Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14400 del 27/05/2019

Cassazione civile sez. VI, 27/05/2019, (ud. 31/01/2019, dep. 27/05/2019), n.14400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2473/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

Compagnie Frangaise d’Assurance pour le Commerce Exterieur S.A.,

rappresentata e difesa dagli Avv.ti Filippo Sciuto, Ruggero Barile e

Carlo Scofone, con domicilio eletto presso lo studio del primo in

Roma, via Emanuele Gianturco, n. 6;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, n. 3811/2016,

pubblicata il 26 ottobre 2016;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 31 gennaio

2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di ripetizione d’indebito proposta, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, dalla Compagnie Frangaise d’Assurance pour le Commerce Exterieur, in relazione all’importo di Euro 61.448,41 acquisito dall’Ufficio in escussione di polizza fideiussoria emessa dalla predetta compagnia nell’interesse della Foods & Fruits S.r.l., a garanzia della restituzione delle somme rimborsate a quest’ultima a titolo di eccedenza d’imposta, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 30 e 38-bis, per l’anno 1998.

La Corte ha infatti accolto la tesi della società appellante secondo cui, data l’autonomia del contratto di garanzia fideiussoria rispetto alla pretesa tributaria, la scadenza della prima, fissata al 10/1/2004, impediva l’escussione della polizza in quanto fondata su avviso di accertamento successivamente notificato al contribuente, restando in particolare indifferente, il rapporto di garanzia, alla proroga dei termini di accertamento disposta dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 10.

2. Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resiste la Compagnie Frarnaise d’Assurance pour le Commerce Exterieur S.A., depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redato proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

4. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 38-bis e 57, nonchè degli artt. 1339 e 1362 c.c. ss., per avere la Corte di merito ritenuto la L. n. 289 del 2002, art. 10, che ha prorogato di 24 mesi il termine previsto per l’esercizio della potestà accertatrice, ininfluente ed inidoneo a prorogare l’efficacia della garanzia di restituzione del rimborso Iva.

Sostiene che, essendo scopo della garanzia consentire il recupero delle somme rimborsate in forma accelerata, a seguito dei necessari accertamenti, la durata della polizza non può essere inferiore al tempo assegnato all’Agenzia per eseguire i controlli, accertare il credito d’imposta rimborsato ed escutere conseguentemente il garante.

2. La censura è infondata.

Questa Corte, in fattispecie del tutto analoghe, ha già più volte affermato il principio secondo cui “la polizza fideiussoria di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, stipulata al fine di garantire, in favore dell’Amministrazione finanziaria, la restituzione delle somme da questa indebitamente versate ai contribuenti in sede di procedura di rimborso anticipato dell’IVA, costituisce un contratto autonomo di garanzia la cui durata è normalmente collegata con i tempi di accertamento dell’imposta. Ne consegue che, ove una norma di legge, sopravvenuta rispetto alla data di stipulazione del contratto, proroghi i termini di accertamento dell’imposta in favore dell’Amministrazione finanziaria, tale proroga non si riflette anche sulla durata del relativo contratto di garanzia, a meno che lo stesso non contenga una diversa previsione” (Cass. 28/03/2017, n. 7884; 28/07/2017, n. 18773; 20/04/2018, n. 9826; 05/07/2018, n. 17613; 19/07/2018, n. 19213; 05/10/2018, n. 24530; 29/11/2018, nn. 30836 e 30837). A tale insegnamento, fondato su ampi argomenti cui può senz’altro rinviarsi, si intende qui dare continuità, mettendo conto in particolare rimarcare che, come evidenziato negli arresti citati:

– il protrarsi della garanzia in conseguenza dell’allungamento di due anni dei tempi dell’accertamento tributario dovrebbe trarre il proprio fondamento – nell’assunto dell’Agenzia delle entrate – da una norma di legge sopravvenuta alla stipulazione del contratto (appunto, la L. n. 289 del 2002, art. 10);

– per di più, essendo beneficiario della garanzia la stessa amministrazione finanziaria, si perverrebbe all’assurdo risultato di consentire, in sostanza, ad una delle parti contraenti di protrarre unilateralmente ed a proprio vantaggio la durata dell’obbligazione di garanzia, in totale spregio del contratto e del principio, solennemente affermato nell’art. 1372 c.c., secondo cui quest’ultimo “ha forza di legge tra le parti”;

– invero, la polizza fideiussoria di garanzia dei rimborsi IVA si fonda pur sempre su di un atto di autonomia privata, con la conseguenza che, in assenza di un’esplicita previsione contrattuale che colleghi la durata della garanzia ai termini fissati dalla legge per l’accertamento tributario, l’obbligazione del garante non può che rimanere fissata nei termini consensualmente definiti;

– peraltro, benchè l’interpretazione negoziale non sia necessariamente vincolata al senso letterale delle parole (essendo necessario ricercare la comune intenzione delle parti), è altresì vero che il senso univoco del testo (come, nel caso di specie, in ordine alla determinazione dei termini temporali della garanzia) può essere letto come esemplificativo, così da svincolare le obbligazioni dal suo esplicito perimetro, solo quando ciò emerga in modo obiettivo dall’intenzione comune delle parti, e non di una sola di esse, ricostruita secondo buona fede (art. 1366 c.c.), con la conseguente necessità di tener conto dell’affidamento riposto, dalla parte controinteressata al superamento del senso letterale delle parole, nella chiarezza dei patti sottoscritti;

– pertanto, nulla autorizza a ritenere – nelle descritte condizioni -che le parti avessero realmente voluto ancorare la garanzia prestata agli stessi termini di cui alla L. n. 289 del 2002, anzichè alla scadenza espressamente convenuta, anche alla luce della ridetta natura di contatto autonomo di garanzia della polizza in esame.

Nella specie non emergono dalla sentenza elementi fattuali che giustifichino una diversa conclusione sulla reale intenzione dei contraenti.

Diversamente da quanto affermato in ricorso dall’Agenzia e ribadito nella memoria, non può in particolare attribuirsi rilievo nei sensi predetti alla previsione di cui all’art. 2 delle condizioni generali di polizza (trascritta in ricorso).

A prescindere dal rilievo che la clausola non risulta espressamente esaminata in sentenza e il ricorso non attinge la ricognizione del fatto con specifico motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è dirimente comunque osservare che il termine di validità della garanzia è infatti in essa specificamente indicato nel “quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione” e viene fatta salva (soltanto) “la sospensione del termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 1, u.p., per il periodo indicato in premessa”, ossia “dal 01/01/2004 al 10/01/2004”, previsione che certamente non autorizza a ritenere che le parti avessero voluto estendere la durata della garanzia anche in riferimento a qualsivoglia futuro provvedimento di proroga del potere di accertamento.

3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dell’amministrazione ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo unificato da parte dell’amministrazione medesima.

Come chiarito, infatti, da questa Corte, con ferma giurisprudenza, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1-quater, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. Sez. U. 08/05/2014, n. 9938; v. anche Cass. 29/01/2016, n. 1778; Cass. 14/03/2014, n. 5955).

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.400 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019

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