Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14398 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 15/06/2010), n.14398

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

(1) il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, (2) l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del

Direttore pro tempore, entrambi elettivamente domiciliati in Roma

alla Via dei Portoghesi n. 12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

(1) C.S., residente in (OMISSIS), e (2)

D.T.M.J., residente in (OMISSIS), entrambi elettivamente domiciliati

in Roma alla Via Tacito n. 64 presso l’avv. CARLETTI DANIELA che li

rappresenta e difende, insieme con gli avv. Enrico ALLEGRO e Roberto

RENZELLA (del Foro di Milano), in forza della procura speciale

rilasciata da ciascuno in calce al controricorso;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 55/32/03 depositata il 16 dicembre 2003 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Lombardia;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 marzo 2010

dal Cons. Dott. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle amministrazioni ricorrenti, perorate

dall’avv. Giovanni PALATIELLO (dell’Avvocatura Generale dello

Stato);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato (nel domicilio eletto) il 3 febbraio 2005 a C.S. ed a D.T.M.J. (ricorso depositato il giorno 11 febbraio 2005), il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE e l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che con istanza del 12 gennaio 1998 il C. e la D.T. avevano chiesto il rimborso dell’imposta proporzionale (1%) di registro da essi corrisposta per l’atto rogato il 4 marzo 1995 con cui gli stessi (“già in regime di comunione dei beni”) avevano proceduto alla “divisione delle… azioni… della spa Istituto Mobiliare Finanziario, da loro fino ad allora possedute in comunione”, sostenendo che detto atto anche “in ossequio” all’art. 11 della Direttiva CEE 69/335, andava tassato “con l’imposta fissa di cui all’art. 11 della… Tariffa” perchè aveva ad oggetto la “negoziazione di azioni” -, in forza di un solo motivo, chiedevano di cassare la sentenza n. 55/32/03 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (depositata il 16 dicembre 2 003) che aveva accolto l’appello dei contribuenti avverso la decisione (140/35/00) della Commissione Tributaria Provinciale di Milano la quale, per la “natura dichiarativa” dell’atto di “divisione di azioni”, aveva respinto il loro ricorso.

Nel controricorso notificato il 15 marzo 2005 (depositato il 4 aprile 2005) il C. e la D.T. instavano per il rigetto del ricorso, con “rifusione delle spese e competenze dei tre gradi di giudizio”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dei contribuenti osservando:

– a “prescindere dalla natura dell’atto” (“che avendo natura dichiarativa giustificherebbe la tassazione imposta dall’Ufficio”), “trattandosi nella fattispecie di divisione di azioni, non può non applicarsi la più favorevole disciplina prevista dall’art. 11 della Tariffa, che riguarda atti aventi ad oggetto la negoziazione di quote di partecipazione in società, atti tra cui può rientrare anche la divisione di azioni”;

– “la ratio della norma dell’art. 11 … costituisce attuazione dei principi della Direttiva CEE n. 335 del 11 luglio 1969 (… di immediata applicabilità all’interno dell’ordinamento giuridico italiano), sull’imposizione indiretta sui trasferimenti di capitale”.

2. Con il proprio ricorso le amministrazioni ricorrenti – affermato aver la Commissione Tributaria Regionale inteso la “nozione di negoziazione assunta dall’art. 11 della Direttiva” nel senso (imposto dalla “ratio della disciplina comunitaria”) che “per negoziazione dovrebbe intendersi qualsiasi atto giuridico, anche non traslativo, avente ad oggetto quote di partecipazione in società” – denunziano “violazione e falsa applicazione degli artt. 1100, 1101, 1116 e 757 c.c.; D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 20 e 34; artt. 3, 8 (e) 11 Tariffa parte prima annessa al medesimo DPR; art. 8 (della stessa) Tariffa; artt. 1, 4, 11, 12 Direttiva 11 luglio 1969 n. 69/335 CEE” osservando:

