Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14414 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/06/2017, (ud. 13/04/2017, dep.09/06/2017),  n. 14414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2250-2011 proposto da:

COMUNE DI BOLOGNA, in persona del Commissario Straordinario,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA EMANUELE GIANTURCO 11, presso

lo studio dell’avvocato RITA COLLELUORI, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

ARCO SPEDIZIONI SPA, in persona dell’Amm.re Unico e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

MARESCIALLO PILSUDSKI 118, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO

PAOLETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALFREDO SARDELLA giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 129/2010 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA,

depositata il 18/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2017 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato D’UGO per delega dell’Avvocato

COLLELUORI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato SARDELLA che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. La società Arco Spedizioni S.p.A. impugnava l’avviso di accertamento in materia di Tarsu relativa agli anni d’imposta dal 2002 al 2006 sostenendo di non essere tenuta a pagare la tassa in quanto nei locali adibiti a magazzino venivano prodotti solamente rifiuti consistenti in imballaggi terziari che erano recuperati e smaltiti da essa contribuente; inoltre dal mese di gennaio 2004 l’attività era stata trasferita in altri locali. La commissione tributaria provinciale di Bologna accoglieva parzialmente il ricorso stabilendo la debenza della tassa solo sino al 2003, con esclusione dell’anno d’imposta 2004. La commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, investita dell’appello della contribuente e dell’appello incidentale del Comune di Bologna, accoglieva integralmente l’appello della contribuente sul rilievo che i rifiuti da imballaggi terziari non potevano essere assimilati ai rifiuti urbani ed al loro smaltimento doveva provvedere l’operatore economico in proprio, per il che la tassa non era dovuta.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il Comune di Bologna affidato a due motivi. Resiste la contribuente con controricorso illustrato con memoria.

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62 e art. 64, comma 4, e motivazione illogica e incoerente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che anche per l’anno 2004 era dovuta la tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani poichè la contribuente non aveva presentato la denuncia di cessazione dell’occupazione; inoltre la tassa era comunque dovuta anche se l’immobile non era stato di fatto utilizzato.

4. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 e motivazione illogica e incoerente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che, nonostante la contribuente producesse rifiuti da imballaggi terziari, essa era comunque tenuta a pagare la tassa in relazione alla produzione di rifiuti solidi urbani.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Osserva la Corte che va esaminato per primo il secondo motivo di ricorso in quanto involge questioni pregiudiziali rispetto a quelle sottese al primo motivo. In generale, i motivi che deducono “violazione di legge e difetto e contraddittorietà della motivazione” appaiono inammissibili per la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, sia sostanziale che processuale e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011). Deve, peraltro, ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione in cui si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto qualora, come nel caso di specie, ciascuna questione rinvii all’altra al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 7770 del 31/03/2009; Cass. n. 17514 del 2/9/2016).

Ora, va premesso che il quadro normativo nel quale si inquadra la fattispecie in esame (anni 2002, 2003 e 2004) è costituito dal capo 3 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (cd. decreto Ronchi), e successive modificazioni. Con il primo è stata istituita la tassa per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa dai comuni (art. 58); è stata disciplinata la attivazione del servizio, di raccolta e di smaltimento, prevedendo che se il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, non è svolto nella zona di esercizio dell’attività dell’utente, o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del relativo regolamento, il tributo è dovuto in misura ridotta (art. 59); circa il presupposto della tassa, è stato previsto che la stessa “è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa nei modi previsti dagli artt. 58 e 59”, e che “nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della determinazione della predetta superficie non tassabile il comune può individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta” (art. 62, commi 1 e 3).

Il D.Lgs. n. 22 del 1997, emanato in attuazione delle Direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, ha previsto, nel Titolo I (“Gestione dei rifiuti”), che:

a) la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse ed è disciplinata al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci; i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente (art. 2, commi 1 e 2);

b) le autorità competenti favoriscono il recupero dei rifiuti, nelle varie forme previste (reimpiego, riciclaggio, ecc), allo scopo di ridurre lo smaltimento dei rifiuti, che costituisce la fase residuale della “gestione” degli stessi, la quale comprende le operazioni di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento (artt. 4 e 5 e art. 6, comma 1, lett. d);

c) sono rifiuti “urbani”, tra l’altro, quelli non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quello di civile abitazione, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’art. 21, comma 2, lett. g), mentre sono rifiuti “speciali”, tra l’altro, quelli “da attività commerciali” (art. 7, comma 2, lett. b e comma 3, lett. e);

