Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14399 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14669-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

G&P CAR SERVICE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIA SCARDIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3298/24/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA PUGLIA SEZIONE DISTACCATA di LECCE, depositata

l’08/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI

RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Puglia, sezione staccata di Lecce, di parziale accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente s.r.l. “G. & P. CAR SERVICE” avverso una sentenza della CTP di Lecce, che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto da quest’ultima avverso avviso di accertamento IRES, IVA ed IRAP 2009, basato esclusivamente sui dati degli studi di settore; la sentenza di primo grado aveva ridotto i ricavi della società contribuente da Euro 64.369,00 ad Euro 45.000,00 e la CTR aveva a sua volta ulteriormente ridotto detti ricavi ad Euro 35.000,00.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a tre motivi;

che, con il primo motivo, l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente, perplessa e contraddittoria, tale da rendere nulla la sentenza impugnata, in quanto la motivazione non consentiva di ricostruire l’iter logico seguito dalla CTR per giungere alla rideterminazione dei ricavi accertati; l’accertamento era stato originato da un pvc della gdf e, nello studio di settore presentato, la stessa società contribuente aveva rilevato che nel 2009 l’attività era stata svolta per soli 3 mesi ed aveva altresì dichiarato di appartenere al 100% al cluster n. 3 (aree ad elevata urbanizzazione con notevole grado di benessere, istruzione superiore e servizi terziari evoluti); pertanto la motivazione della sentenza era affidata a clausole di mero stile, le quali, seppur graficamente esistenti, non rendevano percepibile il fondamento della decisione adottata;

che, con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza impugnata non aveva fatto buon governo del principio della disponibilità delle prove e del corretto riparto dell’onere probatorio, avendo fatto riferimento ad un fatto notorio, quale la realtà economica di Lecce, nella quale la società contribuente operava e che la stessa UE avrebbe inserito nelle aree svantaggiate, senza fornire alcun riferimento ad atti o provvedimento dell’UE idonei a comprovare detta affermazione;

che, con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonchè del D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la CTR aveva ridotto il reddito della società contribuente, così come ricostruito nell’avviso di accertamento impugnato, pure a fronte di una gestione incongrua ed antieconomica, quale risultante dall’applicazione dello studio di settore e pur non avendo la società contribuente ottemperato all’invito ad essa rivolto, inteso ad instaurare il contraddittorio; invero l’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore costituiva un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza poteva essere valutata solo in esito al contraddittorio, da attivare obbligatoriamente con il contribuente; ed era quest’ultimo tenuto a provare la sussistenza di condizioni tali da giustificare l’esclusione dell’impresa dall’applicazione degli standard dello studio di settore, non potendosi addossare all’amministrazione finanziaria ulteriori incombenti probatori;

che l’intimata si è costituita con controricorso ed ha altresì presentato memoria;

che il primo motivo di ricorso, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta motivazione apparente, perplessa e contraddittoria, è infondato;

che invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 16599 del 2016; Cass. n. 33487 del 2018)), una motivazione può qualificarsi apparente allorchè essa, pur essendo graficamente e materialmente esistente, come parte del provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, in quanto si esplica in argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito dal giudice per la formazione del suo convincimento, si da non consentire alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento dal medesimo seguito; inoltre la motivazione può qualificarsi perplessa ed incomprensibile quando la stessa si situa al di sotto del c.d. “minimo costituzionale”, intesa quale contenuto minimo che deve avere la motivazione, quale componente indefettibile di ogni provvedimento giurisdizionale;

che, nella specie, nessuna delle gravi carenze sopra descritte è ravvisabile nella motivazione della sentenza impugnata, avendo la stessa ritenuto di ridurre il reddito imponibile della società contribuente per il 2009 e di discostarsi pertanto dai dati degli studi di settore, facendo riferimento alla realtà economica del Comune di Lecce, nel quale la società contribuente operava, ritenuta area svantaggiata dalla stessa UE ed alla circostanza che nel 2009 la medesima società aveva operato solo per un breve lasso temporale;

che i restanti due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro, sono al contrario fondati;

che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza sussiste solo in esito al contraddittorio che, in via obbligatoria ed indefettibile, occorre instaurare con il contribuente, a pena della nullità dell’intero procedimento;

che, nell’ambito di detto contraddittorio, grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza di condizioni tali da giustificare l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti, ai quali poter applicare gli standards ipotizzati nello studio di settore, pur restando il giudice tributario in ogni caso libero di valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, quanto la controprova offerta dal contribuente (cfr. Cass. n. 769 del 2019);

che la sentenza impugnata non ha applicato alla fattispecie i principi sopra enunciati;

che, invero, la CTR ha ridotto i ricavi della società contribuente per il 2009 erroneamente disattendendo i dati desumibili dagli studi di settore applicabili alla società contribuente; invero quest’ultima, pur regolarmente invitata al contraddittorio, circostanza questa pacifica in atti, non aveva ottemperato a detto invito, in tal modo omettendo di esporre, come sarebbe stato suo onere, i concreti elementi, in vista dei quali non erano applicabili i dati dello studio di settore; inoltre, nello studio di settore presentato dalla società contribuente, era stato già considerato che nell’anno di riferimento (2009) l’attività era stata esercitata per soli mesi 3, si che nessuna concreta valenza poteva essere attribuita a tale ultima circostanza; inoltre la CTR aveva fatto riferimento ad un dato geografico, relativo alla città di Lecce, dove operava la società contribuente, ritenuta area svantaggiata, facendo un generico riferimento ad un non meglio dato acquisito presso l’U.E.; pertanto la CTR non ha rilevato che spettava alla società contribuente fornire elementi idonei a paralizzare la pretesa dell’ufficio ed a superare la prova presuntiva nascente dall’accertamento standardizzato;

che, pertanto, la CTR ha ritenuto inattendibile uno studio di settore sulla base di argomenti non specifici (l’aver ritenuto Lecce un’area svantaggiata), ovvero sulla base di argomenti (quali l’avere la società contribuente svolto la sua attività nell’anno di riferimento solo per mesi 3) già tenuto presenti dallo studio di settore di riferimento; inoltre la CTR non ha valutato la circostanza che la società contribuente aveva omesso di attivare il contraddittorio con l’ufficio, non ottemperando in tal modo all’onere su di essa gravante di addurre elementi concreti, tali da giustificare in modo credibile lo scostamento fra lo studio di settore ed i propri effettivi ricavi (cfr. Cass. n. 3415 del 2015); che, conclusivamente, respinto il primo motivo di ricorso, vanno accolti i restanti due motivi, con riferimento ai quali la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Puglia, sezione staccata di Lecce in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie i restanti due motivi, con riferimento ai quali cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Puglia, sezione staccata di Lecce, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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