– “il divieto posto dalla Direttiva (art. 10) di applicare imposte di registro ulteriori rispetto all’imposta comunitaria sui conferimenti (art. 4) è limitato all’ambito proprio di tale imposta, cioè ai negozi traslativi aventi per effetto di incrementare il capitale o patrimonio della società”: “la Corte di Giustizia delle Comunità Europee” (“sentenza 21 ottobre 1998 in causa C-4/91”), infatti, ha osservato (“punto 20”) che “le varie operazioni che, ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva, devono essere assoggettate all’imposta sui conferimenti sono tutte caratterizzate dal trasferimento di capitali o di beni ad una società di capitali nello stato membro che riscuote l’imposta. Del pari, le categorie di operazioni che, ai sensi dell’art. 4, n. 2, possono essere assoggettate a tale tributo si risolvono tutte in un effettivo aumento del capitale o del patrimonio sociale”;

– “la tassazione di altri atti giuridici di interesse societario” (“diversi da quelli immediatamente incidenti sul patrimonio della società”) è disciplinata dall’art. 11 della medesima Direttiva, il quale non collega “l’esonero da tassazione di questa seconda serie di atti… all’assoggettamento della società all’imposta sui conferimenti di cui all’art. 4 della Direttiva”: poichè “l’art. 12 prevede alla lett. a) che gli Stati membri possono applicare in deroga alle disposizioni dell’art. … 11 imposte sui trasferimenti dei valori mobiliari” (“riscosse forfetariamente o no”), “le operazioni definite dalla Direttiva nell’art. 11, ai fini dell’esenzione, come negoziazione di azioni, quote sociali ecc. sono esclusivamente operazioni di natura traslativa”.

In sintesi, per le amministrazioni ricorrenti “il concetto di negoziazione fatto proprio dalla Direttiva 69/335 non è diverso dal concetto di negoziazione fatto proprio dal diritto interno” e “tale concetto esclude atti, come le divisioni, che in base al diritto interno h abbiano carattere meramente dichiarativo (artt. 1100, 1101, 1116 e 757 c.c.)” per cui “il fatto che la divisione abbia ad oggetto partecipazioni sociali… non è sufficiente a ricondurre l’operazione nell’ambito dell’esenzione speciale per i trasferimenti di partecipazioni societarie”.

3. I contribuenti – assunto che “in dottrina, sulla nozione stessa di negozio giuridico, quelli di attribuzione patrimoniale (come nel caso) si distinguono in negozi di disposizione, che importano una immediata diminuzione del patrimonio mediante alienazione, o mediante rinunzia, e negozi di obbligazione, che danno luogo soltanto alla nascita di un’obbligazione, ancorchè diretta al trasferimento di un bene” – oppongono che “nel caso.,. trattasi di negozio traslativo” al quale “va applicato… l’art. 11 della tabella parte prima annessa al D.P.R. n. 131 del 1986, e la Direttiva 11 luglio 1969 n. 69/335”.

4. Il ricorso delle amministrazioni pubbliche deve essere accolto perchè fondato.

A. Per l’art. 3 della “parte prima” (“atti soggetti a registrazione in termine fisso”) della “Tariffa” allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, (testo vigente al momento della registrazione dell’atto di divisione intervenuto tra il C. e la D.T.), invero, gli “atti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura” sono soggetti all’imposta proporzionale pari all’un per cento del valore dell’atto.

L’art. 11 della medesima parte della Tariffa detta, invece, assoggetta ad imposta fissa, tra altri, “atti pubblici e scritture private autenticate aventi per oggetto la negoziazione di quote di partecipazione in società o enti di cui al precedente art. 4 o di titoli di cui all’art. 8 della tabella…”.

B. Ciò posto, va preliminarmente evidenziato che il C. e la D.T. (contribuenti) – pur avendo sostenuto, nel controricorso, che “nel caso… trattasi di negozio traslativo” -, in realtà non hanno impugnato (non avendo all’uopo proposto, come necessario, ricorso incidentale) il punto nel quale il giudice di appello ha affermato che la “natura dichiarativa” dell’atto di divisione, di per sè, “giustificherebbe la tassazione imposta dall’Ufficio”.

In conseguenza di tale riscontro negativo, quindi, deve ritenersi definitivamente stabilito inter partes (con effetto, pertanto, di giudicato interno) (a) che lo specifico atto divisionale ha “natura dichiarativa” e (b) che tale natura “giustificherebbe la tassazione imposta dall’Ufficio”.

