Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14406 del 05/06/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 14406 Anno 2018
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 24731-2016 proposto da:
CERRA ERMELINDA, elettivamente domiciliata in ROMA,
CORSO VITTORIO EMANUELE II 154, presso lo studio
dell’avvocato VINCENZO SPARANO, che la rappresenta e
difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
DELLA ROCCA CAROLINA, domiciliata in ROMA presso la
Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa
dall’avvocato ALBERTO CERRACCHIO giusta procura in calce al
controricorso;
– con troricorrente avverso la sentenza n. 512/2016 della CORTE D’APPELLO di
SALERNO, depositata il 27/09/2016;

Data pubblicazione: 05/06/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 10/05/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalla ricorrente;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
In data 3 settembre 1996 moriva ab intestato Noschese

Carolina, il fratello Noschese Domenico e la madre Cerra Maria.
Il Noschese e la Cerra donavano a Cerra Ermelinda i diritti
vantati sulla massa ereditaria, che si componeva della metà di
un fondo rustico in Pontecagnano e della metà di un
appartamento in Salerno alla via Torrione n. 63.
Cerra Ermelinda quindi conveniva in giudizio la Della Rocca
dinanzi al Tribunale di Salerno al fine di procedere allo
scioglimento della comunione.
All’esito del giudizio, il Tribunale con la sentenza n.
2391/2008 dichiarava aperta la successione legittima di
Noschese Gennaro, e dato atto dell’acquisto da parte
dell’attrice delle quote ereditarie di Cerra Maria e Noschese
Domenico, attribuiva alla Della Rocca la quota
dell’appartamento in Salerno, ed alla Cerra la quota del
terreno, previo pagamento a carico della Della Rocca di un
conguaglio nonché della somma corrispondente alla quota dei
frutti dovuti per il godimento esclusivo dell’appartamento.
Avverso tale sentenza proponeva appello la Della Rocca, e
la Corte d’Appello di Salerno con la sentenza n. 512 del 27
settembre 2016, in parziale accoglimento del gravame,
confermava la ripartizione dei beni operata dal Tribunale,
riducendo tuttavia l’entità del conguaglio dovuto all’appellante,
rigettando altresì la domanda di rendiconto, attesa la
sussistenza del diritto di abitazione in favore del coniuge del de
cuius.

Ric. 2016 n. 24731 sez. M2 – ud. 10-05-2018 -2-

Gennaro, lasciando a se superstiti la moglie Della Rocca

Infatti, doveva trovare accoglimento l’appello principale con
il quale si lamentava il mancato riconoscimento del diritto di
abitazione sull’appartamento che risultava essere la casa
coniugale del

de cuius,

dovendosi dare seguito a quanto

statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4847/2013 che

secondo comma dell’art. 540 c.c. anche in caso di successione
ab intestato.
Per l’effetto, dal valore dell’appartamento, da considerare
ai fini della distribuzione tra i coeredi, secondo le quote di
legge, andava detratto il valore del diritto di abitazione che si
configura alla stregua di un prelegato in favore del coniuge
superstite, diritto di abitazione che poteva essere determinato
facendo applicazione delle tabelle facilmente rinvenibili su
Internet, dalle quali era dato ricavare che il diritto de quo era
commisurabile al 45 % del valore della piena proprietà.
Una volta detratto tale valore, meritava poi accoglimento
anche l’altro motivo dell’appello principale, con il quale si
contestava la condanna al pagamento dei frutti in favore della
controparte, posto che la sussistenza del diritto di abitazione
costituiva un titolo legittimante il godimento del bene, senza
che nulla fosse dovuto agli altri coeredi per la fruizione della
casa coniugale anche dopo la morte.
Non poteva poi essere censurata la decisione di attribuire
alla Cerra la quota indivisa del fondo, essendo questa caduta in
successione, a nulla rilevando poi che la residua quota fosse di
proprietà esclusiva della Della Rocca.
Quanto alla stima dei beni, atteso che entrambe le parti
avevano mosso varie contestazioni alla valutazione effettuata
dal CTU in primo grado, la Corte d’Appello reputava che
l’ausiliario aveva proceduto ad una corretta e puntuale

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ha appunto dettato le regole per riconoscere il diritto di cui al

determinazione del valore dei beni, individuando tutti i vari
parametri idonei ad incidere sul calcolo.
Per l’effetto, provvedeva a rideterminare i conguagli, previa
detrazione dalla massa da dividere del diritto di abitazione in
favore della Della Rocca.

dal giudice di primo grado e poneva anche quelle di appello a
carico della massa.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Cerra
Ernnelinda sulla base di tre motivi.
Della Rocca Carolina resiste con controricorso.
Preliminarmente occorre dare atto che non risulta evocato
in giudizio Noschese Domenico, sebbene parte del giudizio di
appello, tuttavia si ritiene che tale omissione non impedisca di
poter pervenire comunque alla decisione della controversia.
In primo luogo, va infatti esclusa la qualità di litisconsorte
necessario in capo al predetto, posto che risulta pacificamente
dagli atti di causa che il Noschese, ancorchè ab origine erede
del de cuius, ha successivamente donato i propri diritti
successori alla odierna ricorrente, sicchè deve darsi seguito alla
costante giurisprudenza di questa Corte per la quale la qualità
di litisconsorte necessario compete al cessionario della quota e
non all’erede originario (cfr. da ultimo Cass. n. 12242/2011).
A ciò deve poi aggiungersi che, anche laddove si volesse
diversamente opinare, occorre ribadire che il rispetto del diritto
fondamentale ad una ragionevole durata del processo
(derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13
della Convenzione europea dei diritti del l’uomo e delle libertà
fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127
cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano
di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali

