Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14380 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. I, 25/05/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 25/05/2021), n.14380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6094/2017 proposto da:

F.I., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza dei

Caprettari n. 70, presso lo studio dell’avvocato Ripa Di Meana

Virginia, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Vacchini Valeria, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Cascina Cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Pontefici n. 3,

presso lo studio dell’avvocato Panio Nico, rappresentata e difesa

dall’avvocato Bia Raffaele, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

G.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1211/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 13/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/03/2021 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

il tribunale di Bari, con sentenza in data 10 maggio 2010, condannò G.S. e F.I., in solido, al risarcimento dei danni, quantificati in 20.000,00 EUR, patiti dalla cooperativa La Cascina a r.l. a seguito della pubblicazione di un’intervista apparsa sul quotidiano (OMISSIS), in cronaca di Bari, il 3 marzo 2002, dal contenuto diffamatorio;

la decisione venne impugnata da entrambe le soccombenti, con separati atti;

la corte d’appello di Bari, con sentenza depositata il 13 dicembre 2016, non notificata, ha respinto i gravami sinteticamente osservando, per quanto ancora rileva in questa sede, che: (i) l’intervista era stata rilasciata dalla G. nella qualità di vicepresidente della commissione sanità del consiglio regionale della Puglia; (ii) essa si era sostanziata in affermazioni relative a disfunzioni del sistema sanitario pugliese, con espressioni non continenti e allusive di opachi rapporti tra la cooperativa La Cascina e l’allora presidente della regione Fi.Ra.; (iii) in particolare era stato affermato che i bambini ricoverati presso il policlinico di Bari con fibrosi cistica erano “abbandonati nei reparti e condannati a mangiare porcherie per gli interessi di un colosso della ristorazione con ben note amicizie qual è la Cascina”; (iv) questa affermazione, unita ad altre facenti riferimento a malanni sistemici della sanita regionale, era tale da ingenerare il concetto che le suddette “porcherie” fossero associate non al tipo di alimento eventualmente non adeguato al gusto o alla necessità nutritiva dei bambini, ma alla somministrazione di cibi guasti (per l’appunto di “porcherie”), così da comprovare una situazione equivalente ad altri fatti, di oggettiva gravità, contestualmente denunziati (“l’abbandono di interi ambiti della sanità del policlinico”, la presenza di pazienti infartuati “condannati a morire per l’inesistenza di un sistema di soccorso efficiente”, e via dicendo);

in questa prospettiva la corte d’appello riteneva che le espressioni usate fossero di carattere oggettivamente diffamatorio sotto il profilo della continenza formale, ingiustificabili in sè e in considerazione del fatto di essere state rese da persona (la G.) di chiaro prestigio in ambito locale, in quanto vicepresidente della commissione sanità della regione Puglia e a sua volta professore associato di psicologia clinica presso il medesimo policlinico;

riteneva inoltre che delle suddette espressioni offensive della reputazione della cooperativa dovesse rispondere anche la F., che aveva elaborato l’intervista a mò di articolo senza apportarne un controllo e senza espungerne le locuzioni più apertamente discutibili;

per la cassazione della sentenza la F. ha proposto ricorso in due motivi;

la cooperativa La Cascina ha replicato con controricorso;

la G. non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – nei due motivi di ricorso si assume; (i) la violazione o falsa applicazione dell’art. 21 Cost., artt. 51 e 595 c.p., a proposito delle modalità di valutazione dell’articolo di stampa riportante dichiarazioni rese dal soggetto intervistato; (ii) la violazione o falsa applicazione degli artt. 2059,2056,1226 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., a proposito della esistenza e quantificazione del danno, liquidato – si dice – in difetto di assolvimento dell’onere di allegazione degli elementi essenziali e della conseguente prova;

