Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14413 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. I, 08/07/2020, (ud. 24/01/2020, dep. 08/07/2020), n.14413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5055/2019 proposto da:

A.M. elettivamente domiciliato in Roma presso la

cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso

dall’avvocato Ornella Fiore;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– resistente –

Avverso la sentenza n. 1374/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 24/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/1/2020 dal Cons. Dott. MARULLI Marco.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.M., cittadino pakistano, ricorre a questa Corte avverso l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino, attinta dal medesimo ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19 e art. 702-quater c.p.c., ha confermato il diniego pronunciato in primo grado nei suoi confronti delle misure di protezione internazionale ed umanitaria e ne chiede la cassazione sul rilievo 1) della violazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 3, comma 3, e art. 17, par. 1, Reg. UE 26 giugno 2013, n. 604 nonchè 2) della violazione dell’art. 115 c.p.c., avendo il decidente confermato il predetto rigetto sul presupposto che analoga domanda di asilo era stata presentata dal ricorrente in Grecia, in tal modo mostrando di giudicare la domanda posta al suo esame come una mera reiterazione della domanda precedente e di valutarla sulla base dei medesimi elementi che di quest’ultima avevano comportato il rigetto, quantunque nessuno di essi fosse presente agli atti; 3) della violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a) e comma 5, art. 5, art. 6, comma 2 e art. 14, lett. b), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.P.R. 12 gennaio 2015, n. 21, art. 6, comma 6, avendo il decidente denegato il riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione della mera afferenza dei fatti narrati dal ricorrente a questioni di criminalità comune, quantunque la minaccia di un danno grave possa essere originata anche da soggetti non statuali e non sia onere del ricorrente, per di più a fronte dell’attenuazione che in via generale ne è prevista in suo favore, provare di essersi rivolto senza esito alle autorità statali; 4) della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32 in relazione agli artt. 8 Dir. CE 2004/83, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, e art. 5, lett. c), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, avendo il decidente escluso la ricorrenza nella specie della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base di COI concernenti la situazione interna del paese di provenienza con specifico riferimento alla regione del Punjab ignorando per contro l’area di provenienza del ricorrente identificabile in quella di Karachi; 5) della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, e 5, comma 6 e 19, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 avendo il decidente ricusato il riconoscimento della protezione umanitaria senza operare alcuna valutazione comparativa tra le condizioni di vita del ricorrente nel paese di provenienza e quelle raggiunte a seguito della sua integrazione sociale nel nostro paese.

Non ha svolto attività difensiva il Ministero intimato non essendosi il medesimo costituito con controricorso ex art. 370 c.p.c., ma solo a messo di atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente in quanto strettamente avvinti, sono entrambi inammissibili non intercettando la ratio decidendi che sorregge il negativo pronunciamento adottato dal decidente del grado.

La Corte d’Appello, pur non trascurando di annotare inizialmente il fatto che analoga domanda d’asilo fosse stata già respinta dalle autorità greca, ha infatti motivato il rigetto qui in contestazione affermando che “la vicenda esposta dall’appellante riguarda pacificamente una questione di criminalità comune che nulla ha a che vedere con i motivi di persecuzione o con il rischio di subire in caso di rientro nel paese di origine, forme di pena o trattamenti inumani e degradanti”, con ciò intendendo evidenziare che la specifica ragione del mancato accoglimento del gravame era identificabile nel rilevato difetto di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta.

3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso devono in conseguenza di quanto testè considerato reputarsi entrambi assorbiti una volta che si sia esclusa, come visto, la riconducibilità della vicenda narrata dal ricorrente alle ipotesi di danno grave elencate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

L’una e l’altra doglianza avrebbero potuto infatti reputarsi conferenti rispetto al decisum solo se la Corte d’Appello avesse effettivamente escluso la ricorrenza nella specie della lett. b) di detto articolo perchè il ricorrente non aveva chiesto l’intervento della polizia ovvero della lett. c) perchè in Pakistan non sussiste una situazione di violenza generalizza, e non quando viceversa la ragione del pronunciato rigetto è identificabile nella mera afferenza dei fatti narrati a questioni di comune criminalità.

4. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’Appello, senza per vero incorrere nell’errore denunciato, ma anzi mostrando di attenersi agli insegnamenti già enunciati altrove da questa Corte, circa la necessità che il giudizio in punto di riconoscimento della protezione umanitaria sia frutto di una valutazione comparativa tra integrazione sociale raggiunta in Italia e situazione del ricorrente con riferimento al Paese d’origine, ha denegato il riconoscimento reclamato sul presupposto che, avuto riguardo alla vicenda personale del medesimo, non è ravvisabile nella specie “l’esistenza di particolari rischi o pregiudizi che al di là dell’ambito giustificante il riconoscimento della protezione internazionale… potrebbero motivare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, risultando carente qualsiasi allegazione in fatto che possa essere ricondotta alle previsioni del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, ovvero alle altre fonti da cui si ricava la nozione in senso ampio di protezione umanitaria”.

In tal modo il giudicante ha inteso evidenziare che, in difetto di un’allegazione specifica sul punto volta a rappresentare che il rimpatrio avrebbe comportato una compromissione dei diritti fondamentali del ricorrente costitutivi dello statuto della sua dignità personale, il giudizio comparativo non poteva sortire che un esito sfavorevole per il ricorrente, sicchè la censura che questi declina con il motivo si rivela eccentrica rispetto al decisum e si risolve a ben vedere nella mera sollecitazione a rinnovare il sindacato meritale.

5. il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

6. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria. Doppio contributo se dovuto.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della I sezione civile il 24 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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