Sul primo punto – a conferma: (a) della natura dichiarativa dell’atto (esclusivamente) di divisione, ovverosia dell’atto con cui “le porzioni del complesso attribuite a ciascuno di essi siano proporzionali alle rispettive quote di partecipazione alla comunione” per cui (Cass., 2^, 25 ottobre 2005 n. 20645) “ciascuno dei condividenti consegue, sotto altra veste ciò che è già suo, senza che intervenga alcuna alienazione, realizzandosi, soltanto, una trasformazione dell’oggetto del diritto” con esclusione, quindi, dell’ipotesi (estranea alla fattispecie) in cui “all’uno dei condividenti venga assegnata, oltre a quella di sua pertinenza secondo il detto criterio, altresì la porzione corrispondente alla quota d’altro condividente”, nella quale (cfr., Cass., 2^, 29 aprile 2003 n. 6653, che richiama, in proposito, la giurisprudenza (“Cass. 20.3.91 n. 3003. 19.9.95 n. 9878” formatasi “in relazione a questioni insorte sul regime fiscale applicabile… anche perchè tanto il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, quanto, precedentemente, il D.P.R. n. 634 del 1972, art. 32, configurano la fattispecie” detta “quale negozio traslativo”), invece, all’atto (come alla sentenza) di divisione deve riconoscersi “un effetto traslativo – costitutivo in relazione alla porzione dei beni comuni che il titolare della corrispondente quota sostanzialmente cede in cambio d’un’equivalente in danaro”) e (b), di converso, a giuridica confutazione della tesi “traslativa” ripetuta dai contribuenti – è sufficiente richiamare (attesa la carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria) la costante (tale definita da Cass., 3^, 29 marzo 2006 n. 7231, da cui gli excerpta, nonchè Cass., 2^: 25 ottobre 2005 n. 20645 e 24 luglio 2000 n. 6959) giurisprudenza di questa Corte che afferma, appunto, la “natura dichiarativa della divisione” – priva, quindi, di ogni “efficacia traslativa” – e, “di conseguenza”, il “suo effetto retroattivo”, perchè la mera divisione (“consista in una sentenza o in un contratto”) “non è atto… di trasferimento nè fra i condividenti nei rapporti reciproci, nè fra la comunione che si scioglie e i singoli condividenti” in quanto “il titolo di acquisto del condividente risale… non all’atto divisionale, ma all’originario titolo che ha costituito la situazione di comproprietà, sciolta poi con la divisione”.

“L’effetto dichiarativo – retroattivo della divisione” (“che poggia in via esclusiva sul’art. 757 c.c., e che l’art. 1116 c.c., estende al rapporto fra comproprietari che non sono coeredi”), inoltre, “comporta… che ciascun condividente sia considerato titolare ex fune… dei beni assegnatigli” perchè “il titolo” effettivo dell’attribuzione patrimoniale risale “alla delazione ereditaria e alla accettazione allorchè l’atto divisionale scioglie la comunione fra coeredi;… al contratto di acquisto in comproprietà (o di acquisto di quota indivisa) allorchè… l’atto di divisione scioglie una comunione (non ereditaria) di cose comuni”: “gli effetti dell’atto che ha dato origine alla comunione”, infatti, non “si incrementano a seguito della divisione, ma… si modificano soltanto sotto l’aspetto qualitativo – ovvero dalla quota indivisa al bene attribuito con l’apporzionamento – essendosi l’acquisto del coerede o del comproprietario di cose comuni già realizzato”.

C. Da siffatti principi discende evidente l’errore interpretativo (oltre che la logica contraddittorietà della motivazione) in cui è incorso il giudice di appello laddove ha, da un lato, ritenuto (astrattamente, come desumibile dall’uso del condizionale) applicabile all’atto de quo l’art. 3 (imposta proporzionale) della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, per la natura dichiarativa dello stesso e, dall’altro, statuito che il medesimo atto è soggetto (ex art. 11 della medesima Tariffa) ad imposta fissa perchè avente ad oggetto la “negoziazione di quote di partecipazione in società”.