d) la responsabilità del detentore per il corretto recupero o smaltimento dei rifiuti è esclusa (oltre che nel caso di conferimento degli stessi al servizio pubblico di raccolta) “in caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di identificazione di cui all’art. 15 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formulario” (art. 10, comma 3);

e) i comuni “effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa”; con appositi regolamenti stabiliscono, fra l’altro, “le disposizioni necessarie a ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio”, nonchè “l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento” (tale potere di assimilazione è divenuto pienamente operante a seguito dell’abrogazione della L. n. 146 del 1994, art. 39 ad opera della L. n. 128 del 1998, art. 17); la privativa suddetta “non si applica (….) alle attività di recupero dei rifiuti assimilati” (dal 1 gennaio 2003), “alle attività di recupero dei rifiuti urbani o assimilati”, ai sensi della L. n. 179 del 2002, art. 23) (art. 21, comma 1, comma 2, lett. e) e g) e comma 7).

Il successivo Titolo 2 (specificamente dedicato alla “gestione degli imballaggi”), premesso che la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è disciplinata “sia per prevenirne e ridurne l’impatto sull’ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato e prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi, nonchè distorsioni e restrizioni alla concorrenza”, ai sensi della citata direttiva 94/62/CE (art. 34, comma 1), ha disposto che:

a) gli imballaggi si distinguono in primari (quelli costituiti da “un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore”), secondari o multipli (quelli costituiti dal “raggruppamento di un certo numero di unità di vendita”) e terziari (quelli concepiti “in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli”) (art. 35, comma 1);

b) “i produttori e gli utilizzatoli sono responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti”; oltre ai vari obblighi in tema di raccolta, riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggio, sono a carico dei produttori e degli utilizzatoti i costi per – fra l’altro – la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari, la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio, lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari (art. 38);

c) “dal 1 gennaio 1998 è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi secondari non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata” (art. 43, comma 2).

Infine, l’art. 49, compreso nel Titolo 3, ha istituito la “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (usualmente denominata TIA, “tariffa di igiene ambientale”), in sostituzione della soppressa TARSU, prevedendo, in particolare, nella modulazione della tariffa, agevolazioni per la raccolta differenziata, “ad eccezione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, che resta a carico dei produttori e degli utilizzatoli” (comma 10), e disponendo altresì che “sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua” detta attività (comma 14). Va poi ricordato che i termini del regime transitorio per la soppressione della TARSU e l’operatività della TIA – regime introdotto dal D.P.R. n. 158 del 1999, modificato dalla L. n. 488 del 1999, art. 33, salva la possibilità per i comuni di introdurre in via sperimentale la TIA – hanno subito varie proroghe e che, infine, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238 (recante “Norme in materia ambientale”) ha soppresso tale tariffa, sostituendola con una nuova – “tariffa integrata ambientale”, come definita dal D.L. n. 208 del 2008, convertito nella L. n. 13 del 2009, cd. TIA 2 -, e l’art. 264 ha abrogato l’intero D.Lgs. n. 22 del 1997 (sia pur prevedendo anche in questo caso una disciplina transitoria).

Ora, nel caso di specie risulta incontroverso che la contribuente ha prodotto rifiuti da imballaggi terziari e che ha provveduto in proprio allo smaltimento di essi, per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale, mentre per gli imballaggi secondari è ammessa solo la raccolta differenziata da parte dei commercianti al dettaglio che non li abbiano restituiti agli utilizzatori (art. 43).

Ciò non comporta, però, che tali categorie di rifiuti (imballaggi terziari) siano, di per sè, esenti dalla TARSU, ma che ad esse si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (Cass. n. 4792 del 15.12.2015 dep. 11.3.2016; Cass. n. 5377 del 30.11.2011).

Nel caso di imballaggi secondari, invece, è previsto dall’art. 21, comma 7, del decreto Ronchi l’esonero dalla privativa comunale qualora sia provato l’avviamento al recupero. In tal caso l’operatore economico ha l’onere di dimostrare l’effettivo e corretto avviamento al recupero attraverso valida documentazione comprovante il conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati a detta attività in base alle norme del D.Lgs. n. 22 del 1997 e si determina, allora, non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, per il solo caso di produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto, a consuntivo, in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero (in virtù di quanto previsto, in generale, già dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 67, comma 2, e poi, più specificamente, dall’art. 49, comma 14, del decreto Ronchi e dal D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2, il quale, nell’approvare il “metodo normalizzato per la determinazione della tariffa di riferimento per la gestione dei rifiuti urbani”, può, nella fase transitoria, essere applicato dai comuni anche ai fini della TARSU) (Cass. n. 9731 del 8.4.2015).

