Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14404 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/06/2017, (ud. 28/04/2017, dep.09/06/2017),  n. 14404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17371-2013 proposto da:

NIDOCOMB SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA RAFFAELE CAVERNI

16, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO GIANSANTE, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIANNI IERARDI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GUIDONIA MONTECELIO, elettivamente domiciliato in ROMA

VIALE DELLE PROVINCE 114 B/23, presso lo studio dell’avvocato

D’AMICO PAOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato ELVIRA DI MEZZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 135/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 22/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RITENUTO

che la NIDOCOMB s.r.l. impugnava, innanzi alla CTP di Roma, gli avvisi di accertamento ICI notificati il 25/7/2007 dal Comune di Guidonia Montecelio, per gli anni 2002, 2003, 2004 e 2005, oltre sanzioni ed interessi, deducendo, tra l’altro, la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 non essendo la società nè proprietaria, nè titolare di altro diritto reale sul terreno soggetto ad imposizione;

che il Giudice adito respingeva i riuniti ricorsi della contribuente e la CTR del Lazio confermava l’appellata sentenza di primo grado affermando, per quanto qui d’interesse, che la contribuente “non contesta di svolgere sul terreno oggetto dell’imposta la propria attività, ma nega di esserne il proprietario o titolare di altri diritti reali”, senza tuttavia chiarire a che titolo occupa l’immobile e perchè non ha richiesto la rettifica della intestazione catastale del cespite;

che la società contribuente ricorre per la cassazione della sentenza con un motivo, illustrato con memoria, mentre l’intimato Comune resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 omesso esame del decisivo contenuto dei ricorsi proposti avanti alla CTP, correlato alle questioni dibattute nel giudizio di appello, giacchè la CTR non ha tenuto conto del fatto che la contribuente ha sempre sostenuto “di non essere proprietaria nè titolare di altri diritti reali (così come previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 per l’applicazione dell’imposta) sull’immobile oggetto dell’accertamento da parte del Comune di Guidonia Montecelio”, che non è sufficiente, ai fini qui considerati, la mera intestazione catastale del bene, la quale di per sè “non certifica nè la proprietà, nè il godimento di altro diritto reale”, e che neppure assume rilievo conclusivo lo svolgimento “sul terreno di proprietà della ASL RM G” della propria attività economica, com’è d’altronde ricavabile dalla

certificazione negativa rilasciata dall’Agenzia del territorio;

che, invero, il D.Lgs. n. 504 del 1992, all’art. 1, comma 2, prevede quale presupposto dell’imposta in esame “il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli”, all’art. 3, nell’elencare i soggetti passivi dell’ICI, fa riferimento “al proprietario degli immobili indicati nel comma 2 “della norma sopra indicata ed, inoltre, all’art. 5, fa espresso riferimento ai fabbricati iscritti in catasto, ove rilevano i soli titolari di diritti reali;

che questa Corte (Cass. n. 14420/2010) ha avuto modo di affermare che “pur se il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può – in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti – essere provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali, che hanno in concrete circostanze soltanto il valore di semplici indizi. Tuttavia l’intestazione di un immobile ad un determinato soggetto fa sorgere comunque una presunzione de facto sulla veridicità di tali risultanze” ponendo a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria;

che, dunque, la normativa ICI collega la titolarità passiva dell’imposta direttamente alla qualità di proprietario, o di titolare di altri diritti reali, e su costoro, quindi, grava l’onere della prova diretta all’esenzione dal pagamento dell’imposta (e cioè la carenza del possesso che costituisce una condizione di fatto);

che, pertanto, il Comune, una volta rilevato dalle risultanze catastali il titolare del diritto di proprietà dell’immobile, può richiedere allo stesso il pagamento dell’imposta, e ciò risulta legittimamente fatto ove il contribuente non vinca il valore indiziario dei dati contenuti nei registri catastali, dando adeguata dimostrazione di quanto diversamente sostenuto;

che, ad avviso della CTR, la contribuente non ha offerto la prova della mancanza di titolarità del diritto di proprietà del cespite, dimostrazione nella specie imposta dalla circostanza che la società NIDOCOMB risulta intestataria dell’immobile oggetto di imposizione;

che la decisione del giudice di appello si basa su una complessiva valutazione peraltro conforme a quella del giudice di prime cure – del materiale probatorio, nell’ambito della quale risulta puntualmente esaminata anche la certificazione della Conservatoria dei Registri Immobiliari prodotta in giudizio dalla società, per un verso, in quanto la contribuente non indica il titolo in forza del quale utilizza il terreno per svolgervi la propria attività e, per altro verso, in quanto la trascrizione degli atti traslativi è pur sempre adempimento di parte per cui non può escludersi una mancanza di corrispondenza tra registri immobiliari e realtà degli scambi, sicchè del tutto corretto appare il percorso logico che conduce il Giudice di secondo grado a ritenere non superata la presunzione di veridicità delle risultanze catastali;

che, infatti, si tratta dell’incensurabile apprezzamento effettuato dal giudice di merito circa l’idoneità di un documento a determinare con certezza la fondatezza di quanto prospettato dalla contribuente, con la conseguenza che la parte che eventualmente si dolga del ricorso, da parte del giudicante, ad un mezzo di prova piuttosto che ad un altro, al quale ha attribuito maggior forza di convincimento, ha l’onere di indicare gli specifici elementi alla cui stregua andrebbe, invece, difformemente accertata la reale situazione presupposta dall’imposizione fiscale;

che, nella specie, del tutto corretto appare il percorso logico che porta il Giudice di secondo grado a ritenere non superata la presunzione di veridicità delle risultanze catastali, posto che, in questa sede, la ricorrente non può porre un problema di valutazione del materiale probatorio, questione di stretto merito, attingibile, se del caso, sotto il profilo dell’inadeguatezza della motivazione, vizio che per quanto detto non sussiste, in quanto, come questa Corte ha avuto modo di precisare, “La censura di vizio motivazionale deve essere formulata in modo chiaro e adeguato a porre in evidenza, sulla base del ragionamento svolto dal giudice del riesame, gli errori di logica giuridica che rendono la motivazione incongrua o incoerente e non può invece consistere nella deduzione di un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello ritenuto dai giudici del merito” (Cass. n. 3186/2006);

che, infine, sull’apprezzamento della prova non si è formato alcun giudicato per cui le decisioni di questa Corte, favorevoli alla contribuente, riportate nelle memoria ex art. 378 c.p.c., non appaiono decisive, e del resto parte ricorrente riconosce che il terreno venne iscritto in catasto a nome della società NIDOCOMB e del concedente “disciolto Pio Istituto di S. Spirito e degli Ospedali Riuniti”, e si limita a dedurre che la conseguente presunzione a suo carico sarebbe stata vinta “dalla certificazione dell’Agenzia del territorio – Ufficio Provinciale di Roma 1”, documentazione che, per quanto innanzi detto, non è stata ritenuta decisiva dal Giudice di appello mancando un diverso titolo in forza del quale il terreno viene utilizzato dalla predetta società;

che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

 

LA CORTE, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 1.500,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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