Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14396 del 15/06/2010
Cassazione civile sez. trib., 15/06/2010, (ud. 12/03/2010, dep. 15/06/2010), n.14396
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –
Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –
Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3046-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– ricorrente –
contro
FIORDOLIVA SRL IN LIQUIDAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 133/2006 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,
depositata il 05/12/2006; udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 12/03/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI
ALESSANDRO SCARANO;
udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI ALESSIA, che ha
chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FUZIO Riccardo che ha concluso per il rigetto.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 133/27/06 del 5/12/2006 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva in parte il gravame interposto dalla contribuente società Fiordoliva s.r.l. in liq. nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Roma di rigetto dell’opposizione spiegata nei confronti di avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate di Albano Laziale a titolo di I.R.P.E.F. ed I.L.O.R. per l’anno d’imposta 1997.
Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello l’Agenzia delle entrate propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si duole che il giudice dell’appello abbia inammissibilmente deciso l’impugnata sentenza in via di equità, invero non applicabile alle controversie tributarie, non trattandosi di diritti disponibili nè avendone fatto le parti concorde richiesta.
Il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.
L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v, Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia -tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.
Cass., 17/7/2007, n. 15949).
Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).
Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), il quesito recato dal ricorso risulta formulato in termini generici e privi di riferimento alla fattispecie concreta, tali da non consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645;
Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che esso debba richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr.
Cass., 23/6/2008, n. 17064).
L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass, Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr,, da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).
La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.
Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).
All’inammissibilità del motivo consegue l’inammissibilità del ricorso.
Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010