Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14418 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 25/05/2021), n.14418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30451-2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S.TOMMASO

D’AQUINO 80, presso lo studio dell’avvocato SEVERINO GRASSI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROSARIO MAGLIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE di AVELLINO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5512/5/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

l’08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CROLLA

COSMO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. C.M. proponeva ricorso avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino avverso l’avviso notificato in data 26.6.2014 con il quale l’Ufficio accertava, D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 39, comma 1, lett. d), il maggior reddito, per l’anno di imposta 2009, pari ad Euro 50.400,00 ed operava le riprese Irpef, Irap, Iva ed addizionali.

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso ritenendo fondata l’eccezione formale inerente la sottoscrizione dell’atto e, nel merito, rilevando l’illegittimità dell’accertamento in quanto non ricorrevano le condizioni previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2.

3. Sull’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva l’appello affermando, per quanto di interesse in questa sede, che l’atto impositivo era fondato su presunzioni dotate del carattere della gravità, precisione e concordanza.

4. Avverso la sentenza della CTR C.M. ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi, l’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio e il contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi la CTR pronunciata su questioni non esaminate dal giudizio di primo grado in quanto ritenute assorbite, concernenti l’omessa motivazione dell’avviso di accertamento sul quantum della pretesa, sui clienti che avrebbero usufruito delle prestazioni del professionista nell’anno 2009, sulla divisione per scaglioni della cliente, sulla determinazione del reddito tenendo conto dei compensi medi e sulla ragionevolezza del reddito dichiarato.

1.2 Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2697 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; si argomenta che la CTR ha omesso di indicare gli elementi di fatto ritenuti fonti di presunzione a favore dell’Ufficio e di valutare gli elementi di prova forniti dal ricorrente per superare le presunzioni dell’Ufficio.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1 Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr. Cass. nr. 24155/2017).

2.2 Nella fattispecie in esame l’impugnata sentenza, nella prima parte, ha dato diffusamente conto delle motivazioni dell’avviso di accertamento spiegando che l’atto impositivo: a) rilevava che a fronte di un reddito imponibile dichiarato di Euro 2.724,00 risultavano spese che incidevano sul 79% dei compensi fatturati; b) evidenziava la palese antieconomicità della situazione reddituale anche a fronte delle spese per il personale dipendente che ammontavano ad Euro 24.618,00; c) rappresentava che il modesto reddito dichiarato era incompatibile con il possesso di due autovetture, con il versamento del capitale sociale di Euro 12.000,00 in occasione della costituzione della società Enerpi srl Unipersonale e con un finanziamento di Euro 90.000,00 effettuato nell’anno 2020; d) individuava attraverso le dichiarazioni fiscali per gli esercizi 2008 e 2009 (modelli 770) i soggetti titolari di partire Iva, per i quali C.M. era risultato essere depositario esclusivo delle scritture contabili in qualità di commercialista e/o intermediario senza considerare i clienti privati non titolari di partita Iva; e) quantificava i compensi non dichiarati secondo valori medi o inferiori ai compensi previsti dalle tabelle professionali.

2.3 Il convincimento dei giudici di appello trae fondamento sugli elementi contenuti nell’avviso di accertamento ai quali si attribuisce decisivo valore inferenziale del fatto costituito dal maggior reddito accertato.

2.4 Pur mancando uno specifico ed esplicito dictum giudiziale è evidente che la decisione sul motivo di appello della carenza di motivazione dell’avviso di accertamento in tutti i suoi profili sia tuttavia implicita nel complessivo impianto logico-giuridico della sentenza.

2.5 Il motivo di omessa pronuncia è, inoltre, inammissibile con riferimento agli altri elementi fatti valere dal contribuente (suddivisione della clientela, inattendibilità del calcolo medio del reddito insussistenza della antieconomicità) il cui esame sarebbe stato pretermesso dalla CTR.

2.6 Sul punto questo questa Corte ha affermato che “la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si coglie nel senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata (cfr. Cass. n. 6361/07), mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attività di esame dei giudice che si assume omessa non concerne una domanda od un’eccezione, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, appunto in fatto, avrebbe comportato una diversa decisione” (cfr. Cass. n. 25714/2014, 5129/2018).

2.7 E’ evidente che quelle che il ricorrente qualifica impropriamente eccezioni, tali non sono, risolvendosi in mere circostanze fattuali, delle quali il giudice non avrebbe tenuto conto nell’apprezzamento dei fatti, quindi possono rilevare esclusivamente sotto il profilo motivazionale.

3. Il secondo motivo è inammissibile

3.1 L’accertamento è stato effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), a tenore del quale “l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi precise e concordanti”.

3.2 La CTR ha valutato i plurimi indizi offerti dall’Ufficio – elevata incidenza dei costi sull’ammontare dei compensi, esiguità del reddito imponibile dichiarato, mancata corresponsione di compensi dal parte dei clienti titolari di partite Iva – ritenendoli idonei a fondare un giudizio di antieconomicità e inattendibilità della situazione reddituale dichiarata e a legittimare una ricostruzione analitico-induttiva del reddito.

3.3 I giudici di seconde cure hanno inoltre affermato che nessuna prova di segno contrario è stata concretamente offerta dal contribuente e che le giustificazioni addotte dal C. sul mancato pagamento dei clienti si sono rivelate generiche ed inconcludenti.

3.4 La censura del ricorrente si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018). 3.5 Ma, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 21705 del 2019).

4. Ne consegue il rigetto del ricorso.

5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte;

– Rigetta il ricorso,

– Condanna C.M. al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.100,00 per compensi oltre spese anticipate.

– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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