietario degli immobili indicati nel comma 2 “della norma sopra indicata e ed, inoltre, all’art. 5 fa espresso riferimento ai fabbricati iscritti in catasto, per cui legittimamente il Comune, una volta rilevata dalle risultanze catastali che il titolare del diritto di proprietà dell’immobile era P.M., ha richiesto allo stesso il pagamento dell’imposta.

Infatti, pur se il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può – in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti – esser provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali, che hanno in concrete circostanze soltanto il valore di semplici indizi. Tuttavia l’intestazione di un immobile ad un determinato soggetto fa sorgere comunque una presunzione de facto sulla veridicità di tali risultanze. Peraltro, nella specie, non sussiste contestazione in merito alla titolarità del diritto di proprietà in quanto il contribuente non ha mai negato nel corso del giudizio di essere titolare degli immobili de quibus, asserendo invece di non averne più il possesso fin dal 1993.

Conseguentemente, poichè la normativa I.C.I. collega la titolarità passiva dell’imposta direttamente al proprietario o ai titolari di altri diritti reali, su costoro,quindi, grava l’onere della prova diretta all’esenzione dal pagamento dell’imposta e cioè la carenza del possesso che costituisce una condizione di fatto. Nella specie, invece, il contribuente non ha offerto alcuna prova concreta dell’inesistenza del possesso, producendo o più semplicemente invocando un titolo legittimante la perdita della disponibilità del bene, limitandosi invece alla mera affermazione dell’assenza di tale esercizio e pretendendo che la prova contraria fosse fornita dall’ente impositore.

Il secondo motivo è, invece, inammissibile avendo, in questa sede di legittimità, il contribuente dedotto direttamente i vizi inficianti la validità dell’avviso di accertamento, notificatogli dal Comune, invece di dedurre le carenze della decisione impugnata, salvo la mera indicazione nel titolo della rubrica del motivo dell'”omessa motivazione”, in quanto è principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui: “In tema di ricorso per cassazione avverso sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale in grado di appello, poichè l’unico oggetto del giudizio di legittimità è costituito dalla sentenza impugnata, è inammissibile il motivo di ricorso con cui si denuncino direttamente vizi dell’avviso di accertamento” (cfr., ex multis, Cass. civ. sent. n. 6134 del 2009).

Conclusivamente, dichiarata assorbita ogni altra censura il ricorso deve essere respinto.

Tuttavia, si ritiene equo compensare le spese, stante le alterne vicende processuali.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, il 29 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

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