D. In realtà, attesa la (indubbia, anche per effetto, nel caso, del rilevato giudicato interno sul punto) natura dichiarativa dell’atto di divisione intercorso tra i contribuenti (natura escludente, di per sè, a livello delle norme nazionali, la fattispecie propria della “negoziazione”, quand’anche di “quote di partecipazione in società” r perchè quello di “negoziazione” involge necessariamente il concetto di trasferimento della proprietà delle “quote” dette da un soggetto ad un altro, quindi un’alienazione, del tutto mancante, come visto, in ipotesi di mera divisione), il vero problema giuridico posto dalla fattispecie è dato dalla verìfica della compatibilità della norma nazionale dettata dall’art. 3 della Tariffa con le disposizioni comunitarie contenute nella Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969 n. 335 (e successive modifiche: in particolare con le modifiche apportate dalla Direttiva 10 giugno 1985 n. 303) concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali.

In proposito, ad escludere ogni incompatibilità è sufficiente richiamare la sentenza 7 settembre 2006 pronunciata dalla Corte di Giustizia CE nel procedimento C-193/04 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale (proposta nella causa tra Fazenda Publica e Organon Portuguesa nonchè Produtos Quimicos e Farmaceuticos Lda) con la quale “il giudice del rinvio” (portoghese) ha chiesto a quello comunitario di stabilire se “le disposizioni di cui alla direttiva 69/335 ostino ad una normativa nazionale… che preveda, per la stipulazione di un atto notarile di cessione di quote sociali non connessa con un aumento del capitale sociale, l’applicazione di emolumenti determinati esclusivamente in funzione del valore delle quote cedute, senza limite di importo e senza un rapporto con il valore del servizio prestato”.

In detta decisione la Corte di Giustizia CE – premesso che (punto 17) “secondo costante sua giurisprudenza…, gli onorar; riscossi per la redazione di un atto notarile che attesta un’operazione prevista dalla direttiva 69/335, nel contesto di un sistema come quello di cui alla causa principale, caratterizzato dal fatto che i notai sono dipendenti statali e che gli onorari sono in parte versati allo Stato per finanziare talune funzioni di quest’ultimo, costituiscono un’imposta ai sensi della direttiva (sentenze 29 settembre 1999, causa C-56/98, Modelo,…, punto 23, e 21 settembre 2000, causa C-19/99, Modelo,…, punto 23)”; ricordato che: (punto 18) “l’art. 11, lett. a), della direttiva 69/335 fa divieto di ogni imposizione, sotto qualsiasi forma, della creazione, dell’emissione, dell’ammissione in Borsa, della messa in circolazione o della negoziazione di azioni, di quote sociali o di altri titoli della stessa natura, nonchè di certificati di tali titoli, quale che sia il loro emittente” (e, quindi, che punto 19 “tale disposizione… ricomprende anche le imposizioni richieste per formalità essenziali connesse con la cessione di quote sociali, quali gli emolumenti notarili di cui alla causa principale”); (punto 20) “…l’art. 12 della direttiva 69/335 prevede talune deroghe alle disposizioni di cui ai precedenti artt. 10 e 11. Tra tali deroghe, l’art. 12, n. 1, lett. a), prevede le imposte sui trasferimenti di valori mobiliari, riscosse forfettariamente o no. E pacìfico che la cessione di quote sociali è ricompresa nella nozione di trasferimento di valori mobiliari”; (punto 21) “… dalla giurisprudenza della Corte (sentenza 17 dicembre 1998, causa C-236/97, Codan,… e ordinanza 5 febbraio 2004, causa C-357/02, SONAE Distribuicao,… punto 23) emerge che l’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva 69/335 consente la riscossione di un tributo sul trasferimento di valori mobiliari indipendentemente dal fatto che la società che ha emesso tali valori mobiliari sia quotata in Borsa, e indipendentemente dal fatto che il detto trasferimento avvenga mediante operazioni borsistiche ovvero direttamente fra il cedente e il cessionario”; (punto 22 ) “… un tributo come quello costituito dagli emolumenti di cui alla causa principale è ricompreso nella deroga di cui all’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva 69/335 e, pertanto, la sua riscossione non è in contrasto con la direttiva medesima”; (punto 2 3) “la circostanza che l’importo dei detti emolumenti aumenti direttamente e senza limiti in proporzione al valore delle quote sociali cedute non è idonea ad inficiare tale conclusione (ordinanza SONA E Distribuicao, cit., punto 25” perchè (punto 24) “l’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva 69/335, nel prevedere che le imposte di cui alla disposizione medesima possano essere riscosse forfettariamente o no, lascia agli Stati membri la possibilità di determinare liberamente le relative aliquote. Inoltre, non si ritiene che tali imposte costituiscano il corrispettivo di un servizio prestato, sicchè il loro importo non deve essere correlato con il costo del servizio medesimo e non sono applicabili i criteri elaborati dalla giurisprudenza (v., segnatamente, sentenza 21 giugno 2001, causa C-C-206/99, SONAE,…, punti 32 – 34, e la giurisprudenza ivi richiamata) alfine di distinguere i diritti di carattere remunerativo ai sensi della direttiva 69/335, da quelli non ricompresi in tale categoria (ordinanza SONAE, cit., punti 26 e 27)” -, ha deciso che (punto 25) “la direttiva 69/335 non osta ad una normativa nazionale che prevede, per la stipula di un atto notarile di cessione di quote sociali priva di connessione con un aumento del capitale sociale, la riscossione di emolumenti determinali forfettariamente e/o in funzione del valore delle quote cedute”.

