Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14384 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 25/05/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 25/05/2021), n.14384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2596/2016 proposto da:

COMPAGNIA AEREA ITALIANA S.P.A., (già ALITALIA COMPAGNIA AEREA

ITALIANA S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio

degli avvocati ROBERTO PESSI, e MAURIZIO SANTORI, che la

rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

P.C., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli Avvocati FRANCESCA VERDURA, TIZIANA LARATTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 451/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/07/2015 R.G.N. 530/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso; udito l’Avvocato MAURIZIO SANTORI;

udito l’Avvocato FRANCESCA VERDURA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 451/2015, pubblicata il 24 luglio 20:15, la Corte di appello di Milano previo rigetto, in accoglimento del gravame incidentale della lavoratrice, dell’eccezione di decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 1-bis, proposta da Alitalia CAI S.p.A., sul rilievo dell’applicabilità della norma a tutte le fattispecie previste dall’art. 32 e non soltanto ai licenziamenti – ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato dalla società con P.C. il 28/5/2010, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 e conseguentemente dichiarato la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far tempo dal 30/5/2010, data di inizio del rapporto.

1.1. La Corte ha invece respinto l’appello principale della società, stante la inidoneità delle deduzioni istruttorie dalla medesima svolte in ordine al rispetto del limite del 15% stabilito dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. cit., non rilevando a tal fine il dato relativo al personale in forza “mese per mese”.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso la Compagnia Aerea Italiana S.p.A. (già Alitalia CAI S.p.A.) con tre motivi, cui ha resistito la lavoratrice con controricorso.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

4. La causa, già chiamata all’adunanza camerale del 16 aprile 2019, è stata rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, per avere la Corte di appello erroneamente considerato tempestiva l’impugnazione del contratto stipulato il 28/5/2010, nonostante la lavoratrice lo avesse impugnato oltre il termine di sessanta giorni decorrente, nel caso di specie, dalla data di entrata in vigore della legge.

2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, art. 2697 c.c., artt. 115,116,420,421 e 437 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per avere la Corte omesso di tenere conto della documentazione prodotta dalla società; di ammetterne la prova testimoniale; di utilizzare i poteri istruttori d’ufficio previsti dal Codice di rito senza neppure motivare il loro mancato esercizio.

3. Con il terzo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte di appello omesso di esaminare il fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti, costituito dalla tempestiva produzione in giudizio, con la memoria difensiva di primo grado, del documento contenente le liste nominative del personale assunto a termine del D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 2 e, quindi, di esaminare il fatto consistente nella sussistenza della prova documentale del numero dei contratti stipulati in virtù di tale norma.

4. Il primo motivo è infondato.

4.1. E’ stato, infatti, definitivamente chiarito da questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 4913/2016, che “La L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1-bis, introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, convertito con modif. dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere in sede di prima applicazione il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui della L. n. 604 del 1966, novellato art. 6, sicchè, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del c.d. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla ratio legis di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione ex novo del suddetto e ristretto termine di decadenza”.

5. Il secondo motivo è inammissibile.

5.1. Al riguardo si osserva che la Corte di appello non ha ammesso la prova per testi dedotta dalla società in quanto “non rilevante ai fini della decisione” e ciò sul rilievo che “il dato che l’appellante avrebbe dovuto allegare era quello del numero dei contratti a tempo determinato stipulati ai sensi dell’art. 2, mentre “il dato fornito” dal datore di lavoro e cioè quello “del personale in forza mese per mese nulla di decisivo dice sul diverso dato del numero delle assunzioni e dunque sul rispetto della percentuale, potendo la società, ad esempio, avere stipulato moltissimi contratti per brevi periodi così che il personale contemporaneamente in forza mese per mese non andava a superare la percentuale richiesta dalla legge, anche se era stato superato il numero di assunzioni consentite” (cfr. sentenza, p. 7).

5.2. Tale ragione decisoria, al di là del richiamo al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, che compare nella rubrica del motivo, non risulta oggetto di censura da parte della ricorrente e, d’altra parte, è da ritenersi correttamente espressa alla stregua della formulazione della norma, la quale indica con chiarezza come il legislatore abbia inteso contenere il numero delle assunzioni a termine entro un limite riferito non al mese ma all’anno nella sua interezza, in tal senso essendo la previsione che il limite (del 15%) stabilito per il contingentamento dei contratti a tempo determinato sia computato in rapporto all’organico aziendale “che, al 1 gennaio dell’anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati” (servizi operativi di terra e di volo nonchè di assistenza a bordo ai passeggeri e merci).

5.3. Su tale premessa la Corte territoriale ha coerentemente valutato l’offerta di prova del datore di lavoro, rilevando come il cap. n. 11 riportasse una tabella dei dati relativi alle assunzioni a tempo determinato strutturata secondo il criterio del “mese per mese” e chiedesse al testimone di rispondere sull’avvenuto rispetto del limite percentuale “nel mese di maggio 2010” (oltre che nel mese di novembre dello stesso anno), vale a dire nei mesi di sottoscrizione dei contratti a termine; rilevando ancora come i capitoli n. 13 e n. 14 chiedessero la conferma di dati percentuali, inferiori al 15%, in relazione ai mesi rispettivamente di maggio e di novembre 2010, sulla base delle indicazioni numeriche contenute nella medesima tabella (cfr. sentenza, p. 6, ultimo capoverso).

5.4. Fermi i rilievi che precedono, di per sè assorbenti, deve comunque ribadirsi: (a) che la violazione dell’art. 2697 c.c., può essere censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5): Cass. n. 13395/2018, fra le numerose conformi; (b) che il principio del libero convincimento, che è alla base degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione di dette regole da parte del giudice del merito configura un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012: Cass. n. 23940/2017, fra le numerose conformi; (c) che il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri d’ufficio ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (Cass. n. 22534/2014, fra le molte): richiesta di cui peraltro la società ricorrente non ha dimostrato l’intervenuta deduzione, stante la palese genericità dell’istanza reiterata in grado di appello (cfr. ricorso, p. 25).

6. Il terzo motivo risulta anch’esso inammissibile, dovendo la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione conseguente alle modifiche del 2012, riguardare esclusivamente un fatto “storico”, e cioè un preciso accadimento o una definita circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a deduzioni o argomentazioni difensive nè comprendente un controllo di adeguatezza del materiale probatorio (Sez. U. n. 8053 e n. 8054/2014).

7. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Ricorrono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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