Ciò posto, va rilevato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, prevede che “Ai fini della determinazione della predetta superficie non tassabile il comune può individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta”.

Ed ha affermato il Comune che, secondo il regolamento comunale, ha calcolato la tariffa Tarsu applicando coefficienti che tengono conto della potenziale produzione di rifiuto urbano ed assimilato delle varie attività raggruppate in classi omogenee senza che su di esse si ripercuota la gestione degli imballaggi terziari.

La CTR è incorsa in violazione di legge nell’affermare che la società andava esente dalla applicazione della TARSU a norma del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, commi 2 e 3, in quanto le aree tassate non erano produttive di rifiuti per la loro natura o destinazione. Invero la società, in quanto produttrice di rifiuti speciali non assimilabili (imballaggi terziari), avrebbe potuto solo beneficiare di una di riduzione parametrata alla intera superficie su cui l’attività veniva svolta (tenuto conto che comunque nell’area venivano prodotti anche rifiuti urbani) e la CTR non ha operato i necessari accertamenti sul punto. E’ stato osservato, peraltro, che incombe sull’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004, 13086 del 2006,17599 del 2009, 775 del 2011). Dovrà valutare la CTR se tale onere sia stato adempiuto e se la riduzione sia stata già concessa dal Comune nei limiti spettanti.

Si impone, dunque, l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza per nuovo esame sul punto.

2. In ordine al primo motivo di ricorso, valgono le considerazioni in ordine alla sua ammissibilità svolte con riguardo al secondo motivo.

Il motivo è fondato. Invero, premesso che la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, purchè il servizio stesso sia istituito e sussista la possibilità della utilizzazione (Cass. n. 18022 del 24/07/2013), questo collegio intende dare continuità al principio già espresso dalla Corte di legittimità (Sez. 5, Sentenza n. 13296 del 29/05/2013) secondo cui la norma di cui al D.Lgs. n. 507 del 1992, art. 64, comma 4, deve essere intesa nel senso che, pur in caso di omissione della presentazione della denuncia di cessazione nell’anno in cui questa è avvenuta, la tassa non è comunque dovuta, per gli anni successivi a quello in cui tale evento si è verificato, qualora: a) l’utente presenti denuncia tardiva di cessazione (comunque non oltre il termine di sei mesi dalla notifica del ruolo, ex art. 75, comma 2) e fornisca la prova di non aver effettivamente continuato, dalla data indicata, l’occupazione o la detenzione; b) oppure, anche a prescindere dalla produzione della denuncia tardiva, risulti che la tassa è stata assolta dal soggetto che è subentrato, a seguito di denuncia o di iscrizione a ruolo d’ufficio a suo carico. In sostanza, nel rispetto del presupposto impositivo della tassa, è consentito al soggetto che ha omesso di presentare la denuncia di cessazione tempestivamente (cioè nell’anno stesso in cui essa si è verificata) di ottenere lo sgravio o il rimborso del tributo qualora presenti la denuncia entro sei mesi dalla notifica dell’iscrizione a ruolo e dia la prova della cessazione, ovvero il tributo stesso sia stato pagato dall’effettivo nuovo occupante o detentore. In un caso e nell’altro l’esonero dal tributo, come si evince chiaramente dalla lettera e dalla ratio della disciplina, ha effetto dall’anno successivo a quello nel corso del quale si è verificata la cessazione, ferma rimanendo la debenza della tassa per l’intero anno in cui è avvenuta la cessazione, restando ovviamente esclusa l’applicabilità del sopra citato art. 64, comma 3, che prevede, ma solo in caso di denuncia tempestiva, l'”abbuono” del tributo a decorrere dal bimestre successivo alla presentazione della stessa. Ne consegue che la contribuente, la quale non ha presentato tempestiva denuncia di cessazione, è tenuta al pagamento della tassa per l’intero anno 2004, conformemente a quanto preteso dal Comune, benchè abbia utilizzato i locali solo per alcuni mesi di tale anno.

3. Il ricorso va, dunque, accolto e l’impugnata decisione va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna in diversa composizione che, adeguandosi ai principi esposti, procederà alle necessarie verifiche e deciderà nel merito oltre che sulle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia Entrate, cassa l’impugnata decisione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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