In base a tale statuizione, deve ritenersi ed affermarsi (senza necessità, quindi, di operare alcun rinvio pregiudiziale al giudice comunitario, attesa la chiarezza e la univocità della decisione) che la “direttiva 69/335” non costituisce ostacolo all’applicazione della norma italiana contenuta nell’art. 3 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, – in base alla quale l’Ufficio ha negato il rimborso dell’imposta corrisposta dai contribuenti sull’atto con cui essi hanno diviso tra loro le “azioni” societarie sino ad allora congiuntamente possedute perchè “in regime di comunione di beni” – atteso che la “cessione di quote sociali priva di connessione con un aumento del capitale sociale” considerata dalla Corte comunitaria, ai fini tutelati dalla Direttiva detta, costituisce indubbiamente, per la natura traslativa (quindi certamente incidente sulla “libera circolazione dei capitali” protetta giusta il “preambolo” dalla Direttiva) di quella ivi considerata, fattispecie ben più rilevante di quella (priva di qualsivoglia effetto sul medesimo mercato perchè meramente specificativa del preesistente valore di ciascun condividente) oggetto della presente controversia sì che, essendosi ritenuto permessa dalle norme comunitarie l’assoggettamento a tassazione di detta cessione prevista da parte delle norme nazionali portoghesi, altrettanto, ed a maggior ragione, la medesima legittimità informa la norma nazionale italiana che sottopone ad imposta l’atto meramente dichiarativo – privo, quindi, in sè, di qualsiasi idoneità ad influire sulla “libera circolazione” detta perchè con lo stesso non si muta affatto il preesistente assetto proprietario quantitativo (quindi sostanziale) delle azioni divise – quale quello di mera divisione di azioni societarie già possedute pro indiviso tra più contribuenti.

E. Le considerazioni che precedono impongono di cassare – senza rinvio perchè la causa non abbisogna di nessun accertamento fattuale ulteriore – la sentenza impugnata per avere la Commissione Tributaria Regionale che la ha pronunciata erroneamente ritenuto costituire l’art. 11 della tariffa “attuazione dei principi della Direttiva CEE n. 335 del 27 luglio 1969” e, quindi, applicabile anche all’atto di divisione de quo nonostante la natura meramente dichiarativa dello stesso atto affermata dalla medesima Commissione.

La controversia, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., va decisa nel merito da questa Corte con il rigetto, in conseguenza delle dette osservazioni, del ricorso di primo grado dei contribuenti.

5. Le spese dell’intero giudizio vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile alla specie ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate con la L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. art. 21, lett. a), con effetto dal 1 marzo 2006, ai sensi dell’art. 24 della stessa legge.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso di primo grado del C. e della D.T.; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

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