Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14390 del 09/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/06/2017, (ud. 22/03/2017, dep.09/06/2017),  n. 14390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18201/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

Costruzioni MGR s.r.l., R.C., G.F.,

C.L., rappresentati e difesi dall’avv. Salvatore Rizzi, con

domicilio eletto in Roma, via Giuseppe Pisanelli 2, presso lo studio

dell’avv. Daniele Ciuti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, depositata il 16 gennaio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 marzo 2017

dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio contro la sentenza di primo grado che aveva accolto i ricorsi dei contribuenti contro avvisi di accertamento, con i quali, per gli anni di imposta 2004 e 2005, fu rettificato il reddito sociale in relazione al maggior valore di immobili venduti, con conseguente imputazione del maggior reddito di partecipazione ai soci ai fini Irpef;

che il ricorso è proposto sulla base di tre motivi, il secondo dei quali censura la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, là dove la Ctr, in accoglimento della eccezione dei contribuenti, aveva rilevato che “l’Ufficio negli atti di accertamento e nel p.v.c. aveva esplicitamente escluso che le dichiarazioni rilasciate dai clienti della verificata, che risultavano avere ottenuto mutui ipotecari di importo superiore al prezzo corrisposto alla società venditrice (ad eccezione di un caso), fornissero elementi di rilievo. Non può in questa sede l’Ufficio, mediante documentazione prodotta per la prima volta in grado d’appello, reintrodurre come nuovo motivo di gravame una presunzione che aveva escluso in sede di accertamento”;

che la ricorrente, al riguardo, rimprovera alla Ctr una carente disamina degli atti di causa, dai quali risultava invece chiaramente quale fu la diversa considerazione fatta dall’Ufficio delle dichiarazioni rese dagli acquirenti, diversa considerazione che può così compendiarsi: posto che gli acquirenti avevano dichiarato, in conformità con la tesi del venditore, di avere ricevuto a mutuo importo superiore al prezzo, l’Ufficio ritenne che esse non avessero apportato elementi di novità; ma è chiaro che da tale ovvia constatazione non se ne poteva dedurre che l’Erario avesse rinunciato ad avvalersi della presunzione fondata sui mutui, dedotta in aggiunta ai valori Omi;

che insomma i mutui costituivano, secondo la logica dell’avviso non compresa dalla sentenza, uno degli elementi utilizzati per desumere lo scostamento e le dichiarazioni degli acquirenti, seppure contrarie alla tesi dell’Ufficio, non bastavano da sole a privare di valore la relativa presunzione;

che, così ricostruito il significato del motivo, se ne palesa la sua inammissibilità, perchè la carenza imputata alla sentenza non integra un’insufficiente motivazione di un fatto, ma costituisce un error in procedendo, consistente in ciò: che la Ctr ha considerato erroneamente proposta per la prima volta in grado d’appello una presunzione invece introdotta con l’avviso di accertamento e mai “rinunciata”, nè con l’atto impositivo e nè in sede giudiziale;

che dì ultima analisi la denuncia attiene a un errore interpretativo commesso dalla Ctr, che tuttavia, essendosi tradotto in una violazione procedurale, avrebbe dovuto essere denunciato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 quale violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) o di quello del tantum devolutum quantum appellatum (art. 345 c.p.c.) (Cass. 21421/2014; 17109/2009);

che l’inammissibilità del secondo motivo comporta l’assorbimento del terzo e del quarto motivo, perchè, una volta venuta meno la pluralità degli elementi che sorreggevano l’avviso di accertamento, le censure mosse con gli altri motivi diventano irrilevanti, perchè inidonee a giustificare una decisione diversa da quella assunta;

che per questa stessa ragione ne rimane assorbito anche il primo motivo, che censura la sentenza per avere ritenuto che l’appello dell’Ufficio non fosse esteso ai soci.

PQM

 

rigetta il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2017

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