II. – il primo motivo è fondato;

la corte d’appello di Bari si è determinata sull’assunto che non fosse possibile invocare, da parte della giornalista, l’esimente del diritto di cronaca per aver riportato integralmente le dichiarazioni della persona intervistata;

ha ritenuto che “resta pur sempre onere dell’intervistatore compiere un vaglio elementare della adeguatezza delle espressioni profferte dall’intervistato, sotto il profilo del già citato canone della continenza formale”, proprio nella consapevolezza dell’effetto divulgativo delle medesime; cosicchè nell’atto di riversare l’intervista in un articolo destinato alla pubblicazione il giornalista avrebbe dovuto espungere “le locuzioni più apertamente e indiscutibilmente offensive impiegate dall’intervistato, onde non rendersene corresponsabile”;

III. – l’affermazione, nella quale si compendia la ratio decidendi, è assolutamente errata;

l’errore si radica nella premessa in iure dell’unica ratio che sostiene la decisione, così da rendere infondata l’obiezione di inammissibilità formulata nel controricorso;

IV. – da questo punto di vista non può sostenersi – come invece la controricorrente innanzi tutto asserisce – che esista un ostacolo allo scrutinio del mezzo per effetto del giudicato conseguente alla mancata impugnazione del capo della sentenza del tribunale di Bari che dispose la pubblicazione della sentenza medesima a cura e spese di entrambe le convenute;

essendosi al cospetto di un capo accessorio, destinato a cadere in ragione dell’effetto espansivo interno di cui all’art. 336 c.p.c., è ovvio che nessun giudicato preclusivo si è mai formato, avendo la F. impugnato la sentenza di primo grado nella statuizione principale;

V. – neppure pertiene alla fattispecie l’ulteriore richiamo della difesa della cooperativa all’orientamento (Cass. Sez. U n. 7931-13 e molte altre) che onera il soccombente della necessità impugnare la sentenza in tutti i capi, onde mantenere integro l’interesse alla decisione;

questo orientamento va leva sull’esistenza di distinte rationes decidendi a sostegno della statuizione; cosa del tutto diversa da quella che qui rileva, in cui le statuizioni dipendono dall’unica ratio decidendi correttamente impugnata;

VI. – nel contempo non è fondato predicare l’inammissibilità della censura perchè tesa a sostanziare un riesame nel merito dell’iter argomentativo contenuto nella sentenza d’appello; come già detto, la censura attiene alla premessa in iure del ragionamento del giudice a quo, che contrasta apertamente con quanto questa Corte va ripetendo in tema di diffamazione a mezzo stampa;

VII. – deve essere al riguardo confermato il principio per cui è applicabile la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca alla condotta del giornalista che, pubblicando “alla lettera” il testo di una intervista, riporti dichiarazioni del soggetto intervistato oggettivamente lesive dell’altrui reputazione, a condizione che la qualità dei soggetti coinvolti, la materia della discussione e il più generale contesto in cui le dichiarazioni sono state rese presentino, sulla base di una valutazione – questa sì riservata al giudice del merito, i necessari profili di interesse pubblico all’informazione, tali da far prevalere sulla posizione soggettiva del singolo il diritto di informare del giornalista (cfr. tra le moltissime Cass. n. 2733-02, Cass. n. 10686-08, Cass. n. 5066-10, Cass. n. 23168-14);

ciò sta a significare che il giudice è innanzi tutto chiamato ad accertare che sussista la condizione di interesse pubblico all’informazione; ma, ove ciò sia, il giornalista che non abbia manipolato o elaborato le dichiarazioni dell’intervistato, in modo da falsarne anche parzialmente il contenuto, non può essere ritenuto responsabile di quanto affermato dall’intervistato medesimo;

VIII. – il secondo motivo resta assorbito;

l’impugnata sentenza deve essere cassata con rinvio alla medesima corte d’appello di Bari, la quale, in diversa composizione, provvederà al conferente accertamento uniformandosi al principio di diritto sopra indicato; la corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla corte d’appello di Bari anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

 

 

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