Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14401 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17806-2018 proposto da:

D.S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIORGIO SAGLIOCCO;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10571/8/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 13/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI

RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO

che la contribuente D.S.L. propone ricorso per cassazione avverso una sentenza della CTR della Campania, di accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro una decisione della CTP di Caserta, che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso un avviso di accertamento IRPEF 2008; la CTR aveva ritenuto l’avviso impugnato tempestivo, ritenendo ad esso applicabile il raddoppio dei termini connesso alla qualificazione delle violazioni riscontrate come reati.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a tre motivi;

che, con il primo motivo, la contribuente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che aveva formato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la CTR aveva escluso la tardività della notifica dell’avviso di accertamento, notificato prima del 2 settembre 2015, avendo ritenuto irrilevante l’adempimento della denuncia penale, senza avere chiarito in concreto le ragioni per le quali aveva ritenuto acquisito al giudizio la configurabilità di una delle ipotesi di reato previste dal D.Lgs. n. 74 del 2000, al fine di verificare il legittimo utilizzo del raddoppio dei termini; invero, conformemente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, il raddoppio dei termini era configurabile solo se fossero stati obiettivamente riscontrabili, da parte di un pubblico ufficio, gli elementi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgenza dell’obbligo della denuncia penale; pertanto la CTR avrebbe dovuto vagliare in via incidentale la presenza degli estremi dell’obbligo di denuncia penale, mediante un giudizio di prognosi postuma;

che, con il secondo motivo di ricorso, la contribuente lamenta violazione art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR statuito in ordine ad una censura da lei formulata nell’atto di appello, intesa a far rilevare la nullità dell’avviso di accertamento impugnato, in assenza di valida delega alla sottoscrizione al funzionario incaricato della firma dell’avviso di accertamento impugnato;

che, con il terzo motivo di ricorso, la contribuente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la sentenza impugnata statuito in ordine alla censura da lei mossa, intesa a far valere l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato per violazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., circa la sussistenza del maggior reddito conseguito dalla s.r.l. “PINK NET”, di cui essa contribuente era socia al 90% del capitale e che era stato a lei attribuito, nella percentuale anzidetta, trattandosi di società a ristretta base sociale; invero l’ufficio era tenuto a provare l’esatta quantità di utile transitata dalla società nella sfera patrimoniale del socio; inoltre non sussisteva alcuna prova che gli utili ritenuti non contabilizzati dalla società nel 2008 fossero stati percepiti dai soci proprio in quel periodo;

che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;

che il primo motivo di ricorso è infondato;

che invero il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito dalla L. n. 248 del 2006, ha integrato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, introducendo un comma 3, alla stregua del quale, in caso di violazione di norme, per le quali c’era obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento erano raddoppiati, relativamente al periodo d’imposta in cui era stata commessa la violazione;

che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247 del 2011 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine alla norma da ultimo citata;

che, sulla base di detta pronuncia, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 11207 del 2017; Cass. n. 20368 del 2107; Cass. n. 20435 del 2017) è concorde nel ritenere che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. ex art. 405 c.p.p. mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, tenuto altresì conto del regime del doppio binario, al quale deve ritenersi conformato il rapporto fra il giudizio penale ed il processo tributario;

che le successive modifiche legislative, intervenute in materia con il D.Lgs. n. 128 del 2015 e con la L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130 e 131, non hanno alcuna rilievo nella specie in esame, atteso che l’avviso di accertamento impugnato è stato notificato il 28.8.2015 e quindi prima del 1 gennaio 2016, con conseguente applicabilità alla fattispecie in esame della disciplina anteriore, quale regolata dal citato D.L. n. 223 del 2006;

che pertanto, nella specie, correttamente la CTR ha ritenuto legittimo il raddoppio dei termini operato dall’ufficio procedente, per avere quest’ultimo riscontrato nel comportamento tenuto dalla contribuente l’astratta configurabilità di fatti comportanti l’obbligo della denuncia penale, a prescindere dall’effettiva presentazione

della denuncia penale e dall’inizio dell’azione penale, potendosi ravvisare nella specie quanto meno il reato di dichiarazione infedele;

che è invece fondato il secondo motivo di ricorso, con il quale la contribuente lamenta che la CTR ha omesso di pronunciarsi in ordine ad una censura da lei espressamente formulata nell’atto di appello ed intesa a far rilevare la nullità dell’avviso di accertamento impugnato, in assenza di valida delega alla sottoscrizione conferita al funzionario incaricato della firma dell’avviso di accertamento impugnato;

che, invero, l’esame del fascicolo di merito ha confermato quanto rilevato dalla contribuente, di avere cioè ritualmente proposto in grado di appello il motivo di impugnazione in esame; e, dall’esame della sentenza della CTR, non è dato rinvenire alcuna pronuncia al riguardo; nè può affermarsi che ciò costituisca rigetto implicito del medesimo, siccome completamente estraneo ed avulso rispetto alle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata in ordine al primo motivo di ricorso, concernente il raddoppio dei termini per l’accertamento (cfr. Cass. n. 16170 del 2018);

che è altresì fondato il terzo motivo di ricorso, con il quale la contribuente lamenta che la CTR abbia omesso di pronunciarsi in ordine alla censura da lei mossa nell’atto di appello, intesa a far valere l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato per violazione del principio dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., circa la sussistenza del maggior reddito conseguito dalla s.r.l. “PINK NET”, di cui la contribuente era socia al 90% del capitale e che le era stato attribuito, nella percentuale anzidetta, trattandosi di società a ristretta base sociale;

che invero, anche con riferimento a detta censura, l’esame del fascicolo di merito ha confermato quanto rilevato dalla contribuente, di aver cioè ritualmente proposto detta censura in grado di appello; e dall’esame della sentenza della CTR non è dato rinvenire alcuna pronuncia al riguardo; nè può affermarsi che ciò costituisca rigetto implicito della medesima, trattandosi di censura del tutto diversa rispetto alla prima, concernente il raddoppio dei termini per l’accertamento, sulla quale la sentenza impugnata si è invece pronunciata (cfr., in termini, Cass. n. 16170 del 2018);

che, pertanto, rigettato il primo motivo, il ricorso va accolto con riferimento ai restanti due motivi, in ordine ai quali la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Campania in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte, respinto il primo motivo di ricorso, accoglie i restanti due, con riferimento ai quali cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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