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Infine confermava le statuizioni in punto di spese adottate

rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile
dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè
non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in
particolare, dal rispetto effettivo del principio del
contraddittorio, espresso dall’art. 101 cod. proc. civ., da

partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111
Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto
finale è destinato ad esplicare i suoi effetti ( Cass. 17 giugno
2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez.
Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009,
n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass.,
Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).
In applicazione di detto principio, essendo il presente
ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo)
prima facie infondato, appare superflua la fissazione di un
termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti della
predetta parte, atteso che la concessione di esso si
tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un
allungamento dei termini per la definizione del giudizio di
cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia
dell’effettività dei diritti processuali delle parti.
Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione dell’art.
112 c.p.c. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio, in quanto la sentenza impugnata, nel riconoscere il
diritto di abitazione in favore della convenuta ha rideterminato
autonomamente il valore dell’asse relitto, senza dare seguito
alle concordi richieste delle parti di disporre un rinnovo della
CTU, ricavando gli elementi per la valutazione del diritto di
abitazione da dati privi di certezza scientifica.
Il motivo è evidentemente destituito di fondamento.

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sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla

Ed, infatti, esclusa in maniera evidente la dedotta
violazione dell’art. 112 c.p.c., il quale si configura
esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e
non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali
l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di

appello ha adeguatamente evidenziato le ragioni in base alle
quali andava mantenuta ferma la stima effettuata da parte del
CTU nominato in primo grado, ritenendo quindi prive di
fondamento le critiche mosse da entrambe le parti, di guisa
che la censura si risolve in una non consentita critica ad un
apprezzamento rimesso alla discrezionalità del giudice di
merito, peraltro nella fattispecie, anche corredato di ampia e
coerente motivazione.
Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione di legge
(senza peraltro indicare quale sia la norma violata) nonché
l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione
alla determinazione del valore del diritto di abitazione attribuito
a titolo di prelegato in favore della controricorrente.
Oltre a reiterare la doglianza relativa alla mancata
ammissione della CTU in appello, si lamenta che la Corte
d’Appello, oltre ad avvalersi di elementi privi di certezza ed
attendibilità, quali i dati ricavabili da siti internet, avrebbe
parificato il diritto di abitazione a quello di usufrutto quanto alla
stima, ancorchè il primo abbia un valore minore rispetto al
secondo.
Anche tale motivo va disatteso, risolvendosi ad avviso della
Corte del pari in una non ammissibile richiesta di procedere ad
una rivalutazione del merito, contestando in realtà valutazioni
insindacabili e proprie del giudice di merito.

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motivazione (cfr. da ultimo Cass. n. 13716/2016), il giudice di

Ed, invero, sebbene la disciplina dell’usufrutto e quella del
diritto di abitazione divergano in parte, per attribuire il
legislatore all’usufruttuario facoltà maggiori rispetto a quelle
assegnate al titolare del diritto di abitazione, tuttavia la
divergenza di valore tra i due diritti non può non tenere conto

diritto di abitazione.
Nel caso di specie trattasi di un immobile pacificamente
destinato a casa coniugale, e peraltro di una quota indivisa del
bene, di talché, tenuto conto della obiettiva attitudine del bene
stesso a soddisfare le esigenze abitative del coniuge superstite,
palesandosi del tutto inverosimile che il bene possa essere
distratto da tale finalità, considerata anche la circostanza che si
tratta di bene ad uso abitativo, risulta evidente che le utilità
ritraibili dall’usufruttuario appaiono sostanzialmente identiche a
quelle che può trarre l’abitatore, di modo che nel caso in
esame, le pur sussistenti differenze di disciplina, non appaiono
tali da indurre a ravvisare anche una differente valutazione del
diritto dal punto di vista della sua quantificazione economica,
risultando quindi non irrazionale e non contestabile la scelta
della Corte di Appello di avvalersi dei criteri usati per
determinare il valore dell’usufrutto, per pervenire al valore del
prelegato spettante alla convenuta.
Infine il terzo motivo lamenta l’omessa disamina di un fatto
decisivo per il giudizio, osservando che con l’appello incidentale
erano state poste delle contestazioni ai criteri dei quali si era
avvalso il CTU per la stima degli immobili caduti in successione.
Trattasi però di affermazione che risulta palesemente
contraddetta dalla lettura della sentenza impugnata, laddove la
Corte di merito, alla pag. 9, ha espressamente ritenuto che gli
elementi addotti dalle parti non erano idonei ad inficiare la

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anche delle peculiarità del bene sul quale viene a costituirsi il

valutazione del CTU, dovendosi quindi escludere che vi sia
stata un’omessa disamina delle circostanze dedotte dalla
ricorrente.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013),
che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico
di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle
spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi
C 3.200,00 di cui C 200,00 per esborsi, oltre spese generali
pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002,
inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del
contributo unificato dovuto per il ricorso~ a norma
dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 10 maggio 2

dispositivo.

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