Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14409 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. I, 08/07/2020, (ud. 24/01/2020, dep. 08/07/2020), n.14409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4488/2019 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Roma presso la

cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso

dall’avvocato Marco Cavicchioli;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1165/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/1/2020 dal Cons. Dott. MARULLI Marco.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.A., cittadino nigeriano, ricorre a questa Corte avverso l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino, attinta dal medesimo ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19 e art. 702-quater c.p.c., ne ha respinto il gravame contro il diniego in primo grado delle misure di protezione internazionale ed umanitaria e ne chiede la cassazione sul rilievo 1) della violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 8 e art. 14, lett. b), e D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, avendo il decidente escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato per motivi religiosi senza procedere ai doverosi approfondimenti istruttori, quantunque fosse nota la situazione di persecuzione vissuta in Nigeria dai cristiani; 2) della violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il decidente omesso di pronunciarsi sulla domanda intesa a riconoscere al ricorrente la protezione sussidiaria per il grave pericolo di essere sottoposto a violenze, torture o atti disumani e degradati in caso di rientro nel paese di origine; 3) della violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, avendo il decidente escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata nell’area di provenienza (regione di Bauchi) attraverso una mera affermazione di principio senza adempiere al dovere di cooperazione istruttoria, in particolare citando i report delle organizzazioni internazionali non meglio specificati quanto al loro contenuto, utilizzando fonti non attuali e non richiamando i dati forniti dalla Commissione Nazionale; 4) della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, avendo il decidente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria quantunque la situazione di violenza generalizzata presente nel paese di provenienza, posta in bilanciamento con l’elevato livello di integrazione sociale raggiunto nel nostro paese, legittimasse il suo riconoscimento; 5) della violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 7, e art. 115 c.p.c., avendo il decidente assunto le proprie determinazioni in forza dell’acquisizioni officiosa di elementi di prova non sottoposti al preventivo contraddittorio tra le parti.

Non ha svolto attività difensiva il Ministero intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Il primo motivo è infondato, posto che, allorchè, come qui, la narrazione compiuta dal ricorrente non si reputi credibile in quanto le motivazioni della sua fuga sono frutto di “una acquisizione imprecisa di notizie ed informazioni dello stesso assemblate al fine di ricostruire un vissuto che è però estraneo a quello reale”, l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria postula la credibilità del narrante, sicchè esso “non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi” (Cass., Sez VI-I, 20/12/2018, n. 33096).

2. Il secondo motivo è del pari infondato, poichè, sul trascritto giudizio di inattendibilità, è da ritenere che la domanda asseritamente pretermessa, abbia formato oggetto di un rigetto implicito, costituendo la credibilità del ricorrente presupposto indefettibile per l’accesso alle reclamate misure.

3. Il terzo motivo è smentito dalla realtà processuale, poichè, pur accedendo alla tesi che, anche nel difetto di credibilità del ricorrente, rende doveroso il chiesto approfondimento istruttorio quando si invochi la fattispecie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il decidente ne ha motivatamente escluso la sussistenza dei presupposti, tra l’altro, “alla luce delle notizie acquisibili da fonti internazionali” – che la sentenza si dà cura di citare per esteso – “che consentono di individuare le zone di instabilità in aree ben circoscritte a tre Stati del nord (Borno, Yobe e Adamawa)”.

4. Nè il contrario è argomentabile alla stregua di quanto opposto, vuoi perchè alla loro citazione il decidente ha provveduto riassumendone anche il contenuto; vuoi, ancora, perchè il preteso difetto di attualità non è significativamente apprezzabile, non indicando il deducente alcuna altra fonte più recente; vuoi, infine, perchèla Commissione nazionale non è l’esclusiva titolare del potere di acquisire i dati, rendendosi essi direttamente disponibili agli operatori (Cass., Sez. I, 11/11/2019, n. 29056).

5. Il quarto motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi. La Corte d’Appello, senza per vero incorrere nell’errore denunciato, ma anzi mostrando di attenersi agli insegnamenti già enunciati altrove da questa Corte, circa la necessità che il giudizio in punto di riconoscimento della protezione umanitaria sia frutto di una valutazione comparativa tra integrazione sociale raggiunta in Italia e situazione del ricorrente con riferimento al Paese d’origine, ha denegato il riconoscimento reclamato sul presupposto che, avuto riguardo alla vicenda personale del – e pur senza porne in rilievo l’inattendibilità – non sono ravvisabili nella specie “situazioni personali dalle quali emergano inequivocabilmente una serie di controindicazioni al rimpatrio”, a tal fine non risultando significativa l’allegazione della condizione di complessivo degrado sociale in cui versa il paese di provenienza e neppure il livello di integrazione sociale raggiunto dal ricorrente nel nostro paese.

In tal modo il giudicante ha inteso evidenziare che, in difetto di un’allegazione specifica sul punto volta a rappresentare che il rimpatrio avrebbe comportato una compromissione dei diritti fondamentali del ricorrente costitutivi dello statuto della sua dignità personale, il giudizio comparativo non poteva che sortire che un esito sfavorevole per il ricorrente, sicchè la censura che questi declina con il motivo si rivela eccentrica rispetto al decisum e si risolve a ben vedere nella mera sollecitazione a rinnovare il sindacato meritale.

6. Il quinto motivo, dato atto che nella sua prospettazione il ricorrente si limita a censurare il fatto, ma si astiene dall’ottemperare al riflesso onere di allegazione, non indicando quali fonti più aggiornate avrebbero potuto essere consultate dal decidente, è infondato dovendo qui confermarsi la convinzione, già esternata da questa Corte, secondo cui “l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (“country of origin information”) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione” (Cass., Sez. I, 11/11/2019, n. 29056).

7. Il ricorso va dunque respinto.

8. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria. Doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 1^ sezione civile, il 24 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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